Sono trascorse poco più di ventiquattro ore dall’atto di vandalismo contro la scultura di Gabriele D’Annunzio a Trieste, imbrattata dalla vernice gialla di quattro scalzacani a viso scoperto, poi fortunatamente ripulita senza danni, ed è di nuovo polemica aspra per un’opera di arte pubblica, a detta di qualche esperto sospetta di “fascismo”. Questa volta andiamo a Genova per l’inaugurazione del monumento a Giorgio Parodi, che nel 1921 proprio nel capoluogo ligure fondò la prima fabbrica della Moto Guzzi.
La statua marmorea raffigura il celebre capitano d’impresa in divisa militare, intento a leggere alcuni fogli, gesto niente affatto belligerante, eppure c’è chi ci ha visto - complici i soliti social, ma nel dibattito stavolta sono entrati anche storici, politici e l’Anpi - non la celebrazione dell’imprenditore bensì “Il militare volontario in due guerre mondiali e in una guerra coloniale fascista". Non l’inventore di una delle più importanti motociclette italiane che festeggia il secolo di vita, ma il volontario partito per la guerra contro civili inermi, un’espressione del regime che ancora rappresenta “una ferita per la città”. E giù a citare frammenti dei fondamenti antifascisti della Costituzione, serve sempre chiamarla in causa se si è a corto di idee.
Alcune persone vedono complotti ovunque; altre, e molte di più, sono inseguite dai fantasmi del fascismo. Una vera e propria ossessione soprattutto per chi ignora la storia o peggio la strumentalizza a proprio uso e consumo. Forse non sanno, perché non studiano, che l’arte sotto il Ventennio attraversò un’epoca di assoluto splendore, nella pittura, nella scultura, nell’architettura. In particolare nei primi dieci anni si assistette a un progetto di modernità europea, prima di declinare malinconicamente nell’eccesso di propaganda degli anni ’30. Si svilupparono allora il Secondo Futurismo e l’Astrazione, il Razionalismo e il “ritorno all’ordine”, la visione di città era più indirizzata all’utopia del futuro che non alla celebrazione nostalgica del passato. Certo, non tutti gli artisti furono fascisti e qualcuno ebbe i suoi problemi, ma generalmente il regime non censurava preventivamente nessuno poiché riteneva l’arte un territorio abbastanza libero rispetto all’uso politico. Prova ne sia, tra le tante, la vittoria di Renato Guttuso con Crocefissione (1941-42) al Premio Bergamo, voluto dal ministro della cultura Giuseppe Bottai promulgatore della rivista di cultura “Primato”. E Guttuso fu, a partire dall’immediato dopoguerra, il pittore ufficiale del Partito Comunista; ben altra sorte è toccata a Mario Sironi, che ha pagato a lungo la sua vicinanza con il regime, soprattutto per le pitture murarie, ostracizzato dalla critica ufficiale di sinistra che non si peritava neppure di esaminarne l’opera per via di troppa vicinanza con il potere. Eliminato dai radar per decenni.
La verità che in questo Paese la cultura dominante è sempre stata di sinistra, proditoriamente censoria verso tutto quello che non corrisponde ai canoni stabiliti: i libri da leggere e da non leggere, il cinema d’autore versus intrattenimento, per non parlare della musica. Se intorno al ’68 tutto ciò poteva essere giustificato da un’ansia rivoluzionaria, oggi non ci sarebbe davvero più ragione per inseguire certi fantasmi e invece no, mancando il nemico nel presente lo si va a cercare nel passato e in Italia questo nemico ha un solo nome: fascismo.
Peccato che siano proprio loro, i progressisti, a voler abbattere statue, portavoci di una delle più ignobili aberrazioni del terzo millennio, la cancel culture, basata sull’ignoranza e sulla manipolazione della storia. Nella loro frenesia criminale vogliono abbattere statue, riscrivere libri, cambiare finali a film e opere liriche, eliminare personaggi uomini che amano troppo le donne e donne che si fanno amare troppo dagli uomini. A tale follia non passa indenne neppure la statua di Giorgio Parodi, realizzata dallo scultore marchigiano Ettore Gambioli (peraltro collezionista di Guzzi già autore di un lavoro installato a Mandello), di cui un consigliere comunale del Pd minimizza le qualità di imprenditore e aviatore a fronte delle gravi responsabilità nella guerra imperialista in Africa. E pensare che a Cavriago, il paese di Orietta Berti, c’è ancora la statua di Lenin, una delle principali strade di accesso al centro di Bologna si chiama via Stalingrado, e a Torino c’è corso Unione Sovietica. Restano ancora lì e non le tocca nessuno. Perché la verità è che i fascisti sono loro.