Se siete un po’ “TikTok addicted” vi saranno sicuramente capitati quei video in cui delle ragazze straniere, ma anche italiane, mostrano delle “mistery box” piene di gioielli e altri ninnoli, solitamente vendute per pochi euro. Il primo pensiero che potrebbe passare per la testa è “che bello, ne vorrei una anch’io”. Perché comunque il nostro animo consumistico, complici anche le influencer che continuano a propinarci video unboxing di centinaia di pacchi pr, è continuamente alimentato da questo tipo di contenuti. Il secondo pensiero, però, di chi magari si sofferma davvero a guardare cosa contengano questi pacchetti è: “ma che davero?”. Guardando questa tipologia di video ci troviamo spesso davanti a tantissima bigiotteria, di quella che compri sulle bancarelle di viale Papiniano a Milano al mercato del sabato, o in qualsiasi altro mercato rionale sparso per l’Italia. Non parliamo certo di gioielli vintage di Chanel o di Gucci, per fare degli esempi. Che poi, se in queste “mistery box” ci fosse per caso l’orologio con lunette intercambiabili di Gucci, un pezzo vintage che si trova in giro a cifre esorbitanti, quasi quasi le compreremmo pure noi. Scherzi a parte, che fine fanno poi tutti i gioielli e articoli vari contenuti in queste buste misteriose? Vengono realmente indossati? O magari vengono utilizzati per creare delle nuove “mistery box”, possibilmente da vendere al doppio del prezzo?
Tralasciando il modo scandaloso in cui ormai lucriamo pure sugli omaggi che troviamo allegati alle riviste (per dire, vi basta aprire Vinted per rabbrividire), questo tipo di contenuti sui social non fanno altro che alimentare non solo il consumismo sfrenato, ma anche un’idea sbagliata di sostenibilità. Il second hand piace, l’upcycling pure, e ridare vita agli oggetti è bellissimo, se si è davvero capaci di farlo. Ma cosa succede a tutto il resto, agli scarti degli scarti? A tutti quegli articoli d’abbigliamento, alla bigiotteria, e potremmo andare avanti, che viene acquistata “per moda” e poi viene lasciata lì?
Quando compriamo un capo di Shein di seconda mano non stiamo comunque alimentando il mercato del fast fashion? È un discorso complesso, che apre poi altri vasi di Pandora che riguardano, ad esempio, l’inclusività delle taglie e i prezzi, spesso eccessivi, dei capi e degli accessori “sostenibili”. Tenendo da parte tutti questi discorsi per un altro momento, queste mistery box nella stragrande maggioranza dei casi contengono forse un accessorio che sarà utilizzato. Gli altri finiranno tristemente in qualche cassetto o chissà, magari torneranno a popolare le bancarelle di viale Papiniano.