“Ci sono due tipi di sportivi - spiega Carlton Myers - quelli che amano la vittoria, cioè lui, e quelli che odiano la sconfitta, ovvero io". E l'altro: “Tutti odiano la sconfitta. È successo anche a me, un paio di volte”. A scherzare, di rimando, è Sasha Danilović. Perché dopo anni di sfide epiche che hanno acceso il basket italiano, oggi i due ex campioni si affrontano soprattutto con battute e frecciatine amichevoli.
Hanno praticamente la stessa età - 54 anni Myers e 55 Danilović - e hanno incarnato l’epoca d’oro della pallacanestro a Bologna. Carlton Myers, padre caraibico e madre italiana, era arrivato alla Fortitudo nel 1995, dopo le ottime cose fatte vedere a Rimini e a Pesaro (con cui nel 1994 aveva vinto il titolo di MVP della Serie A). Danilović, serbo di Sarajevo formatosi al leggendario Partizan, era alla Virtus già dal 1992, ma quando Myers approdò a Bologna aveva fatto il salto oltre oceano, approdando nella NBA. Nel 1997, dopo aver giocato con Miami Heat e Dallas Mavericks, era infine tornato in Italia, e lì è nata la loro grande rivalità.

Tre anni di battaglie che hanno consolidato la fama di Bologna come la città del basket italiano. Anche se con la Virtus più avanti rispetto alla Fortitudo: tre titoli vinti con Danilović tra il 1992 e il 1995, più un quarto nel 1998, nello stesso anno in cui arrivò anche la conquista della Coppa dei Campioni, seguita nel 1999 dalla Coppa Italia. Per Myers e la sua Fortitudo, invece, ci furono “solo” il campionato vinto nel 2000 e la Coppa Italia del 1998.
“L’amicizia tra noi non c’è sempre stata, ma c’è stato il rispetto. Era difficile, per atleti come noi, essere davvero amici in questo contesto”, dice Myers nell’intervista, parlando delle pressioni che si vivevano in città in quel periodo. È Danilović a raccontare come il rapporto tra di loro sia cresciuto dopo il termine delle rispettive carriere. Nel 2010, quando Myers, all’epoca 39enne, aveva deciso di appendere gli scarpini al chiodo, telefonò al rivale, parlandogli dei suoi dubbi e chiedendogli un’opinione. Il campione serbo, dal canto suo, aveva già lasciato il basket da dieci anni, diventando subito presidente del Partizan di Belgrado. “È lì che è cresciuta la nostra amicizia” commenta Danilović.

Com’è immaginabile, è complicato per dei grandi atleti di due squadre avversarie e addirittura della stessa città avere un rapporto interpersonale veramente fraterno, anche solo per come questo potrebbe essere percepito dai tifosi. I due ex cestisti spiegano infatti quanto fosse difficile per loro, che erano le due stelle di Fortitudo e Virtus, vivere Bologna in quegli anni, al punto che Danilović ha rivelato che lui non usciva praticamente mai di casa.
Una pressione che aveva aspetti negativi, ma ovviamente anche molti positivi, concordano Myers e Danilović: non a caso erano campioni amati dal pubblico, ben pagati e idolatrati dai media. “Se io avessi giocato a Roma e lui a Trento, - prosegue l’ex guardia della Fortitudo - non saremmo mai stati ricordati come lo siamo oggi. Il contesto in cui abbiamo giocato ha contribuito a questa rivalità”.

Ma le differenze tra loro non sono mai state dovute unicamente ai colori che indossavano, bensì anche alle esperienze di vita e al loro modo di stare in campo. Myers ha iniziato a giocare a pallacanestro relativamente tardi, dedicandosi ad allenamenti solitari per migliorare il proprio tiro a canestro, e sviluppando così uno stile di gioco molto individuale e portato alla finalizzazione. “Ho avuto la fortuna di giocare con giocatori eccezionali, alla Virtus, al Partizan e anche nella Jugoslavia. - spiega, per contro, Danilović - Mi hanno insegnato che è importante non solo fare canestro, ma anche la buona difesa, un buon assist.”
Dal loro dialogo emerge dunque anche la dimensione più sportiva della loro relazione, e il modo in cui questa ne ha influenzato la rispettive crescite come atleti e come persone. Se Danilović rivela infatti di avere sempre invidiato a Myers di essere stato portabandiera del proprio paese ai Giochi Olimpici (è successo a Sydney 2000), l’ex Fortitudo riconosce proprio le qualità del serbo di interagire con gli altri giocatori. “Capiva quando era il momento di gratificare i compagni. In una partita punto a punto, se uno sbagliava un canestro lui lo incoraggiava: io questo non sono mai riuscito a capirlo. - confessa Myers - Però se stavano sopra di 20 e un compagno sbagliava, allora lo massacrava.”
