Io spero tu possa nuotare, come i delfini, come i delfini sanno nuotare. Lo so, la traduzione è libera, ma io l’ho sempre intesa così. È ovviamente un passo notissimo di "Heroes" di David Bowie, mi chiedo se sia d’ora in poi ogni volta necessario specificare che il disco e quindi la canzone in questione sia stata prodotta da Tony Visconti e non, come erroneamente creduto e raccontato, da Brian Eno, e che il riff sia farina del sacco di Robert Fripp, ai tempi nei King Crimson, oggi più che altro intento a fare i suoi video del Sunday Lunch in compagnia di sua moglie Toyah. Un incipit assolutamente fuori contesto, credo che niente qui possa ricondurre al David Bowie della trilogia berlinese, per tematiche, atmosfere e mood, ma oggi ho visto per la prima volta dei delfini in mare aperto, e credo che sia necessario dirlo. Lo scrivo mentre sto seduto alla scrivania del terrazzo della Princess room del Jafferji Beach Retreat, bambini e ragazzini che giocano a pallone. I Masai che provano a vendere non so cosa a mio figlio Tommaso, lui troppo buono per opporre resistenza alcuna. Tre bambini piccolissimi, tipo quattro anni, nudi, che stanno provando a rubare due barche ormeggiate a riva, per altro riuscendoci, il tutto per creare un po’ di atmosfera (nel mentre Tommaso è salito per dirmi che i due Masai, Lorenzo e Mario i nomi che dicono di avere in una ipotetica anagrafe Masai, sono venuti qui o perché ieri per sbolognarli mentre stavano un po’ stalkerizzandoci durante una passeggiata, gli ho detto “semmai domani”, a dimostrazione che almeno in qualcosa sono precisi e puntuali, seppur nell’incapacità di leggere il non detto di certe frasi).
Dicevo, ho visto i delfini nuotare in mare aperto. Il 25 agosto 2024 abbiamo puntato la sveglia alle 5 e 45, cioè prima dell’alba, perché è prevista la gita a Mnemba. Ci siamo alzati, siamo andati da Munasi, che è il vice di Maurizio. Lui ci ha condotto sol solito sorriso in bocca verso una barca a riva, dove nel mentre un ragazzo con un cappello identico a quelli di Re Julien di Madagascar, che per la cronaca è, insieme ai pinguini, il vero personaggio figo di quel film. Siamo saliti, mentre il mare ci sembrava un po’ più mosso del solito, dove per solito si intende in orari decisamente più umani, perché di notte la marea porta le onde fin quasi alle mura di cinta del resort. Le ho viste mentre andavo in bagno, e il tipo ci ha salutato col classico Hakuna matata, dicendo poi il suo nome, che però abbiamo tutti dimenticato. Siamo partiti diretti verso nord, per trovare un varco lungo la barriera corallina e abbiamo scoperto che la spiaggia poco dopo il resort finisce, lasciando spazio a rocce a picco sul mare, per poi tornare spiaggia parecchio dopo. E abbiamo anche scoperto che di conseguenza l’acqua sale parecchio e le onde sono più grosse. Scoprire questo mentre si è seduti su una barca non troppo grande, con le panche senza reggischiena, quindi sospesi nel vuoto, un tettuccio sorretto su sei piccoli tubi e con su una tela a coprirci dal sole, quando il sole finalmente sorgerà, ecco, tutto questo equivale, suppergiù, a cagar*i addosso, parecchio. Questo almeno se siete me, cioè una persona che non ha imparato a nuotare da piccolo, quando era estremamente fobico, soffriva di vertigini, non voleva dormire lontano da casa, a lungo pretendeva. Ma qui parliamo di quando ero piccolo piccolo, che suo fratello dormisse nel letto di fianco al suo rivolto verso di lui (se ho usato il passaggio “ero picciolo” usando la prima persona, tradendo la terza che ho usato per tutto il periodo non è per un errore, ma perché volevo abbattere per un breve passaggio la quarta parete, e farvi vedere dietro le quinte). Uno che ha sofferto di attacchi di panico e coliti nervose per lunghi anni della propria gioventù, salvo poi archiviare il tutto, certo, e quindi imparando anche a nuotare. Ma imparare da adulti è altro che impararlo da giovani. Certi muscoli faticano presto, certe paure e volte riaffiorano, specie le paure di non essere in grado di aiutare i propri cari in caso di pericolo, propri cari che a tua differenza sanno nuotare assai meglio di te, per inciso. In pratica mi sono metaforicamente caga*o addosso per tutto il viaggio, col ragazzo che affrontava le onde alte come niente fosse, spesso al telefono (ha ricevuto un numero impressionante di chiamate, e la sua suoneria sembra la sigla iniziale del Re leone, cementando in me l’idea che un po’ ci prendano per il culo, vendeci l’Africa che ci aspettiamo di trovare).
Quando quindi, dopo oltre mezz’ora, arriviamo ben oltre Mnemba, isola privata di Bill Gates, dove si trova un esclusivo resort da oltre mille dollari a notte, ci fermiamo in mare assai aperto per fare snorkeling, decido di non farlo. Per altro, ho faticato a trattenere gli smadonnamenti, ma a domanda esplicita di mia moglie, che come se si trovasse a fare una gita a piedi in zona del tutto tranquilla mi chiede “Michele, che hai?”, ho sbottato. Mi sono lamentato non solo del mare mosso, ma anche per il fatto che nessuno mi aveva parlato di fare snorkeling lontano da terra. Anzi, sembrava quasi che dovessimo farlo a riva, per qualcuno. E io ricordo bene chi. Sappilo amico mio, mi aveva detto che a una certa sarebbero arrivati quelli del resort di Bill Gates a chiedere un pizzo, tanto si era vicini,e noi ora siamo lontanissimi, le onde ancora piuttosto alte secondo i miei standard, sbottamento che si è tirato dietro quelli di Tommaso e Chiara, a loro volta poco sereni per il viaggio fatto. Viaggio durante il quale il tipo col cappello da Re Julien ci ha più vuote detto Hakuna Matata, come poi dirà loro, io. Spoiler: resterò fedele alla mia idea di non scendere dalla barca, “pole pole”, suggerendo di unire calma a spensieratezza. Nel mentre, ancora Francesco a giocare a pallone e Tommaso a parlare coi Masai, Chiara qui al mio fianco e Marina a leggere su un lettino qui sotto. Lucia si sta facendo un bagno caldo nella vasca che sta alle mie spalle, sempre sul terrazzo. Comunque, sto appunto ribadendo che non intendo affatto fare snorkeling, è che se avessimo dovuto nuotare con le pinne, Dio o chi per lui ce ne avrebbe dotato, quindo Re Julien, lo chiamerò così d’ora in poi, dice che ci sono i delfini, lo hanno avvisato al telefono. Premesso che ovviamente lo hanno avvisato altri barcaioli. Qui si chiamano capitani, ma mi sembra onestamente troppo. Da questo momento la scena si farà molto movimentata. Sarà tutto un correre e indicare, nostro e di altri turisti su altre barche, con alcuni turisti, dei dementi esagitati, che si tufferanno in mezzo alle barche in movimento, per nuotare per pochi secondo coi delfini. Perché si, lo avevo già detto: di delfini ne vedremo e ne vedremo pure parecchi, a volte da soli, più spesso in coppie, a volte in gruppi numerosi. Emergeranno dall’acqua, mostrandosi anticipati dalle pinne, e sarà tutto un seguirli e intuire dove rispunteranno una volta andati sott’acqua. Il tutto per un tempo piuttosto lungo che non saprei quantificare, comunque ben oltre la mezz’ora. Una cosa molto ma molto emozionante, perché vedere delfini a pochi metri da te, a volte neanche pochi metri, mentre sei in mare aperto e non al delfinario di Riccione o all’acquario di Genova, è qualcosa di indescrivibile. Al punto che per quel lasso di tempo mi sono anche dimenticato della certezza che, se fossi caduto in mare, tra la mia capacità di saper nuotare, le onde e l’acqua alta, sarei probabilmente morto, o avrei costretto i miei cari a soccorrermi, annientando millenni di patriarcato. Sono stato tutto il tempo a fare foto e video, senza neanche aggrapparmi.
Certo, ho considerato chi si tuffava, e lo faccio pure ora che il sole sta tramontando e sono seduto a terra ferma, dei cretini patetanti, pretendendo a un suicid*o giustificato non da una depressione o un mal di vivere, ma da una deficienza che rende il fatto solo di vivere un regalo immeritato, ma non ho avuto paura. Ne ho avuta, invece, ma io la chiamo più che altro spirito di sopravvivenza, quando siamo tornati lontani da lì, nella zona dello snorkeling. Lì sono tornato in me, e mi sono rifiutato di fare snorkeling. Del resto, esattamente quarant’anni fa, nel 1984, quando moriva Truman Capote, Hanna e Barbera, che io ai tempi e anche prima avevo sempre considerato due geniali donne, e invece erano due geniali uomini, all’anagrafe William e Joseph, coppia d’artista, non credo coppia anche nella vita, ma chissà, che ha creato Braccobaldo, Pixie e Dixie, l’orso Yoghi. E ancora: Ernesto Sparalesto, Tatino e Tatone, Lupo de Lupis, gli Antenati. Vado rigorosamente nell’ordine cronologico di Wikipedia, sia mai che passi per esperto di cartoni animati. Svicolone, ordine che ho sfrondato dei nomi che non mi dicevano niente. Tra l’altro, i Pronipoti, Magilla Gorilla, producendo poi anche Stallio e Ollio, Gianni Pinotto, cioè praticamente gente che ha lavorato ai più grandi show televisivi dalla fine degli anni cinquanta agli anni ottanta appunto. Poi con Napo Oraocapo, Charlie Chan, i Scooby Do, la Famiglia Addams, Tom e Gerry, Braccio di Ferro, Casper, i Puffi, Mork e Mindy, Hazzard, Lucky Luke, la Pantera Rosa. Ora mi fermo, e chissà quanti ne avrò dimenticati. Rsattamente quarant’anni fa, nel 1984, la casa di produzione Hanna e Barbera, leader nel settore dell’intrattenimento televisivo, parlo di serie e cartoni animati, ha sfornato un prodotto chiamato gli Snorky. Sempre citando Wikipedia, la serie di cartoni animati ruota intorno a una piccola comunità di esseri cilorati che vive nelle profondità del mare, a Snorkylamdia. Cito tra virgolette “in mezzo a numerosi pericoli insiti nell’oceano”. Ora, ovvio che io nel 1984, a quindici anni e come figlio unico più piccolo di ben otto anni del solo fratello rimasto in casa, l’altra, sei anni piu grande di me si era già spostata, non l’ho vista se non di sfuggita, tra un Deejay Television e una serie appunto cime Mork e Mindy o Hazzard, ma ditemi voi perché mai uno che sa dell’esistenza di “numerosi pericoli insiti nell’oceano” e lo sa per una serie che si chiama Snorky e che presenta appunto pesci colorati come gli Snorky dovrebbe star lì a fare snorkeling. Poi, tanto per togliere un po’ di poesia ai tutto, la serie da noi è arrivata nel 1885, e io di anni ne avevo sedici. Figuriamoci, già ero tutto preso dalla musica. Fancu*o gli Snorky, ma io a fare snorkeling in mezzo, si fa per dire, all’Oceano indiano non ci sono stato. Me ne sono rimasto in barca con Re Julien, che continuava a ricevere telefonate e dire “pole pole” e “hakuna matata” come un cogl*one. A voi decidere chi dei due fosse il cogl*one tra me e lui. Mia moglie e i miei figli l’hanno fatto, e si sono molto divertiti, oltre che molto stancati. Tornando Re Julien ci ha chiesto “Happy happy?”, rinfrancandomi riguardo alla vostra precedente scelta. Il resto della giornata l’abbiamo passata in completo relax, anche forti della stanchezza dovuta all’alzataccia (forti nel senso di “giustificati a stare in relax”, come se un necessitasse di giustificare il relax in vacanza, mi sa che siamo davvero come i tedeschi, cazzo). Prima del tramonto ci siamo sparati circa sei chilometri, tra andata e ritorno, lungo la spiaggia, diretti verso sud. Abbiamo visto i soliti ragazzini giocare a calcio, tra cui nostro figlio Francesco, che a un certo punto ci ha chiamato preoccupato perché ci dava per dispersi. Pescatori che portavano a riva dalle loro barche la pesca della giornata, compresi due grossi marlin. Ricordate Hemingway e il suo "Il vecchio e il mare?", svariati polipi e un fo*tio di pesci colorati, praticamente tutta Snorkylandia. Poi tutta una serie di beach boy che ci hanno stalkerizzato, compreso uno che ci ha proposto tale “Ciccio Bello” per fare trip in giro per l’isola, svariati Masai con le loro sacche pieni di oggetti fatti a mano, e, sul finale, mentre stavamo tornando, una masnada di bambine con abiti consunti e veli, che prima hanno provato, difendo come pazze, a coprire il cu*o di mia moglie, già coperto dal costume ma evidentemente non abbastanza per i loro standard di bambine mussulmane. Poi hanno preso per mano e circondato Lucia, trasformata per qualche minuto in una sorta di Pifferaio Magico in versione minuta e bionda. Il tempo di rientrare e cenare e siamo andati a dormire presto, perché domani ci aspetta un’altra gita. Hakuna matata.