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“Lui corre così, punta la gamba”: Valentino Rossi l’aveva detto, ma lo scandalo non è che a Marc Marquez si chiude la vena

Emanuele Pieroni

28 aprile 2024

Una vecchia intervista di Valentino Rossi che torna attuale dopo la Sprint di Jerez, proprio nel giorno in cui si parla (ingiustamente) di Marc Marquez non per il mezzo miracolo che stava facendo con la Desmosedici del Team Gresini, ma per qualcosa che invece fa da sempre. E su cui lui ha una sola colpa: essere Marc Marquez. Il problema non è il 93, ma chi non vuole farci i conti...

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

“E’ una situazione secondo me molto pericolosa. La Race Direction deve fare qualcosa perché c’è da farsi male. Marquez non ha mai nessun tipo di rispetto per i suoi avversari, se guardiamo solo la gara di oggi è andato contro 4 o 5 piloti diversi. Ormai lui ti punta la gamba, ti punta la gamba in pieno e sa che se ti prende tra le gambe e la moto lui non cade, e spera che cadi tu. Lui corre così. Se tutto quello che è successo si prende singolarmente, sono cose che possono accadere durante una gara. Il problema è che Marquez è recidivo, corre così con tutti". Era il 2018 e Valentino Rossi, dopo l’ennesimo scontro con Marc Marquez in pista, se ne era uscito con queste parole. 

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Sono passati ormai sei anni, con in mezzo anche un brutto infortunio per Marc Marquez e, ora che il tempo ha sedimentato le divisioni da tifosi, quelle parole di Valentino Rossi possono, finalmente, essere prese per quello che realmente significavano. Non lo sfogo di un avversario con il dente avvelenato, non il puntare il dito di un amante tradito, ma un monito a prendere atto che i campioni – lui compresi – vanno presi per quello che sono. E che, semmai, è chi ha il ruolo di tutelare tutti che dovrebbe comportarsi diversamente.

S’è visto anche ieri, nella Sprint di Jerez. Ma, sempre a Jerez, s’era visto anche nel 2020. Anche quella volta Marc Marquez era caduto e poi, lanciato in una rimonta forsennata, sembrava in preda a un delirio pericoloso. Che pericoloso, poi, è stato davvero. Per lui, visto come sono andate le cose. Anche se fino a lì stava facendo godere tutti. Marc Marquez è così: gli si tappa la vena. In questo 2024 l’hanno capito a loro spese anche Joan Mir e Stefan Bradl. Gli si attappa la vena. E’ la più banale delle frasi. Ma a volte nella banalità c’è semplicemente la verità dei fatti. Senza andare a scomodare antisportività o il volerlo fare a posta. E’ il bello e contestualmente il brutto di Marc Marquez e di tutti quei piloti che quando prendono uno schiaffo – da un avversario o dalla sorte – hanno reazioni poco lucide. Generano spettacolo, fanno impazzire gli appassionati, ma si rendono anche pericolosi. Il punto, quindi, non è “il male di Marc Marquez”, ma il male di chi non vuole rendersi conto che chi è fatto così – per fortuna – non cambierà mai e che l’unica cosa da fare è intervenire prima che sia troppo tardi. Con tutta l’autorevolezza di chi è investito dell’autorità di farlo. Per metterci una pezza e anche per evitare che la coda di ogni gara diventi la polemica infinita che fa solo male allo sport. E, nel caso specifico, anche allo stesso Marquez, visto che toglie visibilità alla vera, meravigliosa, impresa che sta compiendo in questa prima stagione in sella a una Ducati Desmosedici.

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E’ esattamente ciò che Valentino Rossi diceva nel 2018 e è in qualche modo anche quello che ha ribadito ieri Carlo Pernat nell’intervista a Sky che oggi fa il giro del mondo, perché raccontata come un attacco personale. Non è stato un attacco personale, meno che mai a Marc Marquez. E’ stato, semmai, un voler rimarcare ancora e di più che la Race Direction deve avere sempre chiaro in mente – e negli occhi – chi c’è in pista e quali specificità e criticità hanno i piloti, presi uno per uno. Per prevenire, insomma. Che è l’unica cosa che funziona sempre davvero e che alla fine salvaguarda sia lo spettacolo sia l’incolumità di tutti.

A Marc Marquez (o Brad Binder che sia) si tappa spesso la vena? Sì! E meno male che è così, perché è lo spirito dei campioni che non mollano niente. Di inadeguato, semmai, ci sono gli arbitri, che non sanno capire e non vogliono capire – in nome di non si sa quale reverenziale sudditanza – che i fenomeni hanno tutto il diritto di fare i fenomeni solo e esclusivamente nella misura in cui chi è pagato per giudicare abbia il coraggio di decidere. Anche quando non conviene. Anche quando si presta il fianco alle antipatie. Perché è meglio rendersi antipatici che piangere qualcuno. E è meglio rendersi antipatici anche rispetto al dover parlare di MotoGP sempre e solo in termini che questo sport non merita e che attengono più al calcio che a quelli che la pelle la mettono sul piatto davvero.

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