Sto camminando per le vie del Boedo, un barrio popolare di Buenos Aires, che la domenica chiude le strade al traffico e organizza mercatini per favorire l’artigianato locale, con musica dal vivo e ristoranti aperti sulla strada. Sono in cerca di un bar dove prendere un caffè cortado dopo una scorpacciata di ravioli sorrentinos ripieni di jamon y queso (ovvero prosciutto e formaggio), gratinati con mozzarella e reggianito e poi affogati in un brodo di burro fuso dal sapore morbido e nocciolato. Ad un tratto voltandomi trovo l’ispirazione. Vedo due signore anziane arrotolare tra le dita nodose dei lunghi filamenti di mozzarella che fuoriescono come ragnatele, dai bordi di un tostado dal ripieno generoso come lo “spider-chef” che lo ha farcito. aIn quasi tutti i bar di Buenos Aires anche i semplici toast (i tostados) sono imbottiti perfettamente: hanno tre strati di pane e risultano croccanti, morbidi e generosi (a differenza di quelli che ho provato negli ultimi anni da noi). Per me il toast è una sorta di crash test per valutare un intero locale, e usare la sottiletta e il prosciutto porzionato delle vaschette di plastica, dovrebbe essere un crimine contro l'umanità. Non è invece un crimine quello delle due signore che indossano occhiali da sole neri e sembrano quasi pronte per lanciarsi con un paracadute che probabilmente tengono nascosto, tra gli altri segreti, nelle borsette a tracolla appoggiate sul tavolo. Forse, sono atterrate qui davanti a me, al bar, per sedersi e ordinare qualcosa da mettere sotto le dentiere dopo la fatica del grande salto. Le enormi lenti degli occhiali conferiscono loro l’aspetto di mosche sedute con volti a mosaico, e le braccia esili ricordano un insetto stecco. Aggiungi pure dei soffici capelli biondo cenere, a tutte e due, e un tailleur rosso acceso, illuminato dai raggi di un sole di fine estate. Con quell'eleganza domenicale che mi ricorda di quando accompagnavo mio nonno alla chiesa del paese, e preso posto sui prega-dio diverse signore gli si avvicinavano per salutarlo, con le onde sinuose di un mare in burrasca e quei segni dei bigodini fra i capelli, paracadutate lì da qualche cielo, perfette, atmosferiche, da un punto di vista insolito, che forse conosco solo io: quello delle dee. E come tutte le divinità, quelle stesse signore avevano nomi antichi che mio nonno pronunciava con riverenza nel salutarle: Norina, Assunta, Idelma, Irma, Esterina.
Le due mosche ronzano tra loro, in silenzio, fuori sincro. Hanno le labbra scavate come dal pennello di un archeologo che lavora con i fossili viventi. Non si capisce se stiano parlando o masticando. Per poterle sentire bisognerebbe avere l'orecchio dentro la tazzina dei loro caffè, e sintonizzarsi nel loro campo. Se solo queste non fossero invenzioni del linguaggio, sarei già lì, a sentire cosa dice una signora di un’ottantina di anni o più, di Buenos Aires, con la sua coetanea, davanti a quel toast e quella tazza di caffè cortado. La mia è una forma di gerontofilia? Sarà che Buenos Aires è piena di vecchi, e fra vent’anni saranno anche più del 40%, o almeno così dicono. Una città che invecchia e su misura per i più becchi. I cibi e gli arredamenti sono rimasti ai fasti di allora. Se scrivo queste righe un po’ bizzarre è perché appena approdato in questa città, ho subito voluto assaggiare le tradizioni, che amo e di cui in parte sono composto. Un po’ come un leghista che organizza la sagra dell’asparago di qualche paesino del nord. Ecco. Ma c’è anche una parte di me che, per fortuna, spinge per capire come un luogo ringiovanisca e si rimetta in discussione, tra vecchi misteri e realismo magico. Sarà allora possibile una innovazione, o un salto nella contemporaneità? Guardando le torte esposte nelle vetrine delle confiterie (pasticcerie) che hanno ancora addosso la polvere dei ricordi francesi e italiani e sembrano uscite da un tombino del passato, me lo domando, ma non so dar risposta. Proprio quelle stesse confiterie sembrano essere state preaprate con passione dalle tartarughe ninja e dal maestro Splinter e proprio qui mi chiedo: dove mi posso riconnettere all’enogastronomia contemporanea a Buenos Aires? Ci sono ancora dei posti dove mangiare buono, sostenibile, semplice, sano, che guardano alla tradizione, ma che non museificano il cibo per i turisti, rendendolo stantio o a tratti ignorante come me? Ho intervistato alcuni cittadini di Buenos Aires e gliel’ho chiesto, parlando anche dei loro cibi preferiti.