Uno dice, la vita di provincia è tutt’altra cosa rispetto a quella di una metropoli. Meno stress, meno pericoli, in poche parole, meno rotture di scatole. Ci si conosce un po’ tutti, quindi si può contare su una rete di rapporti che rendono la nostra vita quotidiana meno faticosa, stemperando quelle asprezze che giocoforza l’essere adulti comporta, il traffico è comunque sopportabile, il prezzo della vita anche, e comunque si può praticare uno stile di vita più umano, con ritmi decisamente meno accelerati e angoscianti. Certo, magari ci saranno meno input, la noia potrebbe essere lì, dietro l’angolo, le opportunità lavorative difficili da incontrare, ma del resto la provincia ha un passo lento che anche in tutte queste pratiche ci permette di procedere con serenità, senza affanni e angosce. Questo almeno è quel che mi ritrovo in genere a pensare quando mi affaccio in un qualsiasi momento X della giornata dalle finestre di casa mia, a Milano, pensando agli anni in cui, giovane e spensierato, vivevo in Ancona, la città dove sono nato e cresciuto. Mi maledico per essermi trasferito qui, ormai ventisette anni fa, questo subito prima di maledire la terra ingrata che mi ha dato alla luce, ingrata e matrigna, incapace come è stata di tenermi attaccata alla propria tetta, costretto alla fuga per realizzarmi professionalmente. Per questo, anche per questo ma non solo per questo, ogni volta che poi mi ritrovo a tornare in quel che un tempo chiamavo casa, quasi sempre durante i periodi delle vacanze, quindi dopo aver passato un numero decisamente troppo alto di ore, buona parte delle quali fermo in code immobili, nel caldo torrido, so che una volta arrivato troverò, o meglio, ritroverò, tutto quel che ho perduto, come nei ricordi del passato di un Proust vagamente meno colto e più rock, rimettendo metodicamente in discussione scelte prese a monte, ormai radicate e che comporterebbero tutta una serie di sconvolgimenti che a confronto la famosa farfalla dell’effetto farfalla era poca roba. Questo nei primi cinque minuti passati in città, forse anche meno, diciamo nel tempo che dall’uscita dell’autostrada mi conduce verso casa, perché già il fatto di non trovare metodicamente parcheggio, in una zona popolosa nella quale il comune non ha previsto di riservare parte delle strade a ospitare le auto ferme, né gratis né a pagamento, dementi. Tutti quelli che seguono, parlo di minuti e di minuti che seguono i primi cinque, è una sorta di crescendo wagneriano, dove l’epica del compositore tedesco tanto cara al Terzo Reich è in questo caso applicata a una sorta di disincanto e disappunto, la presa di coscienza, o un ritorno di consapevolezza che in realtà la vita di provincia è molto spesso una merda lì, a portata di mano. Per dire, sono arrivato in Ancona nei giorni scorsi, e ci sono arrivato per motivi che nulla hanno a che fare con le vacanze, ancora lì da venire. Ci ho messo un numero spropositato di ore, e va beh, questo con la provincia poco c’entra, e subito ho dovuto fare i conti con la mucillagine, ve l’ho raccontato. Una volta arrivato, poi, ho fatto due scoperte, scoperte che in realtà già avrei dovuto fare, perché avevo letto di entrambe le faccende sui giornali locali, giornali locali che per una forma di autolesionismo leggo pur non vivendo più in città da che ancora pesavo cinquantanove chili. Prima scoperta, in città stanno girando un film. Seconda scoperta, in città a settembre ci sarà il G7 Salute. Come queste notizie, che andrò a approfondire, abbiano impattato col mio soggiorno in città è presto detto, lavori ovunque, e per ovunque intendo in luoghi che comportano lunghe code laddove in genere c’è un traffico veloce, quasi inesistente, maggiore difficoltà a trovare i già introvabili parcheggi, frenesia non troppo diversa da quella che è in genere ascrivibile al dna della città dalla quale sono partito, Milano, e più in generale una onnicomprensiva rottura di palle che mi ha accompagnato quasi minuto per minuto, non fosse già sufficiente il caldo torrido, il dover lavorare in un luogo di mare e, perché no?, il non poter usufruire di un mare decente anche quando l’orario di lavoro è finito.
Il film, partiamo da qui. Ancona non è esattamente la città più cinematografica del mondo. Neanche d’Italia. E a dirla tutta neanche delle Marche, la presenza ad Ascoli di Piccioni, che è un regista ascolano, a far pendere sulla bilancia quel nome. Da che son nato, e son nato ahimè ormai cinquantacinque anni fa, ricordo solo due film di un certo rilievo ambientati qui, Un’anima divisa in due, di Soldini, e La stanza del figlio di Nanni Morelli, l’ombra lunga di Ossessione di Luchino Visconti, film che risale al periodo della Seconda guerra mondiale, e La donna con la pistola di Monicelli, almeno in parte girato qui, a completare il poker. Certo, poi ci sono state piccole produzioni, alcune dei quali anche in mano a gente del posto, ricordo un film su una nave che per anni è rimasta ormeggiata al porto, impossibilitata a ripartire, o il corto sulle Grotte del Passetto, che vuole leggenda sia approdato anche al Tribeca Film Festival di Bob De Niro, ma poca roba. In Un’anima divisa in due quel che si vedeva della città era la parte più brutta, le cosiddette incompiute. Si tratta di quelle opere pubbliche, ponti, tangenziali, bretelle, lasciate incompiute per l’arresto dell’impresario che ai tempi le stava portando avanti, spesso citate visivamente nei rari servizi al TG che parlassero di Ancona. Qualcosa di postindustriale, volendo anche vagamente distopico che dava della città nella quale sono nato un aspetto devastato, postatomico, rovinato. Soldini necessitava evidentemente di quello scenario, per un film che di bello aveva solo il titolo, e qui lo ha trovato. Diverso il discorso per il film di Moretti. In quel caso Ancona era assai presente. La si vedeva molto, la casa che dava il titolo al film era vicino alla centralissima Piazza Cavour, io lì dentro ci sono anche stato, da piccolo, perché ci abitava la zia di un mio amico. Il viale nel quale il personaggio interpretato da Moretti correva era il nostro viale, da lui incautamente chiamato Viale della Vittoria (è il viale e basta), il luogo nel quale, spoiler, il figlio moriva è il mare del Passetto. Così come il luogo nel quale la madre del ragazzo, quella Laura Morante che proprio recentemente ha fatto sapere di essere stata maltrattata da Moretti dopo la fine del film, presagiva la morte del figlio era corso Mazzini, luogo dove si trovavano ai tempi le bancarelle. Insomma, Ancona era lì. Solo che non era mai chiamata per nome, questo nonostante la città per due anni avesse ospitato il set, mettendosi a completa disposizione del regista e della troupe. Ricordo che l’allora assessore alla cultura, Antonio Lucarini, parlava di una sorta di nouvelle vague anconetana, andando in giro vestito di bianco, con tanto di cappello Panama, manco fosse Tom Wolfe. Peccato che Moretti, a riprese finite, abbia raccontato di aver scelto Ancona perché Roma non era disponibile a causa del Giubileo e perché cercava comunque un posto anonimo, poco riconoscibile. Non una grande esperienza, quindi, di cui però ancora oggi si parla. Oggi a girare in città, forse seguendo lo stesso filo rosso che ha visto alternarsi sui manifesti locali il Kum Festival di Massimo Recalcati con la serata tenuta in piazza da Marco Mazzoli e i ragazzi dello Zoo di 105, c’è Alessandro Siani, in un film che vede coprotagonista Leonardo Pieraccioni. L’avevo letto sui giornali locali, ma sarebbe impossibile non saperlo, stando in città, perché il film è girato praticamente ovunque, soprattutto dove sono stato io, come se Siani avesse deciso di bullizarmi usando il suo set come strumento malefico. Vado in centro? Ecco che le strade sono bloccate perché Siani gira. Torno verso la stazione? Siani è anche lì. Vado verso il porto, non si trova parcheggio perché ci sono i camion della produzione, a breve gireranno lì, e così via. Anche sotto casa dove stiamo noi quando veniamo in città, quella dove è nata mia moglie, hanno girato, in questi pochi giorni passati qui, un infermo. Inferno cui la città sembra per ora rispondere bene, forse perché i due anni di Moretti hanno reso poche settimane sopportabili, o forse perché almeno Siani non se la tira come Moretti, e vorrei ben vedere. Di fatto è un continuo stop and go, causa film di Siani con Pieraccioni. Siani e Pieraccioni che ho più volte visto in giro, senza ovviamente beneficiarne alla vista.
A fianco di questo c’è l’imminente G7 Salute. Perché? Semplice, perché in città a settembre arriveranno i capi di stato e ministri della saluta dei paesi più potenti del mondo, e Ancona è del tutto impreparata a accoglierli, cantieri lì fermi da anni, a volte da decenni, penso alla zona dell’ex Fornace Comunale. Strade con buche che potresti adibire a piccole piscine per la cittadinanza. Tutta una serie di brutture lasciate prosperare nel tempo. Che ha quindi deciso di fare la nuova, sta lì da giugno 2023, giunta comunale, mettere le pezze a colori lì dove i grandi del G7 passeranno. Esatto, come in uno scenario da vecchio film western, che mostrava villaggi che in realtà erano composti solo dalle facciate delle case rivolte verso la main street, a Ancona si sta lavorando di stucco e vernice solo nel percorso che il corteo farà, rivolto verso i luoghi dove i politici si incontreranno e dove poi andranno a dormire, spesso fuori città perché in città posti fighi dove dormire non ce ne sono. Quindi ecco che si sta asfaltando una lunga lingua di strada che da fuori porta verso il centro, solo quella, e si stanno rinverdendo solo e soltanto quelle zone, finendo i cantieri lasciati a fare muffa per anni, a discapito di altri che magari erano più urgenti e più a buon punto. Il tutto, ovviamente, facendo i conti col film di Siani e Pieraccioni, così che magari vuoi andare da A a B, ma non puoi farlo passando per C perché stanno asfaltando la strada, non puoi farlo per D perché stanno finendo un cantiere, e neanche per E o per F perché c’è il set del film, manco fossimo a Città del Messico o Caracas. Un delirio assoluto, che ha vanificato, parlo per me ma so di far mia la voce dei miei conterranei, che per una volta non potranno che riconoscere in me il famoso profeta in patria, ogni singolo vantaggio dello stare in provincia, cioè assai lontano da ovunque avvenga qualcosa di interessante, a meno che non si voglia intendere come interessante un concerto di Malika Ayane o un incontro rivolto ai giovani col turbofilosofo Diego Fusaro, il tutto mentre a venti chilometri sta per andare di scena il Summer Jumboree, cioè il più importante festival rivolto agli anni 50 in Europa, con circa duecentomila spettatori previsti, parlo di Senigallia, poco più in là c’è Pesaro, capitale italiana della Cultura 2024, e un po’ più a sud Civitanova Marche, San Benedetto del Tronto, tutte molto vive e vivaci. Per non dire di Servigliano, piccolo anonimo comune sulla strada che va verso i Sibillini, poco più di duemila abitanti, piccolo anonimo comune che ospita praticamente il gotha della scena pop italiana, da Salmo e Noyz Narcos a Geolier, Calcutta, Tedua passando per i Cccp e chi più ne ha più ne metta. Fortunatamente per rilassarmi c’è sempre Milano, la Milano di Beppe Sala, meglio una rissa tra maranza o un tavolo da picnic lì dove prima avevi il posto auto che finire a fare la comparsa dietro Siani che finge di impennare con la Vespa, categoricamente senza casco.