E’ il 20 gennaio. E per chi è cresciuto a pane e motociclette significa una cosa sola: il compleanno di Marco Simoncelli. Che non c’è più, ma non smette mai di esserci. E ogni volta è un po’ la stessa storia: trovare un modo per ricordarlo. Per raccontarlo ancora quasi a voler urlare che no, quel ragazzo lì, quel pilota lì, è uno a cui fare gli auguri anche se sono tanti anni che non compie più gli anni. E si finisce quasi sempre per buttare fuori un qualche aneddoto, a chiedersi se, arrivato a 38, avrebbe corso ancora, o col provare a ragionare su come sarebbe stata la MotoGP oggi se “l’era Simoncelli” si fosse compiuta tutta. Non s’è compiuta, perché così sono le corse.
A quella domanda una risposta viene da darla lo stesso e senza la superbia di sentirsi profeti: sarebbe stata più genuina. Non perché adesso non lo è, ma vuoi mettere col fenomeno della genuinità ancora in giro per il paddock in un qualche ruolo? “Il Sic è uno pane e salame” disse qualcuno quando ancora non si poteva neanche immaginare che l’avremmo pianto tutti un po’. E probabilmente quella definizione è stata la più giusta di sempre, la più aderente al vero, perché innocente e semplice come era semplice quel ragazzo. Profondo, ma leggero. E per raccontarlo ancora, senza stare a ricorrere a troppe ricerche, sono arrivate le parole della persona che lo ha amato e che lo aveva scelto, lasciandosi scegliere, già quando erano entrambi poco più che ragazzini. Sì, signori: qualunque parola oggi varrebbe meno di niente rispetto a quelle che ha messo in fila Kate Fretti per una storia su Instagram, insieme a una foto che parlerebbe pure da sola. Perché nella tristezza di un “auguri buttato nel vento” c’è pure la freschezza di due ragazzi che sono rimasti dentro, ma non in trappola, un amore bambino e purtroppo pure maledettamente eterno. Qualcuno la chiamerebbe capacità di leggerezza dei profondi, ma sarebbe solo un definire. E un mettere intorno a qualcosa che vale già da solo una cornice che non serve.
“Ero una ragazzina – scrive la Kate accompagnando quella foto – Ora sono una signora, come direbbe Ciccio. Sono cambiata tanto, di me ti sono sempre piaciute le tett…ah no! Schiettezza e ironia. Espressioni del viso come in questa foto, sempre eloquenti, e le figure di mer*a all’ordine del giorno. In questo non sono cambiata, ti starei ancora simpatica. Buon Compleanno Sic!”
Ecco, in quel “ti starei ancora simpatica” c’è tanto, ma tanto davvero, di una autentica lezione sul ricordo. Sul modo di ricordare o, meglio, sui modi di vivere senza dimenticare. Che non significa non andare avanti, ma avere la forza – anche d’animo e sfrontatezza – di accettare o guidare i cambiamenti, personali o anche semplicemente fisici, ammettendo di avere pure ancora, ogni tanto e magari in occasioni speciali, il potente, tenero e genuino dubbio di chiedersi cosa penserebbe (o se risulteremmo ancora simpatici agli occhi di) chi ci ha amato tanto. Chi abbiamo amato tanto.