Prepariamoci a vedere delle partite del campionato italiano allo Yankee Stadium di New York (o magari al nuovo Etihad Stadium della Grande Mela, che sarà pronto per il 2027 per ospitare la partite della succursale locale del Manchester City). È questo il succo del discorso fatto dal direttore commerciale della Lega di Serie A Michele Ciccarese in un incontro di inizio marzo tenutosi proprio a New York.
Le sue parole non hanno fatto granché discutere in Italia, nonostante il loro contenuto: Ciccarese ha detto che nel giro di “uno o due anni” l’obiettivo della Serie A è di esportare partite regolari di campionato negli Stati Uniti. Non amichevoli o tornei estivi, quindi, e nemmeno la super-abusata Supercoppa italiana, che oggi si tiene in Arabia Saudita, ma che già nel 1993 si disputò a Washington DC: primo torneo ufficiale del calcio europeo a tenersi in un altro continente.

Il motivo è facilmente immaginabile: bisogna allargare il pubblico per fare più soldi. Le leghe degli sport americani, a partire dalla NFL, già da qualche anno organizzano partite in Europa, e adesso anche le big del calcio del Vecchio Continente stanno pensando di fare lo stesso. Un progetto che non avrebbe avuto senso fino a un anno fa, quando la FIFA ha finalmente aperto a questa possibilità: la riforma per disputare partite ufficiali all’estero è ancora in fase di valutazione, ma sembra abbastanza scontato che verrà approvata. Anche perché nel frattempo gli USA ospiteranno i due prossimi grandi eventi internazionali di calcio - il Mondiale per Club della prossima estate e la Coppa del Mondo per nazionali del 2026 - e il presidente della FIFA Infantino non nasconde certo i suoi amorevoli rapporti con Donald Trump.
La Liga spagnola è da tempo interessata, per bocca del suo presidente Javier Tebas, a disputare delle partite in America, e non a caso ha già stabilito una partnership con Relevant Sports, un’azienda di marketing sportivo statunitense di proprietà di Stephen Ross, il patron dei Miami Dolphins. Relevant è anche in trattative per uno storico accordo commerciale con la UEFA per la Champions League, che secondo l’Independent indicherebbe la volontà di organizzare nel prossimo futuro anche una finale di Champions in Nord America. L’Italia, di conseguenza, non vuole certo stare a guardare. Il nostro calcio, come abbiamo visto, ha avuto un ruolo pionieristico nell’esportare incontri ufficiali all’estero. Dopo essere stata negli USA, la Supercoppa è divenuta anche il primo torneo europeo a sbarcare in Africa (in Libia nel 2002, grazie agli ottimi rapporti tra Berlusconi e Gheddafi), in Asia (in Cina nel 2009) e poi nel Golfo (in Qatar nel 2014 e in Arabia Saudita già nel 2018). Con un problemino, però: i recenti incontri in Arabia sono stati un successo in termini di guadagni per il calcio italiano, ma hanno lasciato un po’ a desiderare in termini di rapporti col pubblico locale. Negli Stati Uniti sarebbe diverso, in primo luogo perché l’interesse per il calcio in Nord America sta crescendo vertiginosamente, e secondariamente perché proprio il calcio italiano è particolarmente apprezzato a quelle latitudini: come segnalato da Calcio e Finanza, nei primi mesi del 2025 il pubblico statunitense della Serie A è cresciuto addirittura del 50%.
Ci sono ragioni storiche e culturali, ovviamente, ma anche precise mosse di marketing di questi ultimi anni. Innanzitutto, in Italia ci sono oggi moltissimi club di proprietà americana: solo in Serie A se ne contano 9 su 20, in particolare tra le società più famose e di maggior successo in questo periodo (Inter, Atalanta, Milan, Roma, Fiorentina, Bologna). Quello Italiano è il calcio più “americanizzato” d’Europa alla pari di quello inglese, e ciò si riflette anche in campo: nel nostro campionato giocano alcuni dei più noti calciatori statunitensi, come Christian Pulisic, Yunus Musah, Weston McKennie e Tim Weah.
Nonostante le molte critiche e lo scetticismo, il calcio italiano è un prodotto estremamente apprezzato all’estero, che la Serie A intende esportare in maniera sempre più massiccia, tanto quanto la cucina e l’alta moda. Solo che a differenza di una pizza o di una borsa firmata, qui ci sono di mezzo anche i tifosi: quanti accetterebbero di buon grado di vedere organizzato Juventus-Inter a New York invece che a Torino, sapendo che sarebbe quasi impossibile per la maggior parte di loro seguire il match dal vivo?
Su questo, Ciccarelli ha detto che gli eventi andranno organizzati “in un modo che abbia senso per il club e nel rispetto del nostro pubblico”, escludendo che una partita tipo il Derby di Milano possa essere spostata oltre oceano. Viene dunque da chiedersi, seguendo questo ragionamento, quali partite possano essere scelte per l’iniziativa: quelle che interessano di più ai tifosi italiani sono ovviamente le stesse che interessano pure a quelli americani. Manderemo forse Empoli e Venezia a giocare al MetLife Stadium del New Jersey (con buona pace dei fan toscani e veneti)?

