“Quasi mi arrabbio quando mi fanno notare che non dovrei dire che mi romperebbe, e pure tanto, se Marc Marquez battesse i miei record. Uno è pilota per sempre e un pilota contento di essere secondo non esiste. Semmai te la raccontano. Non è che lo dico per Marc Marquez, lo dicevo anche quando me lo chiedevano di Valentino Rossi e continuerò a dirlo quando me lo chiederanno con i nomi di altri campioni che magari verranno. Perché dovrei mentire?”.
Neanche a 82 anni Giacomo Agostini vuole prendere in considerazione l’ipotesi di subire un sorpasso e lo ammette senza nessuna remora e, anzi, prendendo a sportellate ogni opportunità di replicare secondo le ormai imperanti – e pure strazianti – regole del politicamente corretto. Ce l’ha detto nel bel mezzo di una chiacchierata sull’ultima avventura in cui si è buttato. Sì, perché il quindici volte campione del mondo, anche se non corre più da un bel pezzo, adesso sta girando come una trottola e, manco a dirlo, a fermarsi non ci pensa nemmeno.

“Stiamo presentando il film sulla mia storia fatto da Giangiacomo Di Stefano e sono stanco morto – ci ha raccontato – però mi sto anche divertendo come un matto. E mi sto pure emozionando in un modo che francamente non potevo immaginare. Sarà l’età, ma non nascondo che qualche volta mi viene quasi quasi da piangere”.
Perché da piangere?
Da commuovermi intendo. Però, ora che ci rifletto, diciamo che mi viene pure da piangere se penso che adesso non potrei rifare quelle cose lì. Proprio tutte quelle cose lì. È una battuta, per carità, sono contento di averle potute fare, sono grato alla vita e va bene così.
E da commuoverti, allora, perché?
Perché mi sto rendendo conto di un affetto che non credevo o che comunque non credevo più. Nei cinema in cui stiamo presentando il film vedo generazioni lontane, ma che lì sono insieme. Pensavo che avrei incontrato tanta gente, ma non certo che ci fossero anche giovanissimi così dentro una storia che comunque è la storia di uno sportivo che oggi ha 82 anni. Ragazzi che vengono a parlarti o che magari ti chiedono di episodi che tu sì e no ricordi: è veramente una cosa bellissima che mi emoziona. Perché è chiaro che - se certi traguardi li hai raggiunti, certi trofei li vedi quasi tutti i giorni, le persone che hai incontrato le conservi dentro e certi record hanno resistito nel tempo - hai sempre tutto sotto gli occhi e hai sempre vivi i ricordi, ma tendi a sentirla come una cosa tua, soprattutto quando è passato tanto tempo. E invece mi sto accorgendo che un segno è rimasto davvero e ha attraversato il tempo, con una storia sportiva che, di fatto, è un modo per raccontare molto di più su anni di cambiamenti continui.
Un film che diventa un’altra avventura per Ago, quindi…
Sì. Sono quelle cose che prima di farle ti ritrovi tra mille dubbi: verrà bene, non verrà bene, sarà noioso. Poi decidi di fare, che è un po’ come staccare la frizione e dare gas, ma quei dubbi restano fino a quando ti accorgi che non avevano senso: non dico che vale una vittoria, ma siamo lì. L’altra sera eravamo a Bologna e siamo andati lunghi prima e dopo la proiezione proprio per stare con la gente e a una certa i gestori della sala hanno dovuto chiederci di fare presto perché avevano un altro evento da preparare. Dai, mi ripeto, ma fa un enorme piacere.
Quello che forse ti farà meno piacere è sapere che già in questo GP delle Americhe, Marc Marquez e Ducati potrebbero battere il record di Giacomo Agostini e MV…
Non mi sentirete mai dire che mi fa piacere quando battono un mio record. Poi, certo, non è che mi dispero o che non lo accetto quando succede, anzi sono il primo a congratularsi e ci mancherebbe. Insomma, i record esistono per essere battuti e sta nelle cose. Però una domanda adesso posso farla io?
Certo…
Quale è il mio record che Marquez può battere già a Austin domenica?
In verità c’era l’inganno: tra il 1968 e il 1969 hai vinto venti gare consecutive con la MV; ora Ducati è a diciannove e a Austin può quindi arrivare a venti, anche se la striscia più lunga l’ha fatta la Honda negli anni ’90 con 22…
Eh va be’, ma quello semmai è un record di MV e che Ducati può eguagliare, non sarebbe Marquez che batte il mio (ride). Le moto sono moto e i piloti sono persone fisiche. Però l’ho già detto, se Marc Marquez o chiunque altro batterà i miei record bravo a lui, complimenti e tanto di cappello, ma non chiedetemi di essere contento.
Pensi che potrebbe riuscirci?
Sta andando veramente forte. Poi, però, nel motociclismo di oggi stiamo vedendo che basta un niente, una piccolissima condizione che cambia e si ribalta tutto.
Vale anche per il titolo mondiale?
Sì, certo. Ormai è così nel motorsport e mi dispiace. Non parlo nello specifico della MotoGP 2025, ma faccio un discorso più generale. Mi danno del passatista perché continuo a ripetere che tra elettronica e aerodinamica il mezzo conta troppo, ma guardiamo, ad esempio, la Formula1: Verstappen o Hamilton sono o no campioni? Per me lo sono, ma oggi vediamo solo i due ragazzi della McLaren e su loro stessi ti viene il dubbio: sono campioni? Nel motociclismo ancora un po’ ci salviamo, ma dobbiamo stare attenti perché se la direzione è la stessa della F1 rischiamo che tra qualche anno i piloti non servano neanche più. L’unica crescita su cui non ci si dovrebbe fare domande è quella relativa alla sicurezza. Rivedendo il mio film o, molto più spesso, andando in giro per rievocazioni storiche, mi dico che noi eravamo incoscienti veramente. Qualche giorno fa ero a Spa e mi sono ritrovato proprio a chiedermi se ci stavo o no con la testa, a quei tempi a correre lì, con quelle moto lì e facendo certe scelte. Ci rido quando lo penso, ma mi viene anche un po’ di paura perché mi rendo conto che è un mezzo miracolo essere ancora qua.
Non limitare la sicurezza, ma limitando l’innovazione è possibile?
Non significa opporsi al futuro, alla tecnica o all’innovazione, ma chiedersi quali sono gli ingredienti e le dosi della ricetta perfetta di uno sport. Per me gli ingredienti devono restare il pilota e la moto, con un dosaggio in cui il peso del secondo non deve mai superare il peso, o il valore, del primo. C’è da stare attenti: dobbiamo dare il valore al pilota e anche andare in giro a presentare questo film me ne ha fatto convincere ancora di più.
Perché?
Perché ti rendi conto che restano le persone, i gesti sportivi delle persone. Ci si innamora di Agostini, di Valentino, di Marquez o di altri se vogliamo restare nel nostro sport, ma vale per tutti. Ci ricordiamo di Cassius Clay per quello che faceva sul ring e non ci saremmo ricordati ugualmente di lui se avesse avuto guantoni che picchiavano da soli. Idem per Maradona, è il gesto dello sportivo che resta, ma se Maradona avesse avuto scarpe da calcio che giocavano da sole ci saremmo ricordati così di lui? Un conto, tornando alle moto, è un mezzo un po’ migliore e che determina una differenza, visto che comunque è una competizione anche tra costruttori, un altro conto è che la differenza fatta dal mezzo possa essere tale da surclassare il talento del pilota. Noi vogliamo vedere persone che fanno cose che nessun altro riesce a fare, non mezzi che fanno cose che nessun altro riesce a fare a prescindere da chi ci sta sopra.

Discorso che varrebbe un approfondimento di ore e ore, ma, tornando sul presente, chi lo vince questo mondiale?
La risposta deve per forza tenere conto di quel discorso. Sicuramente oggi Marc Marquez è fortissimo e la classifica dice che ha un vantaggio sugli altri. Pecco Bagnaia comunque è lì e non è che è fuori dai giochi e idem un Jorge Martin che ha avuto tutta la sfortuna che ha avuto, ma è pur sempre il campione del mondo in carica. Il punto, però, è che oggi la più insignificante delle cose sui mezzi può determinare che un fenomeno diventa uno che lotta per la quindicesima posizione e un mediocre, fermo restando che parliamo pur sempre dei piloti più veloci del mondo, diventa uno che se la gioca ogni domenica. Prendiamo la gara della Thailandia, io trovo inaccettabile che un pilota rischi la vita a quasi quattrocento chilometri orari e poi mezza virgola sulla pressione della gomma può farlo squalificare. Al di là di chi vince e di chi perde.
Proprio in Thailandia a Marc Marquez ha fatto comodo il fratello…
Sì, ma se non fosse stato il fratello sarebbe stato un altro: ti metti dietro e quando vedi che puoi andare vai se ai di averne di più. Il punto è che è triste, proprio per il pilota, dover tenere conto di parametri tecnici che stanno diventando troppo importanti.
Quindi tu non sei di quelli che dicono che “i Marquez hanno una società”?
Un pilota corre per vincere, non per associarsi. Poi se per vincere serve in qualche modo una strategia è sul momento che fai le tue considerazioni e agisci. Tutti gli altri discorsi non hanno senso e a me fanno un po’ sorridere, perché penso che l’unica cosa che ci sia da sottolineare davvero è quanto sta andando forte Alex Marquez. Non so come si è allenato questo inverno, che tipo di lavoro abbia fatto e cosa possa essere cambiato rispetto al passato, ma sembra un altro pilota. Maturo, velocissimo, determinato. E è in una squadra, il Team Gresini, che ha già dimostrato di saper cullare come si deve il talento.
Pecco Bagnaia?
È un pluricampione del mondo e la Ducati è la sua moto: quelli che dicono che è già fuori dai giochi non sanno di cosa parlano. Non dimentichiamolo. In questo momento è evidente che Marc ne ha di più, ma abbiamo visto appena due gran premi e, come ho detto, basta un niente, un niente davvero, in questa MotoGP per ribaltare ogni cosa. Stesso discorso per Jorge Martin, per me il campione del mondo uscente è sempre e comunque nella lista dei favoriti, anche se lui ha avuto davvero una sfiga incredibile. Un vero peccato non averlo in pista, ma arriverà anche lui.
Pensi che le cose cambieranno quando la MotoGP tornerà in Europa?
Questo è un altro dei discorsi che proprio non capisco. Se vai forte non c’entra niente la parte del mondo in cui stai. Tanti sostengono la teoria che in Europa poi le cose tendono a cambiare, ma che significa? Un conto è dire che un pilota ci mette un po’ di più a trovare il feeling e un altro è farne una questione geografica. Certi discorsi potevano avere un senso qualche anno fa, quando magari alcuni andavano a gareggiare dall’altra parte del mondo volando in prima classe e altri invece facevano dei viaggi della speranza tra mille difficoltà. Anni in cui magari si potevano fare anche delle prove private e quindi capitava che piloti e team andassero a studiarsi prima un circuito e altri non avevano le risorse per farlo. Oggi i piloti hanno pari condizioni tutti, sia che si tratti di ufficiali che di privati e idem le squadre che comunque hanno a disposizione tutto ovunque si svolge il gran premio. Ripeto: se vai forte vai forte a prescindere dalla lingua che parla il pubblico sul circuito in cui ti trovi.
Chiudiamo: pensi che il 2015 di Marc Marquez e Valentino Rossi finirà mai o condizionerà per sempre questo sport restando un tema eterno?
È una vergogna parlare di questo. La gente parla, ma in pochi sanno tutta la storia vera. Forse la sanno solo loro due e ognuno per come se la ricorda, quindi anche se la raccontassero ancora non è che la sapremmo tutta bene. Anche se sarebbe bello saperla. È una cosa passata e non rivangherei più questo: non è neanche una cosa di cui mi va di parlare. Mi viene solo da dire che la grande amicizia nello sport, soprattutto nel nostro sport in cui ci si gioca la vita, non può esistere perché una volta in sella un pilota ha in testa solo di mettere le ruote davanti all’altro. Possibilmente già dalla prima curva. Gli amici te li fai al paese, non in pista. L’importante è che ci sia rispetto.

