La Juventus è morta, finita. Non c’è più. Dilaniata dalle sconfitte in campionato, dai fallimenti in Champions League e in Coppa Italia, da un’identità persa tra le macerie di quella che fu la “Signora” del calcio italiano. E se fino a oggi c’erano le ultime maniglie alle quali aggrapparsi per restare a galla (solo due sconfitte in campionato, il quarto posto in classifica, una difesa abbastanza resistente) tutto ciò che doveva essere il tempo rivoluzionario del messìa della nouvelle vague del calcio italiano, Thiago Motta, si è squagliato come neve al sole.

L’imbarazzo del direttore Cristiano Giuntoli alla fine della partita persa 3 a 0, senza mai dare l’impressione di poter recuperare lo svantaggio, contro la rivale di sempre, La Fiorentina, era evidente davanti ai microfoni dei giornalisti. L’ espressione: “dobbiamo ripartire tutti insieme”, senza fare riferimenti precisi alla posizione dell’allenatore sono sembrate ingannevoli per chi si aspettava un esonero diretto, ma non chiarificatrici del tutto.
La situazione è drammatica, non c’è più da fare il gioco del nascondino e non sta in piedi nemmeno la scusa del “progetto che ha bisogno di tempo”. Il crollo della Juve pare definitivo. Quattro pere dall’Atalanta l’altra domenica, tre sacchi a zero contro la Fiorentina ieri, domenica 16 marzo, e fuori da tutto. Cosa c’è da aspettare? Nulla. Il tempo è finito.
E chi si diverte a paragonare questo fallimento con il naufragato progetto del calcio champagne della stagione 90/91, quando la guida dei bianconeri fu affidata a Gigi Maifredi, anche lui dalla strada di Bologna, si sbaglia. Thiago Motta ha fatto peggio. Quella Juventus, alla conclusione del girone di andata, si trovava al secondo posto, un punto dietro la capolista Inter. Finì poi tutto in modo imbarazzante con un settimo posto in classifica e la mancata qualificazione alle coppe europee dopo 28 anni. Lì la famiglia Agnelli intervenne e richiamò il restauratore Trappattoni con il quale si avviò un nuovo ciclo.
E ora che si fa? Dove è finito lo stile Juventus? Cosa direbbero oggi Giampiero Boniperti e l’avvocato Gianni Agnelli? Dell’ex giocatore e storico presidente bianconero prendiamo in prestito una delle sue frasi più iconiche: “C’è un’eleganza che non è deliberata, ma che si acquisisce o s’interpreta una volta che viene indossata quella meravigliosa divisa”. Un’identità e uno stile persi nei discorsi di inizio stagione e nella volontà di sradicare il principio del costomusismo allegriano.
Ma se c’è ancora un po’ di Juve in questo disastro è giunto il momento di esonerare Thiago Motta. Nessuno nella gloriosa storia della squadra di calcio che rappresenta l’industria italiana per eccellenza che detiene il maggior numero di campionati vinti (36), avrebbe accettato questa umiliazione dalla Fiorentina.
Novantacinque minuti di agonia iniziati con gli striscioni “Juve Merda” e conclusi con il sonante 3-0 con i tifosi viola a intonare “il pallone è quello giallo”. Così non era mai successo. Perché a Firenze si ricorda quell’emozionante 4-2 del 2013, sigillato nel cuore insieme alla tripletta di Pepito Rossi in risposta alla gag della mitragliatrice di Batistuta ripetuta sotto la curva da Pogba e Tevez dopo il momentaneo vantaggio, ma così come ieri non se lo sarebbe immaginato nessuno.
Juve da rifondare, ma iniziamo a cambiare l’allenatore. C’è chi vuole il ritorno di Allegri o almeno di porgergli delle scuse, c’è chi invece chiede di andare avanti per altre strade. Qualsiasi sia la scelta, vi è una certezza: così i bianconeri non possono proseguire, si intaccano lo stile e il dna della “Signora” del calcio italiano. Sette gol subiti in due partite, quarto posto perso a scapito del Bologna, eliminazioni imbarazzanti nelle coppe e giocatori acquistati per fenomeni ormai involuti, chiusi a riccio in una mediocrità disarmante. Gonzalez, Koopminers, su tutti.
Andare avanti così è roba da masochisti. Vedremo se la Juventus saprà di nuovo essere la Juventus.
