“Tra otto mesi il mio mandato di presidente termina. Io sono vecchio e tra qualche mese potrò riposarmi”. Sono bastate queste due frasi del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per mettere in fibrillazione tutti i partiti, che infatti da qualche giorno hanno cominciato il toto-Colle per il suo successore. Ma stavolta, rispetto al passato, lo scenario è più complesso. Non bisogna dimenticare che il presidente del consiglio Mario Draghi non è stato eletto, ma chiamato come “tecnico” per rimettere in sesto i cocci lasciati dalla politica, con il primario compito di far uscire l'Italia dalla pandemia – e dovremmo quasi esserci – e di investire per il meglio i miliardi europei attraverso il Recovery Fund. Poi, in molti, alla fine del suo mandato lo avevano già indicato come successore naturale di Mattarella. Solo che nei dettagli, come è risaputo, si annida il diavolo.
E il dettaglio principale che a molti sfugge riguarda le tempistiche di scadenza dei due mandati, come ci ha spiegato Marzio Breda, il più autorevole quirinalista italiano, giornalista e firma del Corriere della Sera. A 69 anni, 70 a luglio, ha seguito da vicino ben cinque presidenti della Repubblica (Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella) e per questo è considerato il massimo conoscitore di quel che avviene nelle ermetiche stanze del Quirinale.
Breda, intanto come interpreta quelle frasi di Mattarella, dove ha ammesso di volersi riposare alla fine del suo settennato?
Non darei un peso eccessivo a queste parole. Nel senso che, più o meno con tutti i presidenti, di certo i cinque che ho seguito io, verso la fine del mandato denunciano una certa stanchezza e la voglia di riprendersi la propria vita. Nel suo caso è emerso sicuramente un certo fastidio, perché da alcuni mesi è stato messo nel tritacarne dei nomi per cercare il suo successore. È un gioco troppo anticipato e poco rispettoso verso la sua figura.
Come mai?
Perché ci sono vari modi per appannare un presidente della Repubblica. Come dire che è malato significa azzopparlo. Oppure che è in uscita risulta sgradevole con così tanto anticipo. Però è più un gioco mediatico che politico. Nessun partito ha infatti chiesto a Mattarella di restare. È una eventualità che hanno paventato gli opinionisti, o personaggi come Piero Angela quando è stato insignito Cavaliere di Gran Croce. Per evitare di farsi usurare con queste voci fastidiose ha quindi messo le mani avanti dicendo che non ha nessuna intenzione di essere confermato.
Per cui ha semplicemente difeso il suo prestigio della carica per gli ultimi mesi del mandato?
Mah vede, Mattarella compie 80 anni e il mandato ne dura 7. Potrebbe non sentirsela di andare avanti. Se poi, come Napolitano decidesse di continuare e dopo un anno o due di ritirarsi potrebbe farlo. Nel frattempo, credo ci sia in lui un fastidio per il poco buon senso nel tirarlo in ballo. E non bisogna dimenticare che quando ha pronunciato quelle frasi aveva di fronte un uditorio di ragazzi delle scuole primarie che gli avevano chiesto se è duro il suo lavoro. Per cui bisogna riconoscergli il peso che meritano. Da qui a gennaio comunque ne sentiremo di tutti i colori. L’unico nome che davvero è circolato dai partiti è quello di Mario Draghi.
Però lei ha detto di non credere che possa essere lui il successore di Mattarella. Perché?
Al Quirinale, come è avvenuto per tutti e 12 i presidenti precedenti, i partiti non hanno mai eletto figure di spicco, come per esempio leader o capi corrente. Questo perché si illudono, ancor di più negli ultimi 30 anni, di poter contare su una figura con poca forza. Cossiga nella Dc contava poco, non aveva correnti. Scalfaro ancora meno, era un vecchio democristiano scelbiano e aveva quindi ben poco peso politico. Ciampi fu una felice eccezione pur non essendo politico. Ma già Napolitano, nel Pci apparteneva ai migliorisi che non contavano quasi nulla. Mattarella stesso era una figura ormai appannata, dopo che era stato ministro e qualche legislatura, era fuori dalla politica ed era diventato giudice costituzionale. Pen credo sceglieranno grandi nomi, men che meno quello di Mario Draghi.
Ma chi lo sceglierà, dopo questa ammucchiata di partiti che si è riunita intorno a Draghi?
Facciamo un passo indietro. Mattarella fu proposto da un nome ben preciso. Il king maker che favorì la sua elezione fu Matteo Renzi in piena ascesa. Pensava a lui come a una figura modesta che non gli avrebbe fatto ombra. Viceversa, però, il ruolo cambia le persone e infatti Mattarella è stato uno che, con la sua moderazione, tranquillità, predisposizione al dialogo, quando è stato il momento di prendere decisioni difficili lo ha fatto. Basta pensare al dopo elezioni del 2018 quando nacque il governo M5s-Lega. Si impuntarono su Savona come ministro, un antieuropeista, e il presidente usando i suoi poteri si rifiutò di firmare. Diede l’incarico a Cottarelli, così alla fine i partiti si misero d’accordo facendo marcia indietro. Ora pensano a un nome che non rompa le scatole, ma poi non è mai così.
Interessante, però è sfuggito alla domanda. Cioè su quali partiti sceglieranno alla fine il prossimo presidente della Repubblica.
Per rispondere a questa domanda bisogna tenere conto di una variabile. Il mandato di Mattarella scade a fine gennaio 2022. Un anno dopo, nella primavera del 2023, scade la legislatura e si andrà a votare. Tutti i sondaggi danno per vincente il centrodestra. È per questo che il centrosinistra, Pd e M5s, hanno l’interesse a nominare subito un capo dello Stato che durerà 7 anni e che sia un loro riferimento. Viceversa, se cambiasse lo schema e Mattarella decidesse, dopo un accordo politico, di rimane un anno in più per permettere a Draghi di concludere la legislatura e fare quello che serve al Recovery, dopo le sue dimissioni sarebbe il nuovo Parlamento espressione delle elezioni a scegliere il successore e quindi il centrodestra che andrebbe su un nome gradito a quel mondo. Ecco perché Pd e M5s non hanno proposto la conferma di Mattarella. Vogliono eleggere subito un presidente che li rappresenti per i prossimi 7 anni.
In passato il centrodestra propose addirittura Vittorio Feltri. E se qualcuno proponesse lei, vista la sua esperienza al Quirinale, accetterebbe?
Lei sta giocando, ma questa ipotesi non esiste. Anche perché i partiti che si sono resi conto di quanto pesa quella carica e quanto può essere decisiva.
Da quando se ne sono resi conto?
Fino a Cossiga i presidenti erano soprannominati i “taglianastri”, perché la politica era arbitra delle scelte, apriva e chiudeva le crisi. Per questo sul ruolo del Capo dello Stato si parla di fisarmonica dei poteri: quando la politica è forte la fisarmonica è chiusa e i presidenti si ritraggono, quando la politica è debole i presidenti, per rivolvere le crisi di sistema, intervengono. Per cui è un posto dove vorranno mettere un uomo di stretta osservanza.
Cossiga propose la grazia a Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse. Oggi qualcuno ha proposto che Mattarella conceda la grazia agli ex terroristi degli Anni di Piombo arrestati in Francia. Pensa sia possibile?
Non credo proprio. Perché il presidente si è speso personalmente con Macron affinché allentasse la dottrina Mitterand e quindi permettesse ai terroristi ancora rifugiati in Francia di essere consegnati all’Italia. Non credo che potrebbe compiere un passo del genere. Cossiga allora era animato da uno spirito molto differente. Mattarella non lo farebbe mai.
In questi giorni si è parlato anche di Renato Vallanzasca, l’ex bandito della Comasina in carcere da quasi 50 anni.
Non bisogna dimenticare che la concessione della grazia è un potere duale. Cioè è in capo a due diverse entità: il presidente della Repubblica e al ministro di grazia e giustizia, che non si chiama così per caso. Il presidente, quindi, non credo farebbe qualcosa di non condiviso con quel ministro. È vero che la Corte costituzionale ha precisato che quel potere è in realtà totalmente nelle facoltà del presidente, che ha l’ultima parola, però ci sono delle condizioni preliminari. Per esempio, è necessario aver scontato larga parte della pena, che è il caso di Vallanzasca, ma è necessario anche il parere positivo delle famiglie delle vittime e in questo caso non saprei come si sono espresse. Comunque, non ho notizia che il suo caso sia all’ordine del giorno negli uffici giuridici del Quirinale.
Senta, ma invece chi potrebbe essere il suo successore come quirinalista al Corriere?
Eh, anche su questo non saprei, ma credo che come sempre sceglieranno i direttori.
Almeno ci può dire quali caratteristiche dovrebbe avere un quirinalista nel 2021?
Se si riferisce all’avere esperienza con la tecnologia e i social, direi che conta relativamente. Bisogna prima di tutto sapersi occupare di tante cose. I presidenti della Repubblica intervengono su diversi versanti: la politica estera, l’economia, i temi culturali, le materie di giustizia e molto altro. Per cui, chi segue il Quirinale deve padroneggiare tutti questi ambiti. E avere un po’ di esperienza costituzionale. Spesso leggo cose che dipendono da una certa ingenuità su ciò che realmente prevede la Costituzione.
Oltre all’attività giornalistica, ricordo che lei ha introdotto “L'ABC del leggere” di Ezra Pound (Garzanti 2012), oltre ad averlo conosciuto. Il poeta ogni tanto ritorno d’attualità, soprattutto a livello politico. Noi recentemente abbiamo intervistato il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais e, sulla cultura di destra, ha tacciato Pound di essere un nazista. Lei cosa ne pensa?
Io lo considero una figura di altissimo profilo della cultura novecentesca. Pound non era propriamente nazista. Aveva certe idee economiche, che ha scritto in un saggio troppo spesso dimenticato che si intitola “Contro l’usura” e si batteva verso gli “gnomi” di Wall Street per il recupero di una certa tradizione. Avendo scelto di vivere in Italia, partendo dalla cultura. È stato vittima di un suo abbaglio, ma non è mai stato un nazista. Ha detto cose molto dure, però non dimentichiamo che è tipico dei poeti utilizzare le invettive. Basta pensare a Dante Alighieri.