Lo sci e la moto sono vicinissimi, così come l’alto design e la nuova Ducati DesertX. Ma il lusso di Cortina, con le sue vetrine e le Dolomiti a sorvegliarle dall’alto, è lontanissimo dalla brutalità della Dakar. Sarà per questo che Francesco La Bella, fondatore di Genius People Magazine, ha voluto mettere tutto insieme. Due mondi che si sono confrontati su di un tavolo in metallo e pietra allo showroom L’Ambiente, al civico 147 di Corso Italia di Cortina d’Ampezzo. Al centro del tavolo si è seduto il Sindaco Giampietro Ghedina, a fianco il fondatore di Henge Paolo Tormena e il Direttore del Centro Stile Ducati Andrea Ferraresi. Dall’altro lato c’erano i piloti della Dakar, Franco Picco ed Edi Orioli, mentre in fondo erano seduti Gigi Soldano e Paolo Ianieri, chiamato a moderare la conversazione. Sette persone in tutto. Diresti che non potrebbe mai funzionare, invece è meraviglioso: si passa dalla realizzazione di una cucina in Breccia Medicea a Gigi Soldano che racconta di come si dorme in una macchina in mezzo al deserto. Le signore della Cortina bene, fuggite dal caos della Fashion Week, pendono dalle labbra di Franco Picco che spiega come si guida un quattro e mezzo tra le dune dell’Arabia Saudita. L’hanno chiamato Off-Road Dakar & Design e noi abbiamo fatto bene ad esserci.
Franco, Edi e Danilo
“Ogni anno devo avere una motivazione per tornare nel deserto - esordisce Franco Picco, anni 66, di ritorno dalla sua spedizione nel deserto numero ventotto - Sono tornato la prima volta a sessant’anni perché era un bell’anniversario, ma devi trovare qualcosa per cui valga la pena farlo. Ora non mi viene neanche più chiesto il risultato, il mezzo che non deve rompersi è il telefonino perché la gara la racconti con quello. L’occasione che ho avuto con Fantic (Picco ha corso con un prototipo che verrà commercializzato il prossimo anno, ndr.) è stata speciale, sviluppare una moto così è bello. Parlavo prima con Edi, questa Dakar è completamente diversa rispetto a quando facevamo le nostre battaglie - ricordiamoci, lui primo e io secondo - ma è comunque un’emozione. Magari sono il primo dei vecchietti o il primo a raccontare la gara e sono soddisfazioni. A me è sempre piaciuto fare il meccanico, sviluppare la moto. Parto la settimana prossima per un’altra gara, della Dakar 2023 si sta già parlando ma credo che la farò. Quando mi sono fermato, anni fa, ero convinto di avere i problemi fisici dell’età, facevo fatica a muovermi, ora invece mi alleno moltissimo per non farmi male in gara. Mi sento in forma, è la moto a tenermi in forma. Fermarsi sarebbe da matti”.
Edi Orioli, che gli è seduto a fianco e di Dakar ne ha vinte quattro, racconta che nel deserto non ci tornerebbe: “È da quando sono ragazzo che uso le moto, la passione ti rimane. Quest’anno la Dakar mi è sembrata un po’ diversa, io a casa ho tutte le cassette e ho guardato un po’ le tappe: c’erano 780 chilometri di speciale cronometrata nel deserto del Ténéré, ci abbiamo messo 11 ore e mezza ad arrivare. Adesso invece a mezzogiorno e mezzo i piloti sono già col telefonino sul camper, all’epoca era un’altra storia. Facevamo una media di centoventi orari, ma i camion non andavano a più di trenta, quaranta all’ora e bisognava aspettarli. A me piaceva navigare, trovare la strada giusta. Le mie vittorie le ho costruite un po’ tutte così anche se c’erano dei piloti che andavano più forte, alcuni francesi ci davano la paga. Per loro era una roulette russa, in cima alla duna dicevano ‘nel dubbio butta dentro la quinta’ senza sapere cosa ci fosse dietro. Io e Franco avevamo un po’ più di strategia”.
Entrambi sono rimasti colpiti da Danilo Petrucci. Una tappa della Dakar all’Italia mancava dai tempi di Fabrizio Meoni, ma dopo aver visto tanti piloti andarsene da soli in mezzo alla sabbia concordano sui troppi rischi presi dall’ex pilota MotoGP: “Su Danilo non avrei scommesso, quando ho visto che aveva vinto una tappa mi ha stupito - ha raccontato Orioli - Poi però è arrivato un po’ malconcio, il deserto non perdona: bisogna avere rispetto per il deserto, è un po’ come andare per mare. Queste sono gare di durata, come le corse a tappe del ciclismo. Non è una gara che dura due giorni, quando correvamo noi le gare ne duravano anche venti. Dovevi gestire tutto: il fisico, il cibo che era poco, il sonno”.
La Ducati, il deserto e Gigi Soldano
Di Danilo parla anche Andrea Ferraresi, Direttore del Centro Stile Ducati: “Le aziende e i piloti fanno delle scelte e ci siamo divisi. Quando diventi rosso e lavori per la Ducati sei rosso per sempre. Hai la giacca di un altro colore, magari un rosso quasi arancione, o bianca, o azzurra… Ma sotto la giacca sei rosso. Danilo è andato via ma è rimasto nell’orbita e ora torna, non c’è niente da fare”. Poi l’attenzione passa alla moto esposta a pochi metri dal tavolo, perfettamente integrata con l’arredamento di alto design tutt’attorno: “Le nostre moto nascono dalla passione - spiega il Direttore del Centro Stile Ducati - La DesertX non è frutto di un progetto del marketing, è stata un’idea perché volevamo portare qualcosa di diverso ad un salone (Eicma 2019, ndr.) e abbiamo chiesto ad uno dei nostri designer di immaginare la moto dei suoi sogni. Lui si è ispirato ad una moto che è nel museo Ducati, è la moto di Edi, la Cagiva Elefant. Siamo stati travolti dal successo di questa showbike e a quel punto era impossibile non metterla in produzione, ma volevamo che fosse una moto in grado di fare fuoristrada vero. Abbiamo messo il 21” davanti e il 18” dietro, sospensioni a lunga escursione e un’ergonomia dedicata al fuoristrada. Dal punto di vista stilistico - non dovrei dirlo io - è davvero un bel prodotto, ma soprattutto funziona molto bene”.
A seguire Paolo Ianieri ricorda di quando, nel 2014, Gigi Dall’Igna è arrivato a Borgo Panigale come nuovo Direttore Generale di Ducati Corse: “Lui ha un grande sogno - spiega il giornalista della Gazzetta - Appena è arrivato in Ducati ha detto che il suo obbiettivo, un giorno, sarebbe stato disegnare la moto per la Dakar. Non è la DesertX, perché il motore non è adatto, però in Ducati ci stanno ragionando”. Poi introduce Gigi Soldano, che fino a quel momento si era limitato ad ascoltare con attenzione: “Ha fatto tutte le tappe dormendo nel deserto - ha ricordato Paolo - Si spostavano da un posto all’altro grazie alla tecnologia, nelle notti di vento ha dormito in macchina… Soldano fa la MotoGP, ma forse la Dakar è la vera essenza del suo lavoro”.
Soldano conferma divertito: “Sono nato lì. Più che altro col cuore, perché quando vivi quelle sensazioni poi è difficile ritrovare altrove quello sfogo, quell’istinto che ti viene di fare fotografie in un certo modo. Ed è grazie ai posti, ma anche ai personaggi. Devi riuscire comunque a fare parlare le tue foto e per farlo hai bisogno anche un po’ dell’anima delle persone. Non necessariamente dei piloti, anche chi ci è attorno. Il momento d’oro di quest’anno è stato quando ho trovato delle iscrizioni rupestri su di una montagna, ero salito per fare delle panoramiche e ho trovato questi disegni che non so quanti altri abbiano visto. È stata una sensazione fortissima, come aver ritrovato Franco dopo tanti anni al bivacco, così come la storia di Aldo e Andy Winkler, padre e figlio che hanno deciso di correre insieme”. Nel frattempo sono passati a salutare anche Giacomo Agostini, 15 titoli mondiali, e Paolo Campinoti, patron del Team Ducati Pramac in MotoGP. L’Ambiente di Cortina è spazioso ma è stipato di gente.
Nel frattempo la serata ha riportato Edi Orioli a pensare alle sue edizioni della Dakar: “Ho tutte le copie delle diapositive che Gigi mi ha dato. Io non sono sui social, che dopo tre secondi sono in mondovisione. Abbiamo un patrimonio di fotografie a casa. Portare le foto sul web dalla diapositiva è un lavoro lunghissimo, ma è una figata. Ne avete viste davvero poche”.
Soldano spiega che quelle foto, spesso e volentieri, venivano portate in Italia da chi era costretto a rinunciare alla corsa: “Al tempo le foto che facevamo stavano nei rullini per giorni e quando arrivavamo al bivacco la direzione era una sola, l’infermeria. Perché da lì partiva chi si era fatto male, tornavano a Parigi e davamo loro un sacchetto con le foto da spedire. Ho portato le macchine nuove, oggi facendo gli scatti ho visto quattordicimila e qualcosa. Ma almeno diecimila… Devo guardarle, selezionarle e vomitare. Anche quando ho una moto da fotografare deve trasmettermi qualcosa. Poi la associo a un’altra cosa, spesso a un animale. Allora quasi ti diverti a cercare quell’aspetto, quell’angolazione e quella luce che ti rende un’anima”. Ma non è il solo. “Questo collegamento è una cosa che facciamo sempre anche noi - ha spiegato Ferraresi - Il Multistrada ad esempio è un’aquila. La DesertX è una macchina mangia sabbia, dobbiamo ancora capirla, non è molto zoomorfa. Ma sono associazioni importanti, quando vedi che è negativa vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato, bisogna buttare via il foglio e ricominciare. Quando funziona invece è bellissimo”.