Jorge Lorenzo che trascina un trolley della VR46 e che, girandosi verso la telecamera, se ne esce con un “dopo un pomeriggio con Andrea Migno m’è venuta la febbre gialla”. E’ solo il trailer dell’ultima puntata di MigBabol, ma una roba così, come si dice in gergo giornalistico, starebbe in piedi anche da sola. Perché ci si potrebbe raccontare sopra di tutto. Invece il racconto l’ha fatto direttamente Jorge Lorenzo, in un’ora e qualche minuto di intervista in cui s’è raccontato come i piloti riescono a raccontarsi solo quando a fare le domande c’è chi può capirli. Un altro pilota, insomma, con la solita spalla. E il solito format di un salotto informale ricavato, ora, nello stabilimento di quella WRS che ormai ha il suo logo non solo sui cupolini delle motociclette, ma in tutto ciò che è velocità su due ruote e non solo. Piccole divagazioni sulla sostanza che, invece, è stata un’intervista lunga che ha ripercorso la solita storia, ma con qualche aneddoto in più. E che, lasciatecelo dire, ha restituito uno Jorge Lorenzo che quando vuole riesce a essere anche più sbottonato del solito. Più umano e fresco dell’immagine a cui ci ha abituati. Senza rinunciare, sia inteso, a quel modo un po’ spavaldo che lo caratterizza da sempre.

“Ho fatto parte dell’epoca d’oro delle corse e i più forti li ho battuti tutti. Non significa che ero più forte, ma li ho battuti tutti in un mondiale e ci sono riuscito solo io”. Quasi un modo per mettere subito le cose in chiaro e spiegare con poche parole tutto l’orgoglio che c’è dentro la storia di vittorie di un ragazzo che recentemente ha anche ammesso (proprio a MOW) di non aver mai amato davvero le motociclette e di sentirsi un po’ diverso in questo dalla stragrande maggioranza dei suoi colleghi. “Il punto di forza di Pedrosa? – ha detto poi tornando ai grandi nomi degli anni d’oro - Era molto sensibile e pulito. Lui ha un merito enorme: un pilota che pesa cinquanta chili e con la sua altezza che riesce a fare quello che lui ha fatto in MotoGP è pazzesco . Era molto debole in frenata, a causa della sua condizione fisica. Stoner? Guidava tutto di istinto e comprendeva immediatamente i limiti della pista. Lui poteva pure fare le gare senza le prove, solo la gara. È stato incredibile".
E è stato incredibile anche batterli entrambi in pista, come Lorenzo ripete ancora, prima di parlare degli altri due dei magnifici cinque. “Con Valentino Rossi da compagni di squadra la tensione era totale – ha ammesso - Eravamo entrambi super competitivi e era un vero pollaio con due galli perché eravamo entrambi molto orgogliosi. Entrambi pensavamo di essere i migliori. Nessuno dei due si è tirato indietro, quindi è stato difficile. Stessa moto, stessa squadra... chi batteva l'altro era il migliore. Poi quando lui è andato alla Ducati e poi io alla Ducati il nostro rapporto è migliorato. Più eravamo distanti, più il nostro rapporto si rafforzava . Quella volta a Barcellona? Lui l'ha raccontata bene, è andata come ha detto lui, io sono stato un po' ingenuo. Comunque poi, quando abbiamo smesso, non avevamo più bisogno di essere i migliori, non dico che siamo diventati amici ma c'è un rapporto buono. Mi ha anche invitato al Ranch e è stato molto divertente. Mi hanno dato una moto, senza alcun allenamento o altro. È stato difficile perché la pista era insidiosa, ma l'importante era divertirsi e mi sono divertito”. Il 2015? Jorge Lorenzo parla anche di quello "non piacerà ai tifosi di Valentino"), ma Andrea Migno ha riservato quel contenuto agli abbonati.
E Marc Marquez? E’ l’altro delle cinque leggende recenti delle corse che Jorge Lorenzo è riuscito a battere (nel 2015), ma sul 93 i toni si fanno differenti, perché comunque si finisce per parlare di un pilota che è ancora lì a giocarsela. “Su lui possiamo già dire che sarà il campione del mondo 2025 – ha tagliato corto Lorenzo – possono già cominciare a scrivere il suo nome sulla coppa. E’ un talento naturale, fisicamente è già molto forte e lavora anche duramente sul suo corpo. Ha incredibili riflessi e, soprattutto, ha meno paura di farsi male o di infortunarsi. Rispetto a tutti gli altri. È fortissimo, soprattutto nelle curve a sinistra, che non sono facili. Il suo punto debole è proprio ciò che lo ha reso così forte: non ha paura. Ha commesso errori in passato e questo gli toglie qualcosa. Se non succederà nulla di grave, vincerà questo campionato del mondo”.
A lui è riuscito cinque volte, di cui tre in MotoGP, ma anche nel salotto di Migno ha ribadito che essere nelle corse è stata un po’ una sofferenza, a causa del suo carattere puntiglioso e perfezionista. “Mi allenavo sei o sette ore al giorno e poi la sera prima di andare a dormire facevo un’altra ora di esercizi – ha detto – quando le cose non andavano bene, come quando ero con Honda prima che dicessi basta, mi allenavo ancora di più e con più intensità per provare a tornare sui miei livelli. Ero bruciato. Ora vado poco in moto anche per quello, perché sento che non riesco a fare quello che facevo e quando non c’è una vittoria da giocarsi lascia il tempo che trova. Non mi mancano le moto, mi manca vincere. Ho provato a riprovare la sensazione della vittoria con le gare di auto. E’ stata una esperienza bellissima, ma non vincevo niente. Però mi è piaciuto riprovare le sensazioni di quando avevo 15 anni e un giorno (record che ancora resiste) all’inizio del mondiale, in cui ero appena arrivato e avevo tutto da imparare da quelli più forti di me”. Mentre in seguiva un sogno che era diventato suo dopo essere stato il progetto di “un padre come un sergente, a cui devo tutto, ma con cui è stato davvero difficile. A undici anni, la prima volta in cui ho provato una moto da GP a Cartagena, pesavo 38 kg e chiusi a tre secondi da Alzamora e uno e mezzo da Cecchinello”.

Oggi la moto, come aveva raccontato anche a noi di MOW, è qualche uscita in pista un paio di volte l’anno e, adesso, anche qualche scorribanda sulle dune del deserto, visto che ormai vive a Dubai. “Ho vissuto per tanti anni a Lugano, ma a me piace il sole, piace il caldo e a Dubai sto benissimo, mi sono trasferito da poco – ha confidato – Mi godo le mie auto, ma non vado in pista in moto”. Anche perché l’elenco degli infortuni rimediati in carriera è impressionante, con Lorenzo che sembra ricordare il dolore di ogni singola acciaccatura, oltre all’orgoglio dei recuperi e dei mezzi miracoli di cui è stato capace pur di tornare a vincere. “A Assen in quell’anno pensavo di stravincere e volevo chiudere primo anche sotto la pioggia, ma feci quel volo tremendo. Ho pensato di aver buttato nell’immondizia il campionato – ha raccontato ancora – la mia clavicola era spaccata in sette pezzi, e era la settima volta che la rompevo. Il dottor Mir mi disse di aspettare fino a lunedì e che mi avrebbe operato, ma dopo cinque o sei ore sono salito su un aereo privato e sono andato a operarmi per fare la gara. La sera stessa mi hanno operato e il giorno dopo ero alla gara, feci quinto partendo dodicesimo e quando è ritornato il dolore stavo per prendere Vale, Pedrosa e Marquez che erano davanti”.
La svolta della sua carriera? “Il 2005 – dice – prima ero come Schwantz, che pensavo solo a vincere e non mi rendevo conto che se volevo vincere titoli avrei dovuto imparare a gestire e accontentarmi e non pensare alle rimonte o allo spettacolo. Un altro punto di svolta è stato quando ho cambiato il mio primo manager, passando anche dal 48 al 99 quando ero già in MotoGP, scelsi il 99 dopo aver visto qualche giocatore di calcio indossarlo, forse mi sono ispirato a Antonio Cassano. L’avversario più difficile? Forse il Sic, era tipo il gorilla di Mario Kart. Era incredibile, anche se in quegli anni il nostro rapporto non è stato buono perché lui era molto aggressivo e io ero diventato molto pulito, la verità è che mi sarebbe piaciuto conoscerlo più come persona, ma quando si è rivali è tutto troppo difficile. Penso che fuori dalla pista era un personaggio molto autentico. I miei idoli da ragazzino? Quelli arrogantelli: Carl Fogarty e soprattutto Max Biaggi con quella meravigliosa moto nera. Provavo sempre a imitare Max, mi ha dato molta ispirazione: il mio primo ricordo è il suo GP d’Indonesia del 1995. Seguivo più la 250 della 500 nonostante ci fosse lo spagnolo Crivillè”.

L’intervista, però, è pure una lezione sull’ostinazione come valore che porta lontano che andrebbe fatta ascoltare nelle scuole, con Lorenzo che racchiude tutto in un aneddoto. “Mi resi conto – racconta – che perdevo sempre una fila in partenza: partivo primo, ma alla prima curva giravo quarto. Così comprai una R1 e alcuni kit di frizioni e affittai il Montmelò solo per me. Provavo le partenze con il mio meccanico storico e ogni tre o quattro bruciavo una frizione e ne montavamo un’altra. Alla fine saper partire alla Jorge Lorenzo mi ha aiutato tantissimo e nessuno è mai riuscito a farlo come me”. A proposito di analogie, Lorenzo tocca anche “l’argomento Pecco Bagnaia”, quasi facendo un parallelismo con gli anni in cui una Desmosedici l’ha guidata lui. “E’ una moto totalmente diversa – dice – ai miei tempi non girava. Era la moto perfetta per Dovizioso e la peggiore per me che invece venivo da una Yamaha e avevo guidato sempre in maniera differente. Mi sembrava assurdo che più piegavo e meno la moto curvava, nonostante Pirro me lo diceva in continuazione. Poi nel 2018, grazie anche a alcune nuove parti, l’ho capita. Ci sono piloti che vogliono tutto un po’ perfetto che prediligono la guida pulita magari sacrificando la staccata, io non appartenevo a quella tipologia di piloti lì”.
Quasi una premessa, quella di Lorenzo, prima di dilungarsi sui campioni e gli avversari del passato, per poi arrivare alla MotoGP di oggi e Pecco Bagnaia. “Io lo difendo molto – conclude Lorenzo – perché lui è un po’ come me: pilota perfettino. Bagnaia mi piace perché non molla. Chi mi piace, invece, dei piloti del futuro? Pedro Acosta, penso che sopra una Ducati farebbe paura perché ha la grinta e la fame di chi vuole vincere, solo che adesso con la KTM è difficile pensare che possa vincere tante gare. Se devo trovare un difetto a Acosta direi che è un po’ estremo nel suo inserimento nelle curve, ma a volte è troppo esagerato”.