Duecento che? Ogni volta che ho cercato di raccontare la North West 200 a chi non sapeva di cosa stessi parlando ho faticato non poco. D’altro canto non sono molti gli italiani che conoscono il Tourist Trophy, la regina delle gare motociclistiche stradali. Sì, proprio quella che si disputa all’Isola di Man e che ha lasciato dietro di sé una striscia di morti senza eguali nella storia del motorismo: includendo anche quanti hanno perso la vita al Manx GP, che si disputa sullo stesso percorso stradale da 60,7 km, sono circa 270 le persone decedute per incidenti in prova e in gara all’Isola di Man.
Un’ecatombe che scatena l’indignazione delle anime belle che ne chiedono la cancellazione, ritenendola anacronistica. Dimenticando, però, che la partecipazione è volontaria, a differenza degli anni Settanta quando i piloti del Motomondiale erano costretti ad affrontarla per non lasciare ai rivali preziosi punti.
La North West 200 rientra anch’essa tra le road races, sebbene sia praticamente sconosciuta in Italia. O meglio lo era fino ai primi anni Duemila perché dopo averla scoperta, nel 2006, ho cercato di promuoverla con articoli su giornali e riviste, da Sportweek alla Gazzetta dello Sport, passando per Riders e Motosprint.
Non contento mi sono messo in mente di scrivere il primo libro italiano su questa competizione che va in scena in Irlanda del Nord dal lontano 1929 e che è sfuggita all’attenzione generale perché, a differenza del TT e dell’Ulster GP che si correva alla periferia di Belfast, non ha mai fatto parte del calendario del Motomondiale. Il risultato è un libro che come il generale Vannacci insegna mi sono autoprodotto, così da poter controllare ogni aspetto e incamerare qualcosa di più del triste obolo che le case editrici riservano agli esordienti che non godono di centinaia di migliaia di followers sui social. Anche perché, detratti i costi di stampa e la percentuale spettante ad Amazon, devolverò l’intero ricavato in beneficienza, in primis per l’acquisto di un defibrillatore e poi per coprire altre spese a beneficio di un borgo sperduto nella bergamasca.
Contro ogni aspettativa, fin dal terzo giorno d’uscita questo libro, che ho intitolato North West 200 - La corsa più bella al mondo, è in testa alle classifiche di vendita del sito per la categoria motociclismo, davanti a Carlo Pernat e a tutti gli altri.
Il titolo ad effetto potrebbe sembrare un mero artificio di marketing, ma in realtà rispecchia ciò che penso, pur amando e seguendo MotoGP e Mondiale Superbike: la dimostrazione discende dalle 7 edizioni della NW200 a cui ho assistito dal 2006 al 2023, traendone sempre grandi emozioni.
Merito delle condizioni in cui si disputa questo meeting che ogni anno, la seconda settimana di maggio, raduna oltre centomila spettatori, per lo più non paganti. Alle road races si vede andare forte sul serio, grazie ai passaggi a velocità folli a pochi metri dal pubblico, stante la mancanza di vie di fuga.
A differenza del TT, la NW200 si distingue per la partenza in griglia, come nei Gran Premi, i corpo a corpo sul filo dei 320 km/h, le staccate con il piede fuori, il circuito da 14 km che collega i paesi di Portrush, Portstewart e Coleraine e l’ineguagliabile cornice, l'incredibile costa settentrionale dell'Irlanda del Nord. In origine si correva sulle 200 miglia ma con il passare degli anni la distanza è stata accorciata – ogni gara prevede dai quattro ai sei giri – e il numero delle gare si è moltiplicato: attualmente se ne corrono 8 per edizione, 5 il sabato e 3 il giovedì dal tardo pomeriggio.
Quattro le categorie in programma, con due manche ciascuno: Superbike, Superstock, Supersport e Supertwin. E proprio in quest’ultima, riservata alle bicilindriche fino a 700 cmc l’Italia ha scritto una pagina di storia nel 2019. In sella ad una Paton, il meccanico bergamasco Stefano Bonetti (autentico idolo per gli amanti della specialità, con oltre 121 mila followers su Facebook) è riuscito a mettersi tutti alle spalle, diventando il primo e finora unico non anglofono a vincere la NW200.
L’altra faccia della medaglia sono i 19 lutti finora registrati, l’ultimo nel 2016, inclusi leggende come Tom Herron e Robert Dunlop. Alla NW200 hanno corso pure Mike Hailwood e Phil Read, senza mai entrare nell’albo d’oro, a differenza di Carl Fogarty che proprio nel paddock della NW200 si è creato un amuleto che poi ne ha accompagnato l’ascesa, fino alla conquista di quattro titoli iridati tra le derivate di serie. Non è stato altrettanto fortunato Alastair Seeley: malgrado i 29 successi alla NW200, record di tutti i tempi, il minuto nordirlandese si guadagna da vivere come postino.
Ed è proprio questa semplicità, così come la possibilità di passeggiare nel paddock e il ritorno alla centralità del pilota, a discapito dell’elettronica, delle polemiche sulle gomme e degli ordini di scuderia, che rende la North West 200 così speciale, almeno per me.