Com’era quella storia? Squadra che vince non si cambia? Mi sa che a Tokyo, di chi fosse Boskov e dei suoi celebri detti, non avevano mai sentito parlare. Perché in Honda, non si sono fatti poi tanti problemi a prendere una delle moto più vendute della loro storia, l’Africa Twin 1100, nella variante Adventure Sports, per modificarne una delle caratteristiche che l’hanno resa fino ad oggi diversa dalle sue principali competitor. Ci riferiamo, naturalmente, al cerchio anteriore da 21”, che in questo model year 2024 sparisce, in favore di un più stradale 19”, portando l’Adventure Sports allo scontro diretto con sua maestà GS 1300. Avrebbero fatto meglio ad ascoltare i consigli di un vecchio allenatore che la sapeva lunga? Ci abbiamo fatto sopra qualche centinaio di km per scoprirlo assieme. Ecco com’è andata.
Evoluzione della specie
Presentata originariamente nel 2017, come variante maggiormente orientata all’avventura rispetto al modello base, la Adventure Sports si è, con il tempo, ritagliata un posto nel cuore di chi, il fuoristrada, lo vede soltanto per parcheggiare la moto davanti al rifugio (che già la spiaggia, con quella sabbia lì… diventa un tema). Infatti, le modifiche introdotte rispetto al modello base, come il serbatoio più capiente, le sospensioni dalla corsa maggiorata e i tubolari di protezione in acciaio (tutte presenti di serie), avrebbero dovuto invogliare un’utenza più orientata all’avventura a preferire questo modello rispetto alla versione standard. Tuttavia, complice l’aggravio di peso (nel tempo cresciuto ulteriormente, con l’introduzione delle sospensioni elettroniche) e ingombri non propriamente contenuti, chi era alla ricerca di una maggiore propensione fuoristradistica ha continuato a preferire la versione standard: più agile, meno impacciata, più adatta a un sentiero nel bosco. Per gli stessi motivi, al contrario, la Adventure Sports è lentamente diventata il punto di riferimento di quanti, all’interno del mondo Africa Twin, fossero alla ricerca di una inarrestabile globetrotter, in stile GS Adventure.
Un’evoluzione della specie che continuava, però, ad essere orfana di un’ultima sostanziale mutazione: l’abbandono del cerchio anteriore da 21”, in favore di un più stradale 19”.
Detto, fatto: dopo l’introduzione del cruise control, originariamente non visto di buon occhio in casa Honda, dopo l’arrivo delle sospensioni dotate di regolazioni elettroniche, un upgrade importantissimo per quanti passano la vita a montare e smontare tris di valige e mogli dalla moto, e assieme all’introduzione del parabrezza regolabile, con una reattività solitamente ricondotta alle Case europee Honda ha deciso di ascoltare ancora un volta i consigli del pubblico, mettendo la sua Adventure Sports nelle condizioni di vedersela direttamente, tra le altre, con GS 1300, Multistrada V4 e KTM Super Adventure S.
Ok ma com’è fatta?
Equipaggiata con il solito un motore bicilindrico frontemarcia, da 1084 c.c., fasato a 270°, capace di erogare 102 CV, con una coppia massima di 112 Nm a 5.500 giri/min, posizionato all’interno di un telaio a semi-doppia culla in acciaio, con telaietto reggisella in alluminio imbullonato, la versione Adventure Sports si caratterizza quindi, oltre che per la nuova ruota anteriore da 19”, anche per le stesse caratteristiche che l’hanno resa la più ricca, tra gli equipaggiamenti disponibili all’interno della gamma Africa Twin. E, quindi: serbatoio maggiorato da 24,8 litri, forcella Showa EERA (Electronically Equipped Ride Adjustment) con funzionamento integrato con i Riding Mode ed escursione da 210 mm, monoammortizzatore a controllo elettronico Showa EERA con leveraggio Pro-Link, con precarico regolabile elettronicamente anche in movimento ed escursione da 200 mm, ABS a 2 canali su piattaforma inerziale IMU, con modalità OFF-road, e il solito completissimo dashboard a colori, con funzione touch e dotato di connettività Bluetooth, oltre che di Apple CarPlay e Android Auto. Ancora sul fronte dell’elettronica, merita di essere segnalata la presenza di quattro modalità di guida preimpostate (Urban, Tour, Gravel, Off-Road) a cui si aggiungono due modalità personalizzabili (User 1 e User 2). Ognuna di esse agisce su risposta dell’acceleratore, intervento del freno motore, del controllo di trazione, dell’anti-wheeling e del precarico. Gli ultimi tre parametri restano regolabili separatamente, anche in movimento, a prescindere dal riding mode selezionato.
Il modello che Honda ci ha fornito in prova era, inoltre, dotato del cambio a doppia frizione DCT, esclusiva della casa giapponese, oggi decisamente al centro dell’attenzione, visto la recente introduzione del nuovo sistema di cambiata assistita introdotto da BMW, del prossimo rilascio di una analoga soluzione da parte di Yamaha e KTM, e dalla introduzione, da parte della stessa Honda, del nuovo sistema E-Clutch di cui vi abbiamo già parlato qui.
È questo un sistema davvero unico, per tecnologia e funzionamento, e che, a nostro parere, è realmente in grado di porsi come potenziale motivo d’acquisto di questa moto. Non è un caso, d’altra parte, se la stragrande maggioranza delle Africa Twin vendute sino ad oggi è stata equipaggiata con questa soluzione, nonostante l’aggravio di peso che essa comporta (circa 10 Kg in più, rispetto a un cambio tradizionale). A proposito di peso, l’Africa Twin 1100 Adventure Sports DCT model year 2024 fa segnare sulla bilancia un valore di 253 Kg con il pieno di benzina, 9 in più rispetto alla sorella standard dotata di sospensioni elettroniche e di analoga trasmissione (il cui serbatoio è in grado di contenere 18,8 litri di carburante).
Ok ma come va?
Una volta in sella, la nuova Africa Twin 1100 Adventure Sports sorprende per le proporzioni: ok la moto è una signora moto, ma non è così grossa come ci si potrebbe aspettare. Soprattutto in verticale, complice il nuovo cupolino regolabile, più basso di quello adottato in precedenza, e complice l’abbassamento dovuto alla ruota anteriore più piccola, la percezione è di una moto dalle dimensioni più “umane” di quanto i volumi esteriori non lascerebbero ipotizzare. La sella, alta 835 mm (regolabile in posizione rialzata a 855 e sostituibile con quella ribassata da 795) consente di toccare piuttosto agevolmente a terra, permettendo di effettuare le manovre da fermo con una discreta facilità.
Una volta mossa dal cavalletto (per inciso molto inclinato, con i pro e i contro che ne conseguono), a colpire è la percezione di un ottimo bilanciamento e di una buona centralizzazione delle masse. Caratteristiche queste che, come da tradizione Honda, si manifestano in una grandissima facilità di guida, fin dai primi metri.
Sul model year 2024 fa la sua comparsa l’ultima evoluzione del cambio DCT. Ad essere riviste sono state soprattutto le logiche di cambiata nelle modalità automatiche. In questo senso, la modalità Drive risulta, come già in precedenza, eccessivamente parsimoniosa nell’utilizzo dei giri motore, per lo stile di guida che è inevitabilmente necessario adottare sulle nostre strade. In questa modalità la moto è portata a inserire con molto anticipo il rapporto superiore, lasciano che il motore lavori all’interno di un arco di utilizzo solitamente non superiore ai 3.000 giri. Le cose cambiano con la selezione della modalità Sport (S), a sua volta regolabile su tre livelli. A questo proposito, quale fosse la modalità più appropriata per un impiego in città, è stato motivo di notevoli riflessioni. Insomma: in che maniera è meglio usare il cambio DCT, all’interno di un contesto urbano? Dopo molti tentativi siamo giunti alla conclusione che non esista intelligenza artificiale in grado di prevedere correttamente il modo di cambiare più appropriato per un impiego tanto schizofrenico come quello richiesto da una città come Milano (o Roma, o Napoli o fate voi). L’opzione manuale è e resta la migliore possibile in un contesto in cui spesso si è portati ad accelerare in maniera piuttosto violenta sullo 0-50 Km/h, salvo poi attestarsi su una velocità di crociera medio bassa, magari con un rapporto più lungo. Diverso è il discorso per l’extra urbano. Qui, la proverbiale capacità di leggere nel pensiero di questa soluzione tecnica, appare decisamente più evidente, rendendo la modalità automatica una reale alternativa, a tratti persino preferibile, a quella manuale. A proposito di quest’ultima, un cenno lo merita l’ergonomia. Per azionare il cambio, infatti, è necessario utilizzare due palette presenti sul blocchetto sinistro. Ora, è proprio quest’ultimo uno degli elementi che più ci sentiamo di criticare su questa moto. Quanto ai selettori del cambio, quello per l’inserimento dei rapporti più corti è semplicemente troppo… corto. Chi vi scrive ha la mano piccola, ok, ma la necessità di dover spostare la mano lungo il manubrio ogni volta sia necessario raggiungere il paddle per la scalata rappresenta davvero una scomodità. Certo, è possibile installare il comando a pedale, ma si tratta di un optional da più di 400 euro ed è soprattutto un qualcosa di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno se l’ergonomia di questo particolare fosse stata studiata diversamente. Yamaha, a tal proposito, ha già mostrato come sarà costruito il selettore del suo cambio elettroattuato (Y-AMT). Si tratterà di un unico comando basculante, che permetterà di cambiare in entrambe le direzioni intervenendo su uno soltanto dei due selettori: una soluzione simile ad alcuni cambi da bici già visti in passato, che sembra decisamente più comoda rispetto a quella scelta dagli uomini Honda.
Al pari dei selettori del cambio, il blocchetto di sinistra risulta piuttosto problematico nel suo funzionamento anche quando, ad essere chiamati in funzione, sono i pulsanti contenuti al suo interno. Per farla breve, i tasti sono così tanti da rendere indispensabile guardare ogni volta cosa si stia per schiacciare, per essere sicuri di azionare il comando giusto. Con l’abitudine e l’utilizzo prolungato della moto, è certo, questo problema risulterà mitigato, ma a colpire è come Honda si perda in dettagli in nome della sicurezza (vedi parabrezza regolabile con due mani), salvo poi cambiare posizione a un pulsante, come quello del clacson, che in certi frangenti può davvero salvare la vita, specialmente in moto. Di questa stessa schizofrenia soffre il display centrale, soprattutto quando ad essere operativo al suo interno è il sistema Apple CarPlay. Sia chiaro, bravissima Honda ad aver implementato questa funzione, ormai diversi anni fa, con grande anticipo sui competitor (che addirittura, su progetti nuovi come GS 1300, fanno spallucce riproponendo dashboard progettati anni fa, senza alcuna soluzione del genere al loro interno). Resta, tuttavia, da capire a cosa serva avere a disposizione un sistema che è progettato per funzionare con un touch screen se non è possibile farlo in movimento. In questo frangente, infatti, ogni dialogo con l’interfaccia Apple è demandato ai comandi a manubrio (sempre sul blocchetto sinistro). Tale circostanza obbliga però a districarsi tra i numerosi pulsanti spesso confondibili al tatto (soprattutto coi guanti), restituendo una esperienza ancora più macchinosa e, in definitiva, pericolosa, di quanto non lo sarebbe un semplice tap sulla funzione desiderata al centro dello schermo.
Al netto di questo pippone su ergonomia e funzionamento di Apple CarPlay, Africa Twin Adventure Sports 1100, una volta varcati i confini della città mostra tutti i pregi di un progetto che da diversi anni è in testa alle classifiche di vendita nel nostro Paese e non solo.
La moto, come detto, è facile e intuitiva e, soprattutto, può contare su di un motore davvero eccezionale per erogazione sfruttabilità. Il bicilindrico parallelo è in grado di riprendere senza nemmeno uno strappo da regimi ridicolmente bassi. Bastano 1.200-1.500 giri (e forse anche meno) per poter accelerare, in qualsiasi marcia, senza il minimo strappo. Un tiro enfatizzato, inoltre, dal cambio DCT che, in modalità automatica, sorprende per reattività, ad esempio nelle fasi di sorpasso in autostrada. Aprite tutto, in sesta marcia, a velocità di crociera, e il kick-down sarà pressoché immediato, ma del tutto privo di strattoni o di comportamenti imprevedibili: una risposta migliore della stragrande maggioranza dei cambi automobilistici in commercio da diversi anni. Ottime le sospensioni, pur se sempre caratterizzate da una certa tendenza al beccheggio, nella prima parte della loro escursione, anche nelle modalità più controllate. È questa una caratteristica che, se da un lato assicura un eccezionale assorbimento delle asperità anche su strada (a Milano, ad esempio, il pavé viene digerito in maniera fantastica), per contro obbliga a fare sempre i conti con una certa massa quando si cerca la guida più sportiva. Perché di andare forte, con questa Africa Twin, viene voglia davvero, grazie alla ruota da 19 pollici all’anteriore. Una soluzione che, con gommatura stradale, come sulla moto in prova, consente di togliersi ben più di una soddisfazione, anche in piega. A proposito di gomme, il treno con cui era equipaggiato l’esemplare oggetto del test non ci ha permesso di verificare le capacità di questa Africona su terreni sterrati. A onor del vero abbiamo provato a portarla sullo stesso identico percorso sul quale, nei mesi scorsi, abbiamo provato la Triumph Tiger 900 Rally Pro. Ecco, se in quel contesto, la moto inglese ci aveva stupito per trazione e capacità di disimpegnarsi, nonostante una gommatura altrettanto stradale, l’Africa in prova si è dimostrata decisamente più impacciata, costringendoci a una clamorosa retromarcia con la coda tra le gambe. Difficile dire se il fondo fosse cambiato particolarmente nel frattempo, ma la sensazione è che a giocare un ruolo determinante siano state proprio le coperture.
Ancora un cenno sulle sospensioni, con riguardo alle possibilità di regolazione. Premesso che le unità Showa che equipaggiano l’Africa Twin non sono di tipo semi-attivo (niente lettura in tempo reale del manto stradale ed effetto anti-dive, quindi), abbiamo qualche perplessità sul livello di dettaglio nelle regolazioni che è consentito per il precarico, a fronte di quelle permesse per l’idraulica. In sostanza, una volta effettuato l’accesso al menù dei settaggi, per il precarico sono previsti 24 (VENTIQUATTRO) livelli di regolazione, con possibilità di differente customizzazione nel caso alla guida sia il solo guidatore, guidatore+passeggero, guidatore con bagagli e pieno carico. Per contro, le regolazioni dell’idraulica si limitano a un’impostazione generica delle logiche di funzionamento, suddivisa tra hard, soft e offroad. Ognuna di esse è, poi, personalizzabile su tre livelli (+ ha il livello massimo di smorzamento delle sospensioni, - ha il livello minimo di smorzamento). Volendo cercare il pelo nell’uovo avremmo preferito poter intervenire con maggior raffinatezza anche su questo aspetto, detto che, delle sue rivali, nessuno, al momento, è in grado di consentirlo ancora.
Tornando ai feedback dati dal mondo reale, è in autostrada, infine, che emergono i migliori pregi, ma anche il più grande difetto, della nuova Adventure Sports 2024. Si tratta, come spesso in questi casi, di due facce della stessa medaglia. Una volta imboccata una strada ad alto scorrimento, infatti, ad emergere è soprattutto il grande lavoro fatto in merito alla protezione aerodinamica, offerta da questa moto. L’intera figura del pilota è, infatti, riparata dietro un complesso serbatoio-carenatura-parabrezza in grado di proteggerlo con grande efficacia, senza dare adito a fruscii nella zona del casco. Ok ma allora qual è il difetto, direte voi? È in questo stesso contesto che si fa, purtroppo, sentire una forte sensazione di calore nella zona del cavallo. Se in città questa problematica è quasi assente, è nel momento in cui i radiatori sono attraversati da grandi flussi di aria che il caldo va ad investire il pilota, con esiti via via più marcati, con il passare dei chilometri. L’ampio serbatoio in lamiera tende infatti ad assorbire (e trattenere) il calore da cui è raggiunto, rendendo la zona di seduta pesantemente penalizzata. L’ampiezza trasversale del serbatoio rende, inoltre, sostanzialmente inutile il tentativo di aprire le gambe per raccogliere flussi d’aria fresca dai lati della moto. Un vero peccato, vista e considerata la natura turistica di questo mezzo e il fatto che molti utenti si troveranno a percorrere le tratte più lunghe, ragionevolmente, proprio nei mesi più caldi dell’anno.
Quindi?
Africa Twin, anche e soprattutto in questa variante Adventure Sports DCT 2024, si dimostra ancora una volta un progetto estremamente riuscito e sempre più raffinato. La capacità di Honda di raccogliere gli input ricevuti dai suoi utilizzatori, con il passare delle versioni ha trasformato questa moto in un mezzo sempre più completo, oltre che l’unica altra moto presente sul mercato, proprio al pari di BMW GS, a poter vantare una peculiarità tecnica in grado di giustificarne l’acquisto. Ci riferiamo, naturalmente, a quel concentrato di tecnologia rappresentato dal cambio DCT: un oggetto che nessuno, fino ad ora, ha saputo replicare nel suo funzionamento e che si posiziona, per facilità di utilizzo ed efficacia, uno step sopra a qualsiasi altra soluzione sia stata sviluppata in questi anni, E-Clutch compreso. Capitolo prezzi: per mettersi in garage una Africa Twin Adventure Sports DCT 2024 vi serviranno non meno di 20.490 euro. Una misura super concorrenziale per una moto dal rapporto qualità/prezzo davvero impareggiabile.