Le storie. Ok le corse, i crono, le medaglie e il podio, ma alla fine il bello delle corse in moto sta e resta nelle storie. Quella più assurda del fine settimana di Misano la sta scrivendo Danilo Petrucci e è una storia a cui si sono appassionati tutti. Tanto che se agli altri chiedono un autografo, a lui chiedono un abbraccio. Non è una metafora: è successo veramente sotto gli occhi di chi scrive. Esattamente davanti la sala stampa del Marco Simoncelli World Circuit, con due ragazzi che avvicinano Danilo e gli dicono: “noi da te non vogliamo una foto o un autografo come dagli altri, noi da te vogliamo un abbraccio perché magari ci passi un po’ della forza che hai”. Piccole e significative scene che sono il privilegio vero di vivere le corse dal vivo.
Quell’abbraccio, ovviamente, c’è stato, ma con Petrucci che c’ha messo nel suo: “Io sono contento di abbracciarvi, ma stringete poco ‘che mi fa male tutto”. Ecco, basterebbe raccontare questo e, magari, ricordarsi della faccia stravolta che Danilo Petrucci aveva ieri dentro la stessa sala stampa, mentre cercava di convincere se stesso che uno normale, in quelle condizioni, dovrebbe andare a casa invece di pensare a correre il giorno dopo.
I piloti, però, normali non sono. E Petrucci in pista ci si è presentato davvero. “Quest’anno – ha spiegato a noi di MOW – mi trovo bene davvero sulla moto e penso che abbiamo tutto per stare costantemente tra i primi cinque. Non esserci mi sarebbe dispiaciuto troppo per la squadra. E pure per me, perché alla fine è vero che mi fa male tutto, ma io senza provarci oggi sarei stato peggio”. Il cuore che viene prima, l’istinto di correre che, come raccontava sempre un certo Dottorcosta, è più forte di ogni pensiero razionale. La nona posizione sotto la bandiera a scacchi di Gara1 è un mezzo miracolo, ma mentre chiunque corre da Danilo a dirglielo, lui sembra pensare già a domani.
“Domani ci riprovo, caz*o! – ha detto ancora – Però voglio studiare bene un modo stasera per fare e curve a destra e in particolare il Curvone, perché praticamente non ho un braccio. Stringo tantissimo con la gamba e cerco di direzionare la moto così, ma non riesco a frenare in maniera incisiva e mi aiuto tantissimo con il freno posteriore. Solo che facendo così mi balla tutto e a ogni giro al curvone mi sono ca*ato addosso”. In quelle due parole “ogni giro”, al di là dell’ammissione sulla paura, c’è tutto il Petrucci pensiero sulla sofferenza e sul mandare le cose in favore di vento. “Questa mattina – ha raccontato ancora a MOW sempre sul pianerottolo della scala che conduce alla sala stampa – mi sono svegliato con due convinzioni: la prima è che ci avrei provato e la seconda è che ero matto a provarci. In gara ho cercato di ragionare curva su curva, ripetendo a me stesso che se mi fossi ritrovato quindicesimo o sedicesimo, o comunque fuori dalla zona punti, sarei tornato al box. Però stavo lì nei dieci e a ogni giro mi dicevo che ormai ne mancava uno in meno. Mi sono dato forza così e alla fine ho visto la bandiera a scacchi. A quel punto ho realizzato che mi aspettava qualcosa di ancora più doloroso: togliermi la tuta con tutti i dolori che avevo (ride, ndr). Però dai, oggi l’abbiamo finita e in top10: non posso dire di essere contento per un nono posto, ma va bene così. E domani ci riprovo”.