Davvero per godere a tavola seve ingrassare? È la dura legge del sapore, della “cicciosità”, del sale ovunque e un po’ di zucchero, delle spadellate a fiamma alta, delle caramellizzazioni. Se Ponce de Leon ha davvero scoperto la fonte della giovinezza, probabilmente è morto per aver mangiato lo stesso troppe salsicce. Morto contento, ovviamente. C’è un modo per evitarlo? Lo si credeva impossibile. E invece ieri sera abbiamo scoperto che non era così. Il venerdì sera non è ancora giornata sgarro, nella dieta che abbiamo scelto di iniziare ormai cinque giorni fa, era prevista una pizza fatta in casa il sabato sera. Il venerdì quindi fa parte, o avrebbe dovuto far parte, di quella serie di riti punitivi che ti costringono a talvolta di fronte a un’insalatina con il pollo. E io, proprio come l’antico vaso della pubblicità, dovevo portare in salvo la mia ragazza. Un’intuizione. Libra. Un ristorante elegante, in via Testoni, dietro Piazza Maggiore. Ci siamo passati davanti qualche volta, propongono una cucina “antiaging”, non esattamente il primo dei pensieri di due trentenni. La cosa che ci ha convinto, però, è stata vedere il menù completamente strutturato in modo da istruirti su ciò che stavi per ingurgitare. Se siamo quello che mangiamo, per una sera volevamo essere una frittura di mare da 264 calorie (cioè davvero, davvero, ipocalorica). Ma ci arriviamo. Mentre ci dirigevamo al ristorante abbiamo pensato al trucco dietro quel menù: saranno porzioni piccolissime, o quel monte di calorie proprio non si spiega. Per fortuna non è stato così.

Ci sediamo fuori, nel cortile interno del ristorante, mentre nella sala centrale si sta tenendo un incontro (una cena) di biohacking, in sostanza un modo per de-buggare il tuo organismo attraverso l’educazione alimentare. È una serata tranquilla e non fa neanche troppo caldo. Scegliamo subito ciò che avevamo visto nel menù online, nonostante la proposta estiva fosse davvero invitante (un piatto su tutti: i gamberoni con l’insalata russa). E abbiamo scelto: un piatto di gnocchi di patate al sugo di datterini lei, la “Carbonara evolution” io. 339 calorie lei, 374 io. Poi in condivisione il “Gran fritto di mare”, 282 calorie. E ora non resta che attendere. Attendiamo poco. Il cameriere porta le bevande (acqua per lei, un bicchiere di Chianti per me) e con loro un piccolo benvenuto, una ciotolina di guacamole con un pane ai cereali perfetto, senza quasi crosta, leggerissimo. Insieme anche “Vitality”, una bevanda analcolica a base di vari ingredienti tra cui curcuma e pepe. Partiamo benissimo e con molta vitality. Ci finiamo tutto il pane, anche senza guacamole. Mentre attendiamo i primi ci si avvicina una donna, ci sorride e ci dà il benvenuto. È la dottoressa Chiara Manzi, l’ideatrice del nuovo approccio alla cucina tradizionale che stiamo provando. Ci fa una promessa: uscire pieni, soddisfatti, ma anche disintossicati, leggeri. Una combo cervello-stomaco, salute mentale-gola, che a Bologna è difficile soddisfare.

Ci lascia al primo, e no, non arrivano due piattini fine dining come credevamo. Gli gnocchi al sugo sono scolpiti nella pietra dei piatti preferiti di chi scrive. L’elemento centrale è, ovviamente, la consistenza dello gnocco. La salsa, di contro, deve aderire alla pasta senza essere troppo densa, in modo da creare una patina, un velluto, intorno alla patata dello gnocco. Questo piatto è fatto in modo matematico, o non si spiega come sia stato possibile preparare degli gnocchi tanto leggeri quanto compatti. Non stiamo mangiando un purè, ma la sensazione, a ogni boccone, è quella. Non si tratta neanche di mordere realmente, basta premere la lingua contro il palato. Un piatto divertente, minimal, con una salsa, di loro produzione, in cui non viene nascosto minimamente il sapore del pomodoro, né dal sale né da altri ingredienti. È pomodoro allo stato puro, con qualche trucco antiaging e antiossidante che non vi sto qui a dire.

Con la carbonara passiamo al secondo livello di difficoltà. Riprodurre un piatto del genere mantenendosi su un numero di calorie basso più che un’impresa è quasi una bestemmia. Della serie: le buone intenzioni lastricano la strada per l’inferno. E invece no. Si tratta della ricetta originale, ma il trattamento riservato agli ingredienti è da centro benessere: “Il tuorlo d’uovo viene montato a 60°C, diventa molto più voluminoso e con solo mezzo tuorlo condiamo tutto il piatto. La montata viene resa più cremosa con l’aggiunta di fibra di cicoria che abbassa l’indice glicemico del piatto senza alterarne il gusto autentico. La pancetta subisce un processo di sgrassatura in tre fasi: lavorata a mano, poi in microonde per eliminare il grasso in eccesso e infine asciugata, così da preservare tutto il suo sapore e la sua croccantezza, ma con un apporto lipidico ridotto”. Tutto giusto, ma soprattutto tutto buono. Niente da dire, cremosità, aderenza totale ai sapori a cui siamo abituati. Questo è un tiro da tre punti, un goal da fuori area. Tutto con un apporto lipido ridotto, provate a ripetervelo in mente e ditemi se non vi darà soddisfazione godervi un piatto con del guanciale e sapere che non state piazzando delle mine antiuomo nel vostro cuore.

Questa è la sfida finale, il mostro dell’ultimo livello. E le mostruosità, quando si parla di frittura di pesce a Bologna, sono all’ordine del giorno. I bolognesi, così bravi nei primi e nei secondi di carne, non sanno cucinare il pesce. Sono così scarsi che riescono, anche nei locali più popolari, a prepararti fritture che per un uomo e una donna dell’Adriatico sono ai limiti della tollerabilità. Quindi da una frittura di pesce a Bologna non ci aspettiamo più nulla, se non che sia quantomeno fritta come si deve. La paura, a Libra, è che la frittura non sia fritta. In che altro modo il numero di calorie può crollare fino a 282 calorie altrimenti? Vediamo la cameriera avvicinarsi. Iniziamo a sudare. E invece la bomba. Frittura perfetta, la più buona mangiata a Bologna. Leggerissima, è vero, ma fritta. Gamberi, calamaretti, un po’ di verdura e delle alici. Ad accompagnare una salsa che chiamare ketchup sarebbe immorale. A differenza della salsa a base di sale e zucchero che serve a bonificare i sapori degli alimenti che accompagna, qui abbiamo una salsa di pomodoro con un goccio di aceto di mele, zenzero e tabasco, senza sale o zucchero. Una droga. Divoriamo la frittura senza fare domande, la ricetta la scopriamo alla cassa, quando si spiegano che si tratta di una preparazione molto specifica, che parte con il pesce infarinato e abbattuto e fritto congelato, in modo da mantenere la carne umida e tenere, quasi cotta a vapore, mentre l’acqua, passando da stato solido a gassoso, scherma completamente l’olio, che dunque non viene assorbito, mantenendo il piatto leggerissimo. Questo è il punto che ha chiuso la partita.

Non paghi, tuttavia, ci siamo dedicati un dessert in due. Il “Tiramisù senza età”. Saremmo dei bugiardi se non ci avesse colpito, e sfidato, anche stavolta il numero di calorie: 146 calorie, 70 a testa. Non pensiamo di potercene andare più soddisfatti di come siamo dopo la frittura, e invece quella chicca in barattolo è proprio il modo giusto di chiudere una serata del genere. Prima di pagare e andarcene facciamo un giro nello shop, compriamo uno dei tre alimenti che permettono alla mia ragazza di sopravvivere, anche perché è l’unico cibo che mangia alle sei di mattina prima di andare a lavoro: la marmellata di fragole. Anche questa di loro produzione: 75% di fragole, inulina, eritritolo, pectina e concentrato di sambuco nero. La prendiamo, ce ne andiamo, passeggiamo sotto i portici, pienissimi, felici, ma disintossicati. Aveva ragione la dottoressa. Una cena completa di seicento calorie circa. Ci sentiamo più giovani, più longevi, e anche dei gran fighi per esserci goduti una serata fuori senza dichiarare guerra al nostro corpo.
