Mostre d’arte, spettacoli teatrali, presentazioni di libri. Formule pensate per far conoscere e apprezzare questo luogo incantato, coinvolgendo sempre più persone, con un unico metodo di comunicazione: il passaparola. Una sfida impegnativa per chi, oltre che di questa associazione, si occupa di tutt’altro. Gianmarco e Giorgio, infatti, continuano a gestire la loro impresa edile. “Eh sì, ogni giorno guidiamo il camion e andiamo in cantiere…”. 420 metri quadri di spazio in cui sentirsi a casa. “La casa di tutti, dove ci sono anche regole che ognuno rispetta, proprio come tra le proprie mura. Noi dello staff ci sentiamo come tanti amici di famiglia, pronti ad ascoltare le “ambasciate” dei nostri ospiti. In effetti, “T’aggia fa n’ambasciata” in dialetto significa “ti devo portare una notizia”. Ed è proprio così che nasce il nome del progetto, oltre che dal riferimento all’antica funzione del palazzo. Idee, visioni, iniziative: qui si ascolta ogni proposta e si offre lo spazio necessario a farla diventare realtà. Quella più assurda? “C’era chi voleva portare il circo, con tanto di animali e sputafuoco”. Oltre ad evitare le tigri e i “lanciafiamme”, il filo conduttore nella scelta delle attività da organizzare è la qualità. “Tra le nostre rassegne c’è quella burlesque, che promuoviamo in collaborazione con l’associazione “Burlesque Cabaret Napoli”.
Arrivano performer da tutto il mondo, dal Giappone agli Usa. Un altro appuntamento fisso è quello con la stand-up e con gli eventi di teatro più sopra le righe che ci capita di intercettare. E poi concerti e rassegne dedicate alla fotografia. In una giornata possiamo ospitare un set fotografico di mattina, un corso di formazione nel pomeriggio e un evento di sera”. Ma le attività sui generis non sono mancate neanche prima dell’apertura. “Abbiamo restaurato i mobili da soli, direttamente qui sul posto e con i mezzi che avevamo. Intanto organizzavamo dei piccoli tour del palazzo, per far vedere ai visitatori come si può ridare pregio al legno riutilizzato. Per loro era una sorta di pausa caffè durante la visita della città. Per noi questa dinamica rimane il filo conduttore del progetto: non siamo assolutamente per il “mordi e fuggi”, ma per il "soffermarsi, prendendosi il tempo necessario”.
In controtendenza rispetto a certe derive che a volte prende il turismo. “Siamo contrari alla mercificazione di Napoli e della “napoletanità”, ai fast food che prendono il posto di botteghe e librerie. La nostra è la città dell’arte in tutte le sue forme e dei lavoratori del settore che cercano uno spazio dove esprimersi”. Quasi a dire: Napoli non è un souvenir. Voi come dialogate con il territorio? “Cerchiamo sempre di collaborare con tante delle realtà che stanno riqualificando altre zone urbane. Come un network di persone che lavorano per una Napoli diversa, tutte unite dalla ricerca di bellezza e stupore”. Questa città ha un’icona per ogni occasione, qual è la vostra? “Potrebbe essere Troisi, emblema di una vita vissuta veramente e non soltanto recitata, sullo sfondo di una città lavoratrice che soffre vedendo quella deturpata”. In che fase vi trovate adesso? “Iniziamo a raccogliere i frutti di un impegno di anni. Pensavamo che il covid ci avrebbe dato una botta fatale, invece tutti sono tornati a creare aggregazione insieme a noi”. Nascono così la collaborazione con “Radici festival” e quella con “Etna Arte Studio”, dedicata ai corsi di formazione. “Avere uno spazio è importante, e noi lo offriamo anche ai ragazzi che si stanno formando e vogliono iniziare a far conoscere il loro progetto. Proviamo a far cambiare idea ai napoletani che vogliono fuggire da qui”. Nobile intento da condividere e diffondere, rigorosamente con il passaparola. “Ecco appunto, portate A’mbasciata!”