Ha la faccia da duro, ma forse è solo corazza che nasconde. Sì, viene da dirlo dopo aver letto l’ultima uscita di Alberto Puig, che su motorsport.com ha raccontato anche un po’ dell’uomo oltre il manager, di come si rilassa in montagna lontano da tutto e tutti e di quella prima moto che, dopo 30 anni in garage, ha deciso di restaurare come tributo ai sacrifici che la sua famiglia ha fatto per permettergli di inseguire il sogno di diventare un pilota. Pilota, in effetti, c’è diventato, fino all’epilogo di dover dire basta in seguito a un incidente che lo ha segnato per sempre e fino alla scelta di restare nelle corse in un ruolo differente. Restarci quando tutto ha cominciato a andare più che bene. E restarci anche adesso che tutto sembra andare male.
Anzi, soprattutto adesso che c’è da stare lì come un gladiatore che può incassare solo, perché rimasto senza nulla per “provare a fare male”. Dentro un’arena in cui, invece, gli altri sembrano avere a disposizione di tutto. Non sarà simpatico e sarà pure uno che non regala mai risposte da titolo, ma la faccia ce la mette comunque sempre e questo gli va riconosciuto. Tanto, poi, per ricaricarsi c’è la montagna. "È un ambiente sano”, dice. Solo che anche quel senso lì che ti regala la montagna può bastare a non sentire il peso di una situazione che per chi ha vinto così tanto rischia di diventare ingestibile: non una vittoria dal 2023, e un’ultima stagione da incubo. "La nostra vita ruota attorno alla performance. È velocità e risultati, non c’è altro – ammette - I marchi troveranno sempre un modo per far andare le moto sempre più veloci. Con meno controlli, con meno dispositivi, non importa. Honda non può aspettare fino al 2027 per fare un passo avanti, ed è per questo che devo pensare all'anno prossimo”.
E, quasi a ricordare che il passato è importante, ma non fa risultati sul presente, racconta di come abbia recuperato la sua prima moto, una JJ Cobas: "L’ho ricostruita dopo anni, non potevo lasciarla morire nel garage. E’ l’unica che ho ancora e che i miei genitori avevano comprato". Il futuro, però, chiama e la Honda ha bisogno di un cambio di marcia. Con Romano Albesiano nel team, la strategia è chiara: "Dobbiamo migliorare la moto. È il nostro obiettivo primario. Non c’è un altro piano o una strada già segnata" . Una missione ambiziosa, ma necessaria per tornare a dettare legge con HRC. E’ il motivo per cui è arrivato Aleix Espargarò. "Ha una grande esperienza e le sue idee sono oro colato - afferma Puig - La velocità è fondamentale. Per testare correttamente le parti, hai bisogno di un pilota che sappia spingersi fino al limite, e Aleix lo fa". La competizione interna? Non un problema, ma una chance per tuti in una MotoGP che è cambiata tanto e forse troppo.
Parlando delle tecnologie moderne che equipaggiano le moto, infatti, Puig esprime una certa malinconia per il passato. "Ci sono stati miglioramenti in sicurezza, ma non possiamo permettere che la moto superi il pilota – avverte - Anni fa non c'era praticamente elettronica, e ogni fine settimana noi piloti volavamo con i motori a due tempi. Il controllo della trazione era nelle tue mani, e se esageravi un po', andavi oltre. Ma è vero che negli ultimi anni c'è stata molta evoluzione, e dobbiamo essere consapevoli che questo sport è super interessante e spettacolare per la sua essenza. Non possiamo arrivare al punto in cui la moto è più importante del pilota. Questa è la mia opinione personale. Sono sicuro che il campionato e i costruttori troveranno il compromesso necessario per preservare quell'essenza”. È un richiamo a non perdere di vista ciò che conta davvero nelle corse, a mantenere viva la scintilla della competizione autentica. Da piloti veri e non da azionatori di dispositivi. La sfida per Honda, però, è enorme almeno quanto è enorme la Honda stessa. “Ogni giorno – ha concluso Puig – deve essere un'opportunità per imparare, ma soprattutto per evolversi”. Anche quando significa "cambiare radicalmente".