Ci sono impeti nobilissimi, grandezze epiche, a noi sottaciute evidentemente, che spiegano la notizia epocale: Giulia De Lellis entra alla Bocconi, accademica per l’occasione. Regima corsi di formazione o qualcosa del genere, anzi semplicemente: regima lezioni agli studenti della Bocconi. Bocconi, che solo a pronunciarne il nome evoca di per sé libretti segnati con un miserevole ventiquattro, i congiuntivi si allineano in fila, ligi, al ruolo, scoppiettanti in tutte le consecutio infilate in bocca a severissimi auditori. Pregiudizio capzioso, ed è ridondante affilare la determinazione rognosa. Il nostro pregiudizio stropiccia gli occhi. Siamo ancora alle aste con la nostra boria digrignante, mentre giustamente la De Lellis influencer si riannoda in una posa autorevole, l’austerity fatta persona. E crediamo di vederle le aule stracolme di riceventi curiosi, seriamente interessati all’argomento. Spalti trasognati, piedi febbricitanti pigiati sul calpestio, mani sudaticce, occhialoni sul naso a guardar meglio la signorina in cattedra che non temo smentita deve avere un sacco di storie da raccontare. Argomenti bocconiani senz’altro. Comunque sono master. Punto. Un master attraverso cui la De Lellis converserà, insegnerà. Insigne e discente. Non è che nel frattempo può spiegare cose come: perché hai mollato Beretta? Chissenefrega?
No, ci frega eccome. Ma il master ha basi pregne di contenuto e di gran lunga più seriose. Intanto mettiamo avanti alcuni presupposti. Da qui, chi vi scrive, cioè, non ha intenzione di travisare un mestiere. Se scrivi un post su un social, una piattaforma qualsiasi, non è “sgraffignare” qualcosa a una capriolata di ebeti, è lavorare. Si tratta di finanza. Boh. Economia. Vallo a capire. Ad ogni modo la De Lellis, leggendo qui e lì, pare abbia specificato risoluta che è chiara sempre la distinzione tra un prodotto che stai pubblicizzando, da uno che ti hanno regalato (ah, che bello!) e così via. Perché sapete che la maldicenza urla festante talvolta: parassiti, mantenuti, scrocconi! La maldicenza tenta sempre di svilire ogni grandezza epica per l’appunto. Se uno ti regala un paio di scarpe, che fai non le indossi? E se anche le mostri in una stupefacente storia Instagram, qual è il problema? Il brand lo vedi tu, gli occhi del brand sono i tuoi. Manco se il brand fosse una cattiva parola. Beh, insomma, sono pur sempre soldini. Alla Bocconi vorranno capire. L’influencer si staglia stentorea, l’imprenditrice fonda un’azienda di beauty, con dodici dipendenti, scrive il Corriere. Però. Bisogna saperci fare nella vita. Guardate, alla fine della fiera, noi la lezioncina morale l’abbiamo guadagnata. Devi saperci fare. È un mondo per gente che deve saperci fare. La solennità di accomodamenti impensabili è un talento. E con un diploma di istituto tecnico posso persino accedere alla maestosità di un ateneo, e insegnare. Insegnare a esser bravi. Bravini. Furbi, furbetti. No, scaltri nel prendere la vita come si merita. Io non mi sento presa per i fondelli, non so la vita. Io faccio il tifo per la De Lellis e per tutti i secchioni nascosti dagli scranni e tifo finanche per certi pensieri brufolosi e indicibili, altrettanto liberatori. È una lezione fondamentale. Pensate quanto patetismo ha infarcito le nostre esistenze medie. Con immagini esasperanti, crociane, non so, il poeta della vita strozzata, indeciso se ammalarsi di tisi o frapporsi fra Boeckh e Niebuhr. Ma la noia, oh mamma. Vuoi mettere? La devastazione di teorie esistenziali perseguite, la nemica natura! Ma basta. Filologi, storici, ottocenteschi ammorbatori degli impulsi vitali. Io sto con la De Lellis.