Ha corso in moto fino a quando il fisico glielo ha permesso. E poco importava se si trattasse di rievocazioni, di parate per grandi ex o robe così: Phil Read, quando decideva di salire in sella, lo faceva senza porre limiti al polso destro. Passione grande? Certo! Ma anche consapevolezza che si vive solo se ci si riempie la pancia. E Phil Read sapeva guidare motociclette. Quello è stato sempre il suo unico modo per campare. E campare come pretende di campare un principe. Quando, ormai un paio d’anni fa, scrivemmo un pezzo un po’ condito di pietas per le sue condizioni di salute, furono in molti a metterci un po’ in guardia dall’uomo. Qualcuno, senza girarci troppo intorno, ci disse che la sua poteva essere una trovata per racimolare qualche soldo, adesso che con le moto non poteva più farlo.
Non era così, ma forse era un po’ anche così. Phil Read è stato il principe della velocità, ma ha sempre preteso che quel suo talento producesse profitti. Otto mondiali da portare a spasso sono oro da ricambiare. E non c’è proprio nulla di male. Nobile? Magari no. O forse più di altri perché la vera nobiltà, in fondo, sta nel riconoscere il vero delle cose, quella verità che a volte sarà pure cinica e poco principesca, ma che è l’unico capitale che resta e non si consuma. A costo di risultare arroganti, ma superando quell’incasellamento che è solo figlio di retaggi tra eroi e miserabili. Non voler sembrare miserabili non è certo il modo per passare da eroi. E funziona male anche il contrario, perché la verità viene fuori sempre e comunque. Tanto vale ammetterla subito, senza starsi a chiedere se vale la pena, da principi, passare da accattoni. E’ quello che siamo tutti: sia eroi che miserabili, come dice quella canzone dai ritmi sudamericani secondo cui “nel mondo ci saranno sempre persone buone, persone cattive, quelli che negano, i credenti, i pazzi, i saggi e gli indifferenti”. Solo che senza divisioni o, come per Phil Read, con il cinismo di accettare che pure le etichette cambiano in base alle fasi della vita, agli obiettivi che abbiamo, alle certezze su cui impostare la sopravvivenza.
Qualcosa che per quanto riguarda Phil Read ha raccontato perfettamente, attraverso un aneddoto che è quasi poesia, anche Mario Donnini, in un post su Facebook che il noto giornalista e scrittore ha voluto tributare al principe della velocità. “Vorrei dire due cose sul Principe della Velocità, sette volte iridato, che se ne è andato a 83 anni – scrive Donnini - Anche perché mi è capitato di averci a che fare e l'ho trovato, pur anziano, assolutamente unico nel suo genere. Giacomo Agostini, insieme al quale ho scritto due libri, me lo aveva detto: ‘Hailwood era un signore nella vita, uno simpatico, e un campionissimo in corsa. Read? Uno molto, molto forte, ma da lui potevi e dovevi aspettarti di tutto. Di tutto, giuro. Però andava e alla grande. Sull'Isola di Man lo odiavano. E un po' , con rispetto parlando del parce sepulto, agli isolani starà sul cavolo per sempre. E più di tutti. Perché insieme ad Ago dopo l'edizione 1972 boicottó il TT per ragioni di sicurezza (e di scarsi ingaggi), salvo poi, al contrario di Mino, tornare a correre sull'Isola a 38 anni, nel 1977, perché profumatamente stipendiato dalla Honda ufficiale. Questa conversione sulla via di Damasco non piacque ai locali perché rivelava ciò che Read era. Un grande guerriero, ma senza causa. Un racing contractor, ovvero uno stupendo e affascinante mercenario della velocità, che faceva battaglie sindacali contro il Mountain, salvo tornare a correrci da vecchio in Rolls e pelliccia. Quando, nella seconda metà degli Anni '90, lo intervisto per il mio libro ‘TT la corsa proibita, la prima domanda la fa lui a me ed è: ‘Quanto mi dai?. E io: ‘Niente. Oppure tanto: solo l'onore di poter parlare di nuovo ai tuoi ancor tanti tifosi italiani. Silenzio di tomba. Poi mi fa: ‘Be', ci ho provato. Sapete come fece quasi-pace con l'Isola di Man? Nel 1999 compiva 60 anni e al tempo quello era il limite massimo d'età per correre al Manx Gp nelle Classic, ossia in un TT per moto storiche da 500 cc da Gran Premio. Lui, preso dalla nostalgia e voglioso di farlo per l'ultima volta nella sua vita, si iscrisse senza alcun allenamento alla Senior e giunse a ridosso della top 15, sfidando più di 90 partenti in sella a un ferraccio. In altre parole dimostró di avere classe, cuore e coglioni in pari misura. A zero ingaggio. Tre anni dopo me lo ritrovai incazzato nero nel Lap of Honour dell'isola di Man, io in sella a una moto da Gran Premio, una moscia ma carina Gilera 125, lui con una Mv Agusta dei giorni nostri. Perché era incazzato nero? Be' lui agli organizzatori continuava a stare antipatico, così per dispetto gli avevano dato il numero più alto su 120 partenti, facendolo avviare dal fondo.
A lui questa cosa lo mandava fuori di testa. Gli dissi che mi dispiaceva e lui mi rispose secco e quasi sprezzante: ‘Non ti preoccupare, glielo rompo io il giochino: all'altezza di Ballacraine vi avrò già superati tutti e 120, così imparano a mettermi ultimo’. Pochi minuti dopo a Greeba Bridge una Mv mi infiló imbestialita piegando a destra e poi a sinistra, sparando e sparendo come una fucilata rossa. Casco e tuta dicevano che quella moto era guidata da Phil Read. Ci rimasi di sasso, perché a confronto suo sembravo fermo. Mi venne solo da pensare una cosa che va benissimo pure in questo momento: ‘Sarai anche un figlio di buona donna, ma con una moto sotto al sedere, ovunque tu vada, sarai sempre meraviglioso, Principe della Velocità’".