Imane Khelif, oro olimpico nella boxe a Parigi, racconta a La Repubblica le difficoltà di una vittoria che va oltre il ring. La pugile algerina è diventata a suo dire bersaglio di una campagna di odio globale che ha coinvolto figure di spicco come Elon Musk, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Donald Trump. Il tema? Quella dell’ammissibilità alla sua partecipazione allo sport femminile visto il dibattito sulla sua presunta “intersessualità” (da molti erroneamente bollata come transessualità).
“Non augurerei a nessuna persona al mondo quello che mi è successo alle Olimpiadi di Parigi,” spiega Khelif. “È stata una campagna di puro odio e bullismo. Ha sfregiato la mia immagine, la mia vita e tutto il duro lavoro che ho fatto per raggiungere il mio posto. Tutti coloro che hanno partecipato a questa battaglia — Trump, Elon Musk, Meloni — lo hanno fatto senza controllare le fonti.”
L’atleta portacolori dell’Algeria, che ha battuto (tendenzialmente ai punti) ogni avversaria sul ring, si è trovata a combattere contro insinuazioni sulla sua identità di genere. Le lacrime della pugile italiana Angela Carini, sostanzialmente ritiratasi dal loro incontro dopo il primo pugno “troppo forte”, hanno dato ulteriore alimentazione a una macchina critica che ha visto protagonisti leader politici e influencer globali sui social.
“Per quanto riguarda gli altri, non ho risposto a nessuno perché mi sembrava insignificante,” continua Khelif. “Le loro azioni sono immorali e ho scelto di non perdere tempo. Prendi Elon Musk: non l’ho mai incontrato. Non mi conosce. Non abbiamo mai parlato. Non so perché mi odi così tanto senza sapere nulla di me, della mia storia, da dove vengo e cosa sto cercando di fare. Lo stesso vale per Trump. Non sa cosa ho passato o il lavoro che ho fatto per arrivare qui.”
L’ex numero uno del tennis mondiale Navratilova all’attacco
Alla domanda su eventuali contatti con Salvini o Meloni, la risposta è altrettanto netta: “Non ho mai avuto scambi diretti con loro. Ma per me la migliore risposta è stata quella di ottenere la medaglia d’oro che non volevano che vincessi.”
Le polemiche non hanno fermato la determinazione di Khelif, che ora guarda avanti con nuovi progetti. Un film sulla sua vita è in fase di sviluppo, e il suo impegno con l’Unicef nei campi profughi Saharawi dimostra come la boxe sia solo una parte della sua missione.
“Quel viaggio è stata l’esperienza più bella che abbia vissuto dopo le Olimpiadi,” racconta. “Ho incontrato tantissimi bambini, ho visto come vivono, l’impegno che mettono nella lettura e nello sport. Quei piccoli non sono fortunati e mi auguro che Dio dia a loro la possibilità di vivere al meglio. Sono felice di poterli aiutare.”
Sullo sfondo, però, resta l’amarezza per la campagna “diffamatoria”: “Alla fine ho dimostrato al mondo che sono qui,” conclude.