Anche le news provano nostalgia. Quasi sempre. Verso cosa? Verso altre, più vecchie, news. Che, in quanto vecchie, news non sono più, ma… Ti ricordi il caos su Imane Khelif? Bello, no? “Intrigo internazionale alle Olimpiadi 2024!” Wow, mica male. E allora torniamoci sopra, su quell’intrigo, perché a riaprire il discorso è una voce forte, proveniente dal ring.
Quella di Micol Di Segni, fighter classe 1987, campionessa del mondo di MMA, che durante un’intervista pubblicata da most_valuable_podcast ha detto la sua sul caso Carini-Khelif, il caso per antonomasia di quell’estate dello scorso anno in cui mezza Italia, per la prima volta, sentì pronunciare il termine “intersex”. Uno dei tanti termini utilizzati per descrivere la pugile algerina Imane Khelif, che a Parigi finì per trionfare, sguazzando in un mare di polemiche, nella categoria 66 kg. Uno dei tanti termini, va ribadito, perché a Khelif non fu risparmiato nulla. Se le prese tutte, le etichette. Da uomo a donna, più tutto quello che ci stava in mezzo. In mezzo, appunto. Cosa aveva e cosa ha, in mezzo alle gambe, Imane Khelif? È questa la brutale domanda che ha ispirato migliaia di speculazioni, trasformando la partecipazione dell’algerina alle Olimpiadi in un autentico caso cultural-politico.
Un caso su cui oggi si espone Di Segni. Che parte da quel combattimento surreale fra Imane Khelif e la nostra Angela Carini, che, dopo qualche colpo ben assestato di Khelif, si ritirò, platealmente, inginocchiandosi in lacrime. Sottotesto, neppur velato: “Io contro un uomo non posso – non riesco – a combattere. Rinuncio quindi al mio sogno olimpico”. Tutti mediaticamente contenti, tranne la disciplina che vedeva protagoniste, al centro dell ring, Khelif e Carini. Oggi Di Segni si esprime così, fra disincanto e sconcerto: “È stata una porcata. Quello che hanno fatto a quella atleta (Khelif) è stata una cosa schifosa e sono molto felice di vedere che ha avuto il coraggio di trasformare tutto questo odio, queste polemiche, tutto questo fastidio che le hanno dato mentre stava facendo un’Olimpiade, in una vittoria. Ha vinto e poi è finita in copertina su “Vogue”… Ciao!”.
Il problema, non fosse ancora chiaro, era: ma Khelif può davvero combattere contro una donna? A monte di questo enorme dubbio (è uomo o è donna?), una lotta politica fra test e verifiche: il Cio (Comitato olimpico internazionale), all’epoca dei fatti, non riconobbe i test sul genere fatti da Iba (International boxing assocation) sostenendo che non fossero leciti. Khelif nel 2023 aveva fallito i test di genere ai campionati mondiali ed era stata squalificata. Il Cio, ammettendola all’Olimpiade, negò clamorosamente la decisione dell’Iba e da quel momento si scatenò un inferno di dichiarazioni e rivelazioni che MOW ha puntualmente raccontato passo per passo. “Non capisco perché uccidono così la boxe femminile. Per motivi di sicurezza, soltanto gli atleti idonei dovrebbero competere sul ring”, disse il presidente dell’Iba, il russo Umar Kremlev. Sul sesso di Khelif l’ombra di una disputa fra i due mondi, quello russo e quello dei “buoni e politicamente corretti”.
Di Segni ricorda bene quel contesto infuocato: “Tu hai preso i cazzotti tutta la vita, hai fatto sparring con gli uomini tutta la vita, con questa ragazza probabilmente ti ci sei già allenata, stai a fa’ la scena. Hai sentito la sigla di “Domenica In”…, di qualche programma, hai sentito la puzza di Barbara d’Urso (il conduttore la corregge. “Profumo di Barbara d’Urso”) e secondo me è stata mal consigliata”. Le fu consigliato, in sostanza, di cavalcare l’onda politica salviniana (il leader leghista su X: “Brava Angela, hai fatto bene! […] Vergogna a quei burocrati che hanno permesso un match che evidentemente non era ad armi pari. Se ne sono accorti tutti in Italia e nel mondo, tranne i distratti commentatori della Rai. Un abbraccio ad Angela, forza”).
Una pagliacciata, insomma. “La Carini – sempre Di Segni – già ci si era allenata con lei (Khelif). Tutte si erano già allenate con lei, e ci si erano pure fatte la doccia insieme, quindi lo sapevano benissimo se era una donna o era un uomo”. E aggiunge: “Io sono la prima a dire che gli uomini non dovrebbero combattere contro le donne, io con gli uomini ci faccio sparring e so cosa significa prendere un cazzotto da un uomo”.
Posto che l’opinione di Di Segni sul caso Khelif non sarà l’ultima, queste dichiarazioni lasciano di nuovo l’amaro in bocca. E una sensazione altrettanto amara. Che entrambe le atlete siano state manipolate. A livelli diversi, e probabilmente con un livello diverso di consapevolezza. Alla faccia dello spirito olimpico e alla faccia della boxe, uscita davvero malconcia da una disputa che avrebbe meritato – se ritenuta proprio necessaria e urgente – tutt’altro ring.