“S'è svejatooo” annunciava Ricciotto alla finestra del Palazzo in quel film portato in gloria dai romani, che è il Marchese del Grillo. Il fedele servo e compagno di scherzi Ricciotto alludeva proprio al Marchese Onofrio del Grillo, Duca di Bracciano, Guardia Nobile e Cameriere Segreto di sua Santità Pio VII, rappresentante della aristocrazia romana dei primi dell’Ottocento. Le battute del film sono entrate nel frasario quotidiano, a far rivivere scorci di Roma vecchia, da via dei Banchi Vecchi dove “non se po’ piscià in pace”, allo scenario di via dei Cerchi, luogo storico deputato alle esecuzioni capitali di Mastro Titta, er boia di Roma, tramite ghigliottina. È proprio al nobile burlone del film dell'81 di Mario Monicelli, impersonato da Alberto Sordi, che pensiamo scendendo dai Mercati Traianei in via IV Novembre, attraversando largo del Grillo per giungere a largo Angelicum. Purtroppo via di Campo Carleo, che collega la Salita del Grillo ai Fori oggi è chiusa, come troppe cose in città. Percorrendo a piedi la Salita del Grillo affacciata letteralmente nel cuore di Roma imperiale, intoniamo il celebre ritornello “Mia cara Olimpia, mettete in pompa, che quer grillaccio der Marchese sempre zompa. Zompa chi campa, allegramente…” sotto un cielo particolarmente limpido, vestendo i momentanei panni di un turista che mette piede a Roma per la prima volta. Cosa deve pensare un forestiero che, ignaro di tutto il resto, si trovi a camminare al centro del mondo con almeno un briciolo di consapevolezza di dove si trovi? E certo, perché visti gli sventramenti operati dal Duce nell’area dei Fori Imperiali, dove vi era un enorme e popoloso quartiere - l’Alessandrino - non è facile per i romani andare al di là della solita retorica del “noi c’avemo l’Impero”, figuriamoci per uno straniero che debba orientarsi tra scorci di rovine di abitazioni medievali rase al suolo e vestigia di una Roma imperiale dai tratti confusi, di oscura individuazione.
Per quanto sia più facile che lo straniero, armato di guida, giunga a capire che quella strada meravigliosa – sembra di essere piombati sul serio nel 1800 – si affaccia sul Foro di Nerva e su varie insule romane, più di quanto faccia un cittadino locale. Insomma, in una serata limpida come questa noi andiamo alla scoperta dei roof di Roma più frequentati dalla bella gente che assaggia cibo particolare, passando per una via che deve averne viste davvero tante e dove è nata la leggenda del famoso Marchese Onofrio del Grillo. Oltrepassiamo la Torre Miliziola, dove tornavano a dormire Adua e le compagne dell’omonimo bellissimo film di Antonio Pietrangeli del 1960. È proprio qui al civico 4 della Salita del Grillo, che bussa Marilina (Emmanuelle Riva a notte fonda, nel pieno delle sue avventure per cambiare il suo destino in una società che abolisce la prostituzione, dopo la chiusura delle case di piacere con la Legge Merlin). Ci pare di vederla, arrampicata su quegli scalini millenari, in questo buio scenario di altri tempi, rimasto immobile. Subito appresso vi è il famoso palazzo del nostro eroe, er Sor Marchese scanzonato, amante delle belle donne e dell’“Io so io e voi nun siete un cazzo”, che tanto ispira la romana gente dedita al culto della carbonara. Il Marchese, che viveva in una Roma minacciata dalle invasioni napoleoniche, aveva per vicini di casa i frati della chiesa dei Santissimi Quirico e Giuditta, alla quale vi era arroccato l’ex convento di Dominicani, trasformato nel 1962 in questa struttura ricettiva unica al mondo che è l’hotel Forum. Noi entriamo qui, roccaforte di Beppe Grillo quando arrivava a Roma e riceveva Giuseppe Conte, attaccando cartelli alla finestra che declamavano “interviste solo in abbonamento”. Abbiamo raggiunto uno dei roof più scenografici di Roma, dunque, per provare la medesima ebbrezza vissuta da personaggi internazionali del calibro di Jackie Kennedy, Liz Taylor, Bruce Lee, il Dalai Lama, Alain Delon, che quivi hanno soggiornato, al centro del Foro Romano, in braccio agli imperatori.
La grande terrazza panoramica gode decisamente di una vista ineguagliabile su via dei Fori Imperiali, ormai eletta, dai tempi del Sindaco Marino, a “passeggiata pedonale dei romani”, da piazza Venezia sino al Colosseo. Le leggendarie colonnacce regalano istantanee suggestive di un indimenticabile souvenir d’Italie, per quanto a nostro parere il prezzo della vista del Foro sia stato eccessivamente alto, con la perdita appunto di un intero pezzo di Roma. Ma non tutti sono del nostro stesso avviso. La sala è grande e siamo in pochi privilegiati a cenare qui; oltre a noi di Mow, ci sono una coppietta straniera abbigliata in pompa magna e un tavolo di spagnoli che trangugiano vassoi di prosciutto crudo, melone e mozzarelle con grande voluttà, manco fossero ostriche e champagne. D’altronde chi a Roma non ci è cresciuto, ignora la familiarità che abbiamo con i succitati prodotti d’eccellenza italiani. Siccome noi appunto, siamo stati svezzati a gambuccio e fior di latte, grazie agli dèi, optiamo per un turistico menù di linguine ai gamberi e avocado in salsa di gamberi, che abbiamo trovato tosti e di carni rigide come il tristo sopraggiungere del rigor mortis. Ci pare di rivivere le gesta di Gasperino er Carbonaro, satollo di manicaretti a Palazzo Grillo, poco distante da qui, sollecitato ad espellere lo dimonio, grazie all’intercessione della “sacra quartina”, mentre il Marchese se la ride. Un altro personaggio illustre ha abitato questo palazzo sontuoso in piazza del Grillo dal 1965 al 1987, come riporta la targa sul portone: il grande Renato Guttuso. Del cortile del palazzo, Guttuso dipinse un omonimo quadro, tra i tanti. Abbiamo poi ordinato un semifreddo, eccessivamente pannoso, piatto nel gusto, scenografico quanto non degno di nota. Nel complesso la cucina non è eccellente, ahinoi, o almeno non quanto la vista. La nostra pagella oggi registra un 3.5 per il cibo, 5 per il servizio, 5 per la cortesia e 5 per la location, consigliatissima. Dopo cena ci sta tutto un giro nel quartiere Monti, sempre seguendo le gesta del Marchese, che di questi pizzi conosceva ogni remoto anfratto, per organizzare una delle sue famose burle a potenti e giudei, che secondo la leggenda, “bella la boiserie, bello l’armadio, belle le cassapanche, bello tutto”, ma davero davero non li poteva soffrire.