Valencia è stata una gara lunghissima ed è cominciata da lontano. Quando, effettivamente, è difficile dirlo. È stato un cammino lento dalla Malesia, dove Pecco Bagnaia è uscito con 23 punti di vantaggio su Fabio Quartararo, ma è stato ancora più lungo se pensiamo ai 91 scalini dopo il Sachsenring, da risalire uno alla volta. Si può pure partire dal 2009 però, quando Valentino Rossi ha vinto da ultimo pilota italiano, o dai 15 anni della Ducati con Stoner e i 50 di Agostini e l’MV. Partire dal pilota stesso anche, che buona parte dei suoi 25 anni li ha spesi inseguendo il momento. Punti di vista.
Quei giorni a Valencia però, dal mercoledì pomeriggio alle 14.45 della domenica, sono stati lentissimi per tutti. Tra interviste, autografi e incontri, Bagnaia ha vissuto tutto con quell’elefante nella stanza su cui c’era scritto MONDIALE, finendo a girare da solo, di notte, in monopattino per il paddock. I turni di prova non sono andati bene, anche se non così male da rendere difficile il lavoro. E poi la gara, che tolti i primi due giri è stata soltanto attesa. Per chi sperava in Fabio, per chi guardava a Pecco. In telecronaca di classifica non si è parlato mai, non si è mai detto che Quartararo, quel primo posto necessario a tenere aperto il mondiale, l’avrebbe potuto portare a casa solo con una carambola alla Steven Bradbury, cosa che oltretutto non sarebbe bastata senza che anche Bagnaia finisse per terra. Eppure, per tutti, l’attenzione era sui giri restanti, sulla corsa, perché - da sempre - non è finita finché non è finita.
Quando ne mancava uno però, dalla cabina di commento Sky il tono è cominciato a cambiare. Non è retorica, raccontare un pilota italiano che vince su di una moto italiana è un momento raro e prezioso. Guido Meda la prende da lontano come il weekend, ci si avvicina per gradi, parla della gara straordinaria di Alex Rins e di Franco Morbidelli lì vicino a Bagnaia, un paio di metri appena. Mauro Sanchini è commosso. Lo vedi che vorrebbe esplodere di gioia, piangere e urlare, invece si limita a saltellare sullo sgabello con gli occhi lucidi. Pelle d’oca a casa, connessione in cabina. Meda sul suo sgabello ci sale, tutti in piedi sul divano davvero: “Sooono passati cinquant’anni / ed è difficile credere che sia toccata proprio a noi”. È vero, è difficile crederci. Per l’ultimo giro di pista si inventa una metafora della vita, fatta di staccate a tenersi forte, curve appesi al niente, rettilinei in cui riposare. A una cosa così puoi pensarci prima, ma quei quattro minuti che trovate nel video sono un’improvvisazione che spiega il mestiere. In quel momento lì devi averlo dentro, sentirlo. Ed è un bel tributo al motociclismo, già nella storia.