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Berrettini, ma caz*o, ancora out ai quarti? Sì e forse la sconfitta contro Fritz è la dimostrazione che Bertolucci aveva ragione

  • di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

28 marzo 2025

Berrettini, ma caz*o, ancora out ai quarti? Sì e forse la sconfitta contro Fritz è la dimostrazione che Bertolucci aveva ragione
Matteo Berrettini gioca alla pari con Taylor Fritz, annulla sei match point e lotta per quasi tre ore, ma alla fine esce ancora nei quarti di finale, questa volta a Miami. Un grande match, sì, ma anche il segnale di qualcosa che si ripete troppo spesso: più che un limite fisico, sembra esserci altro. Lo aveva detto anche Paolo Bertolucci, tra i pochi a centrare davvero il punto. E ora, mentre tutti guardano alla resurrezione tecnica del romano, la vera sfida potrebbe essere altrove

di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

Matteo Berrettini ha ritrovato il tennis. Quello vero, solido, intenso. Ma forse non ha ancora ritrovato fino in fondo sé stesso. I quarti di finale al Miami Open certificano un ritorno ad alti livelli, ma ribadiscono anche una tendenza che ormai è impossibile non notare: quando arriva il momento di spingere oltre, di affondare il colpo, qualcosa si inceppa. E no, non è più una questione fisica. Contro Taylor Fritz, numero tre del seeding e abituato al cemento come alla sua seconda pelle, Berrettini ha lottato per quasi tre ore, ha annullato sei match point nel secondo set, ha tenuto botta col servizio e con la voglia. Eppure, ha perso. Ancora una volta ai quarti, come già accaduto spesso in questa stagione. Come se ci fosse un confine invisibile che non riesce più a varcare. Nonostante la forma, nonostante i colpi.

Matteo Berrettini e Taylor Fritz
Matteo Berrettini e Taylor Fritz

“Ho giocato una delle mie migliori partite di sempre su questa superficie”, ha detto a fine match. “Il finale è stato amaro per il risultato, ma sono orgoglioso: giocare alla pari con un tennista come Fritz sul cemento non è scontato”. Orgoglio che c’è e si vede, come si vede il livello tecnico ritrovato. Ma resta il tema non detto: perché Berrettini si ferma sempre a un passo? A indicare la direzione era stato, non a caso, Paolo Bertolucci. Una delle voci più lucide del tennis italiano, non solo per esperienza in campo ma per la capacità di leggere i fenomeni prima degli altri. “Dopo la prima fase di euforia, Berrettini si è quasi ripiegato su sé stesso, come se non credesse più nella possibilità di giocare senza farsi male. Il successo in Coppa Davis gli è servito a ripulire la mente da quelle scorie”, aveva detto. Parole che oggi suonano profetiche. Perché se è vero che la classifica live lo vede al numero 27, che a Miami ha battuto gente come De Minaur e si è giocato alla pari l'accesso in semifinale, è altrettanto vero che c'è qualcosa che lo blocca nei momenti chiave. Il 2024 è stato l'anno delle vittorie Challenger, il 2025 poteva (e può ancora) essere quello della rinascita. Ma la rinascita passa dalla testa, non solo dai piedi.

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Oggi Berrettini è atteso da un passaggio importante: la stagione sulla terra. A Marrakech, dodici mesi fa, aveva vinto. Ora dovrà difendere quei punti e affrontare una delle superfici più difficili. Ma anche quella che meglio si adatta al suo stile di gioco, soprattutto da quando ha inserito stabilmente lo slice tra le armi a disposizione. Montecarlo, Roma, Parigi. E poi Wimbledon. Le tappe ci sono, i colpi pure. Ma è tempo di liberarsi da ciò che resta impigliato nella testa. Perché se Berrettini è tornato a far paura agli avversari, è il momento di non fare più paura a sé stesso.

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