Passi non esagerati, sicuramente non piccoli, ma calibrati. Se il Team Fantic Racing avesse uno slogan sarebbe questo. E’ stato chiaro dopo l’ennesima chiacchierata di MOW con Roberto Locatelli, ex pilota e campione del mondo e, oggi, team manager della squadra che in una manciata d’anni è diventata il riferimento della classe di mezzo. La chiacchierata, però, questa volta non è stata come al solito al telefono, ma nel camion tecnico di Fantic e nel bel mezzo della domenica del GP d’Italia al Mugello. Il Loca alle nove del mattino è già lì da un pezzo, aria condizionata a cannone e un PC davanti.

“Anche quando facevo il pilota – racconta – c’era la parte un po’ più noiosa delle cose da sbrigare. Per fortuna, però, c’è tanta adrenalina ancora, esattamente come allora”. Locatelli è probabilmente l’unico tra gli ex piloti a cui non vedi mai quella vena di nostalgia, come se avesse fatto i conti con il tempo, con i tempi della vita e, in qualche modo, con fasi divise a compartimenti stagni dentro cui portarsi solo il buono dallo step precedente. E’, per chi vive un po’ il motorsport, qualcosa di raro davvero, perché solitamente si percepisce sempre un po’ di rabbia per quello che è stato e non può essere più. E poi c’è, appunto, l’eccezione: Roberto Locatelli. “Io volevo diventare campione del mondo da pilota e voglio diventarci adesso che faccio il team manager, che c’è di diverso?”.
Risponde con una domanda e, di fatto, spiazza e spiega tutto, prima di mettersi a parlare di Fantic Racing, dell’incontro con Stefano Bedon che è “sì un imprenditore, ma pure un po’ un filosofo e sicuramente un visionario” e del segreto di una squadra che con quel nome lì è presente da soli due anni, ma si trova già in testa alla classifica sia dei team che dei piloti. “Il segreto sono i passi calibrati – ha raccontato il Loca – il fatto di aver misurato tutto sin da quando Fantic ha ricostruito sopra a ciò che VR46 stava lasciando. E poi, ecco, c’è anche l’aspetto di una esperienza virtuosa che esisteva già: l’aver rilevato una squadra rodata a cui è servito, eventualmente, solo aggiungere qualcosa”.

Eccolo, il compartimento precedente: quella VR46 in cui Locatelli ha fatto lo step da pilota a uomo squadra che si occupa anche di gestione. “Io l’ho sempre detto – prosegue – devo tantissimo a Vale e all’esperienza della VR46. Poi, quando Stefano ha fatto questo team e mi disse che voleva parlarmi ho pensato che mi avrebbe proposto di un ruolo da coach. Invece voleva che facessi il team manager e eccoci qua. Bedon ha questi spunti qui, lo ha fatto anche con Barry Baltus: è stato lui a crederci. Tra l’altro in una categoria dove molti piloti magari portano sponsor se non addirittura pagano per correre, in Fantic siamo andati a scommettere su un ragazzo che s’era un po’ perso, ma che aveva palesemente un gran talento. A certi livelli una piccolissima cosa fa la differenza nella testa. Prendi Pecco Bagnaia con la storia del disco: magari non è che il disco cambia realmente la moto, ma fa cambiare tutto anche nell’aria che respiri, che ti diventa più profumata. I piloti sono strani, sai?”.
Troppo ghiotto il passaggio per non chiedergli – al di là di Fantic e prima di tornare su Fantic – proprio di Pecco Bagnaia, di quello che può vivere adesso che nel suo box è arrivato Marc Marquez a vincere e sparigliare tutto. Anche perché il Loca, proprio per gli anni passati in VR46, conosce più che bene il piemontese.

“Quanto soffre adesso Pecco da uno a cento? Soffre centouno – risponde secco – Qualche giorno fa leggevo una intervista a Kubica, che ha detto una frase che suonava più o meno così: un pilota che è contento di quanto è veloce il suo compagno di squadra non è un pilota. Quindi è chiaro che soffre tantissimo. Un compagno di squadra forte sarà sempre anche scomodo, c’è poco da fare: queste sono le corse".
I segnali, in ogni caso, non mancano, soprattutto per chi nel paddock c'ha passato 17 anni da pilota e riesce a cogliere dettagli che magari un normale appassionato non vede. Soprattutto quando la persona in questione, come nel caso del Loca con Pecco, si conosce più che bene per aver lavorato insieme in passato. "Devo dire che dopo Aragon ho visto un Pecco leggermente diverso, meno tirato, meno sofferente se vogliamo usare quella parola lì, e potrebbe aver trovato quel qualcosa che serve per tornare in moto con un nuovo accenno di sorriso. Di sicuro il campione non si discute. Sabato qui al Mugello ha fatto terzo, è vero che è un circuito che ama, ma è anche vero che nelle Sprint non ha mai fatto benissimo. Poi, certo, Marc Marquez è Marc Marquez e credo che anche l’aver voluto accumulare così tanto vantaggio può metterlo nelle condizioni di tenersi una garanzia rispetto al ritorno di Pecco”.

Due piloti forti e con il potenziale per vincere ogni domenica, però, non possono essere mai definiti un problema per chi vive di corse e il Loca ci tiene a ribadirlo. “Penso che il problema che abbiamo noi – aggiunge – con Aron Canet che non ha bisogno di presentazioni e che, come ti ho già detto, è forte come sono forti i campioni, e questo Barry Baltus è un problema che vorrebbero avere tutti. I discorsi che si fanno sulle difficoltà a gestire e cose così a volte fanno un po’ sorridere, perché se una squadra sceglie di mandare in pista due moto è perché vuole vincere con entrambe. Il racing è competizione, è superarsi: magari sempre”.
Un problema, quindi, che è tutt’altro che un problema, così come grosse preoccupazioni sembrano non esserci sul futuro della Moto2. “E’ una categoria a mio avviso quasi perfetta – spiega Locatelli – Con l’arrivo di Liberty Media non credo che cambierà molto, perché è palese che la Moto2 prepara più che bene i piloti alla MotoGP, basta guardare la storia recente o anche lo stesso ogura, che sta andando veramente forte. Semmai ripristinerei il warm up, perché comunque quel turno è una garanzia di sicurezza in più per tutti, rimetterei qualche test in più, mentre mai e poi mai vorrei che la Moto2 diventasse la gara del sabato del Motomondiale”.