Per capire davvero un uomo osservalo mentre è arrabbiato e disperato. Qualcuno, tempo fa, disse questa sacrosanta verità e, dopo il terzo episodio di Under the Helmet diventa fin troppo facile dire che Pecco Bagnaia è prima di tutto un lord. Educato e composto in una maniera quasi irritante anche quando tutto va storto e non sa più come ripetere quello che dice da mesi al chiuso del box, magari senza neanche ricordarsi che qualcuno ha una telecamera accesa. Ecco, il massimo dello sbrocco di Pecco Bagnaia è un “caz*o!” ripetuto due volte mentre prova a dire a Gigi Dall’Igna e agli uomini del Team Lenovo che il problema è sempre lo stesso: la mancanza di fiducia nell’anteriore della Desmosedici.

“Mi si chiude in continuazione, mi si chiude da tutte le parti a spasso per la pista – ha raccontato dopo la Sprint di Aragon – sono mesi che dico la stessa cosa”. Roba che chiamarla sfogo, per chi è abituato a prendere a capocciate pure l’aria, è decisamente troppo. E che però racconta tanto di un ragazzo a cui sembra si voglia affibbiare la colpa di non essere mai abbastanza, nonostante tutto quello che ha vinto, nonostante il suo nome è il primo in Ducati dopo quello di un certo Casey Stoner e nonostante quel marchio, Ducati, ce l’ha tatuato nel cuore. Pecco Bagnaia non ci fa, ci è. Signore, intendiamo. E s’è visto anche in questo fine settimana, durante il round della Superbike a Misano, sempre presente nel box Ducati e sempre vicino ai piloti della Rossa, ovviamente arrivando a bordo di una Ducati. E’ autopromozione e marketing? Magari un po’ anche sì, ma è prima di tutto Pecco e dovrebbe bastare a spiegare che non c’è rottura, non c’è il sentirsi messo da parte e non c’è nemmeno la volontà di mettercelo da parte.

Ci sono, semmai, delle difficoltà che non gli permettono di performare come vorrebbe. Al di là di Marc Marquez, che non è il nemico e, tutto sommato, non è nemmeno l’obiettivo. Pecco Bagnaia vorrebbe poter guidare bene la sua Ducati senza doversi attaccare sempre a qualche colpo di culo. Come racconta proprio l’episodio dedicato a Aragon di Under the Helmet, in cui il 63 arriva a dirsi “fortunato a partire quarto e non terzo perché sulla casella del terzo c’è lo sporco”. Cose a cui in passato non avrebbe neanche fatto caso o a cui comunque avrebbe ovviato grazie alla fiducia nella sua moto. Una fiducia ritrovata, in parte, con un disco dei freni più grandi e, forse in parte ancora maggiore, con la prospettiva di un Mugello che è casa e che gli farà sentire un po’ di calore in più del gelo che invece su di lui si legge in giro, soprattutto sui social. Come se la grande colpa di pecco fosse quella di non arrabbiarsi abbastanza, di non sentirsi un perseguitato, di non lasciarsi andare a scenate o di non prestare il fianco a chi strumentalizza sempre tutto in nome di complotti che non esistono.
Ecco, a spiegare che non esistono - ammesso che chi non vuole capire, tanto, non lo capirà mai comunque – c’è proprio questo episodio del documentario a puntate sul 63. Perché nella domenica di Aragon, quando le cose hanno preso una piega differente e è arrivato un podio che ha lo stesso sapore di una vittoria, la gioia che s’è vista in Dall’Igna e negli uomini del box è stata autentica. Vera come è vero chi ha la forza e la capacità di restare compassato anche quando il sangue gli bolle dentro. Che non significa, sia inteso, non essere campioni. O abbastanza campioni.