Richard Gasquet dice addio al tennis con una delle sconfitte più nette e crude possibili: 6-3, 6-0, 6-4 contro Jannik Sinner, che non ha avuto bisogno di alzare il volume del gioco per dominare il secondo turno del Roland Garros. È il numero uno al mondo a mettere il sigillo sulla carriera del francese, suo ex “collega di Piatti”, oggi avversario distante generazioni e livelli. Una partita senza storia, che ha raccontato meglio di qualsiasi cerimonia la differenza tra ciò che è stato e ciò che sarà. Il Centrale parigino ha provato a scaldare Gasquet con applausi e cori. Ma in campo c’era poco da festeggiare: Sinner ha lasciato appena sette game al rivale e si è preso il centro della scena con il consueto distacco glaciale. Solo tennis. Lucido, feroce, perfetto. Il massimo del rispetto, in fondo, è anche questo: trattare l’ultima di Gasquet come qualsiasi altra partita da vincere ma senza mai offendere, senza umiliare l’avversario.

Di fronte, il francese ha opposto quello che gli restava: un paio di rovesci a una mano che ancora sanno incantare, la compostezza di sempre, e poco più. Troppo debole il servizio, troppo lenta la corsa, troppo fragile il fisico per resistere alla pressione costante di Sinner, che lo ha spinto lontano dalla riga e poi giù dal palcoscenico. Alla fine, tra le lacrime e le magliette celebrative nel box di Gasquet, è arrivato anche l’omaggio del vincitore: “Congratulazioni a te, alla tua famiglia e al tuo team per la tua carriera. Tutti si ricorderanno di te anche quando non giocherai più. Congratulazioni per la persona che sei”. Jannik, come con Rinderknech al primo turno, si è inchinato al pubblico francese, che gli ha riservato comunque un’ovazione.

Gasquet aveva debuttato qui vent’anni fa, quando Sinner aveva appena un anno. E anche se non è mai diventato il campione che la Francia sperava, lascia da fuoriclasse del gesto. Di quelli che fanno innamorare anche senza vincere troppo. Per Jannik, ora, c’è il ceco Lehecka. Ma oggi, prima di guardare avanti, ha firmato un addio che resterà: se Parigi era l’ultimo ballo, è stato lui a scegliere la musica. E a chiudere la pista.