“Nicolò Bulega ha detto che gli piacerebbe avermi come compagno di squadra? Piacerebbe molto anche a me”. Danilo Petrucci la butta a ridere, ma ha gli occhi di uno che potrebbe pure mandare a quel paese chiunque. Perchè l’adrenalina della gara è ancora in circolo, perché è un caldo bestia da buttarsi dentro la tuta un intero secchiello di ghiaccio (lo ha fatto davvero, ndr) e perché è consapevole che anche un terzo posto appena dietro due extraterrestri potrebbe essere niente davanti a un’altra giornata da vivere in pista (partendo nono) e a un altro futuro da ricostruire. Sì, è la solita storia dei cavalli e dei muli: sempre lodati i primi, sempre scherniti gli altri. Anche se fanno più fatica, anche se portano di più pur sembrando di meno. Il miglior fieno per i cavalli, soprattutto per quelli che a volte sono solo da esposizione, e quello che avanza, quando avanza, per i muli. Sì, è la solita storia dei “condannati a dare sempre qualcosa di più” dentro cui ci siamo riconosciuti tutti, a volte anche sentendo di essere già oltre il limite da un pezzo. Solo che quel limite chi ha dovuto imparare a fare i conti con quella condanna, ha imparato anche a superarlo ogni volta. Magari anche senza sapere come.

L’esempio vivente? Danilo Petrucci quest’arte qui potrebbe insegnarla nelle scuole, perfetto interprete dietro una cattedra di una materia strana che potremmo chiamare “faticologia comparata”. Comparata perché c’è sempre chi deve farne tanta di più e a volte per ottenere pure di meno, ma ha capito che c’è poco da arrabbiarsi e tanto da accettare. A Danilo Petrucci succede da sempre. Anzi, un episodio l’ha ricordato anche oggi nella sala stampa di Misano. “Qui – ha detto – nel 2017 ero davanti a tutti in MotoGP e per un sacco di giri ho pensato che avrei vinto la mia prima gara proprio in Italia e su questa pista, poi alla fine è arrivato Marc Marquez e mi ha incu*ato. La prima vittoria è arrivata due anni dopo, sempre in Italia, al Mugello, ma due anni dopo. Ho dovuto aspettare”.
Aspettare come un verbo che nella storia di Danilo Petrucci è sempre stato sinonimo di “pazientare”. Rispetto a che cosa? Rispetto alla consapevolezza che non è sempre dal proprio io che dipende e che l’unica cosa che c’è da fare è dare di più. Di più e oltre. Accettando quella fastidiosa condanna lì di essere quelli che devono sempre un po’ di più degli altri. Ecco perché anche adesso che è terzo nel mondiale e che terzo ci arriva più o meno sempre, Petrucci tira il freno quando gli si chiede se sarà lui il nuovo pilota ufficiale di Ducati in Superbike. E, anzi, la butta su se stesso: “forse non sono in cima alla lista dei desideri di Ducati, magari cercano altro, probabilmente qualcuno più giovane. Oppure cercano qualcuno che con una moto più o meno simile a quella di Bulega non arriva a quindici secondi da Bulega. Io preferirei essere il terzo di tre piuttosto che il primissimo di tutti gli altri”. Sono parole, signori, che valgono un compendio di umanità. Sono parole che mettono insieme tutti i valori veri di chi ha imparato a amare la fatica e il guardare al proprio io prima che alle colpe che stanno fuori. Anche quando è palese e evidente che quelle colpe ci sono. Chiunque, dopo un terzo posto in rimonta e con la conferma di essere “il primo degli umani”, avrebbe cominciato a bussare alle porte di Ducati, quasi pretendendo una sella che oggettivamente dovrebbe spettargli quasi di diritto. E poi ci sono Danilo Petrucci e quelli come Danilo Petrucci, che invece sanno che tanto non basta mai niente e che provarci ancora è l'unica strada. Provarci di più. Provarci meglio. E magari buttarla pure un po’ a ridere.

“Le parole di Nicolò mi fanno sicuramente piacere – ha detto – E’ chiaro che piacerebbe anche a me guidare la Ducati ufficiale l’anno prossimo, ma sto bene anche dove sto. E, piuttosto, mi fa piacere che se Ducati potrebbe non considerarmi c’è chi è pronto a farlo”. Quindi hai offerte, gli chiede qualcuno in sala stampa, e lui: "Sì, ne ho diverse". Non è una minaccia o un “andrò via se”, ma è quasi uno sbotto d’orgoglio per dire che chi s’è accorto di quanto è immenso, a 35 anni, questo Danilo Petrucci, al punto di mettergli sul piatto l’offerta di una moto ufficiale. Solo che chi è immenso – in questo Motorsport in cui sembra che la febbre del cash non conosca Aspirina – mette davanti l’amore. E Ducati, inutile negarlo, è l’amore della vita da pilota di Danilo Petrucci. Così come Barni non sarà un team ufficiale, ma è una gran squadra e, per lui, quasi un’altra famiglia. “Continuerò a fare tutto quello che posso – ha detto – io voglio colmare il gap che c’è da Toprak e Nicolò che fanno oggettivamente un altro mestiere. Non è questione di moto, anche se le loro sono ufficiali, ma di qualcosa in più che riescono a metterci e quindi se ce la fanno loro voglio capire come poterlo fare anche io. Non devo convincere nessuno, ma voglio convincere me stesso perché fino a che sarò un pilota penserò a come poter fare meglio”.
Eccola lì l’altra lezione di chi, tutto sommato, è anche ben consapevole di essere incredibilmente amato dagli appassionati e che in fondo basterebbe scatenare un po’ di hype per fare sì che un sacco di gente chiedesse a Ducati di scegliere proprio lui. Lui, Danilo Petrucci da Terni, invece, preferisce "limitarsi" a dare ancora e di più, anche se il limite è stato già raggiunto e superato altre decine di volte e anche qualcosa sotto sotto dice che potrebbe non bastare neanche il riuscire a superarsi ancora. Magari non basterà davvero per guidare una Ducati del Team Aruba e diventare davvero il compagno di squadra di Nicolò Bulega, ma basterà di sicuro per essere amato oltre quel limite che lui stesso aveva immaginato. Sorprendendosi come si sorprendono i genuini: “sì, l’affetto della gente è qualcosa che mi commuove ogni volta e quando corriamo qui in Italia è davvero incredibile. Ecco perché ci tengo a fare bene e spero, domani, di ripetere e migliorare quanto fatto oggi in Gara1, anche se partirò nono. A proposito, con Nicolò ci siamo chiariti e è evidente che non mi ha rallentato lui, visto che era abbastanza avanti e che tra me e lui c’era Iannone. Con Iannone, invece, ancora nessun chiarimento, ma pensiamo a domani e a fare bene per me, per Barni e per tutta questa gente che mi fa dire grazie ogni per la vita che un po' ho voluto e un po' mi è toccata”.