Matteo Berrettini ha ritrovato il tennis. Quello vero, solido, intenso. Ma forse non ha ancora ritrovato fino in fondo sé stesso. I quarti di finale al Miami Open certificano un ritorno ad alti livelli, ma ribadiscono anche una tendenza che ormai è impossibile non notare: quando arriva il momento di spingere oltre, di affondare il colpo, qualcosa si inceppa. E no, non è più una questione fisica. Contro Taylor Fritz, numero tre del seeding e abituato al cemento come alla sua seconda pelle, Berrettini ha lottato per quasi tre ore, ha annullato sei match point nel secondo set, ha tenuto botta col servizio e con la voglia. Eppure, ha perso. Ancora una volta ai quarti, come già accaduto spesso in questa stagione. Come se ci fosse un confine invisibile che non riesce più a varcare. Nonostante la forma, nonostante i colpi.

“Ho giocato una delle mie migliori partite di sempre su questa superficie”, ha detto a fine match. “Il finale è stato amaro per il risultato, ma sono orgoglioso: giocare alla pari con un tennista come Fritz sul cemento non è scontato”. Orgoglio che c’è e si vede, come si vede il livello tecnico ritrovato. Ma resta il tema non detto: perché Berrettini si ferma sempre a un passo? A indicare la direzione era stato, non a caso, Paolo Bertolucci. Una delle voci più lucide del tennis italiano, non solo per esperienza in campo ma per la capacità di leggere i fenomeni prima degli altri. “Dopo la prima fase di euforia, Berrettini si è quasi ripiegato su sé stesso, come se non credesse più nella possibilità di giocare senza farsi male. Il successo in Coppa Davis gli è servito a ripulire la mente da quelle scorie”, aveva detto. Parole che oggi suonano profetiche. Perché se è vero che la classifica live lo vede al numero 27, che a Miami ha battuto gente come De Minaur e si è giocato alla pari l'accesso in semifinale, è altrettanto vero che c'è qualcosa che lo blocca nei momenti chiave. Il 2024 è stato l'anno delle vittorie Challenger, il 2025 poteva (e può ancora) essere quello della rinascita. Ma la rinascita passa dalla testa, non solo dai piedi.

Oggi Berrettini è atteso da un passaggio importante: la stagione sulla terra. A Marrakech, dodici mesi fa, aveva vinto. Ora dovrà difendere quei punti e affrontare una delle superfici più difficili. Ma anche quella che meglio si adatta al suo stile di gioco, soprattutto da quando ha inserito stabilmente lo slice tra le armi a disposizione. Montecarlo, Roma, Parigi. E poi Wimbledon. Le tappe ci sono, i colpi pure. Ma è tempo di liberarsi da ciò che resta impigliato nella testa. Perché se Berrettini è tornato a far paura agli avversari, è il momento di non fare più paura a sé stesso.