“Quando è successo quello che è successo con Marco, sono stato a casa di Paolo Simoncelli e della sua famiglia, a Coriano, per circa due mesi”. Che Carlo Pernat ha sempre in testa quei maledetti giorni di ottobre è noto, ce lo ha raccontato più e più volte e, ultimamente, era anche andato un po’ più a fondo, oltre quei modi sempre leggeri che ha lui anche di raccontare la sofferenza. Adesso, però, il manager genovese ha aggiunto di più, in una intervista rilasciata al Secolo XIX che suona quasi di regalo alla sua città. Alla sua Genova. Aneddoti, storie, racconti e una confidenza fino a ora mai fatta. “Io non ho mai nascosto che in quel momento lì volevo smettere e chiudere tutto – ha raccontato – sono andato a casa di Paolo e lì sono rimasto per quasi due mesi, è come se ci fossimo fatti forza a vicenda per andare avanti anche nelle corse, come avrebbe voluto Marco”.

Il discorso, inevitabilmente, si sposta su Valentino Rossi. Carletto, seduto al tavolo del bar genovese, ci pensa un po’ e poi fa una faccia che sembra quella di chi sta appena valutando se raccontare o meno. Poi inizia a parlare. “In quei due mesi – dice – Valentino Rossi non si è fatto vedere e non si è fatto sentire. Non dico che Paolo fosse arrabbiato, ma faceva un po’ strano, ci era un po' rimasto male, perché erano amici davvero Vale e Marco. Solo dopo ho capito il perché di quell’atteggiamento: Valentino si colpevolizzava perché l’ultima ruota che è passata sul corpo di Marco in quell’incidente maledetto è stata quella della sua Ducati. Pensava che fosse colpa sua. Poi, due mesi e mezzo dopo, c’ero anche io a casa Simoncelli, s’è presentato alla porta dal nulla. Quando ha visto Paolo lo ha abbracciato e gli ha detto ‘scusami, sono stato io’. Un momento bello e in cui abbiamo capito cosa provasse anche lui”.

Inutile negare che oltre quello che si è visto, oltre l’atteggiamento da piloti che conoscono benissimo i rischi della vita scelta, ci sono ragazzi che hanno sentimenti e emozioni. E reazioni che magari sul momento possono sembrare difficili da spiegarsi, fino a quando tutto si fa chiaro. “Vale – aggiunge Pernat – non è stato più lo stesso dopo quel 2011”. Meglio, però, raccontare la parte bella di un ragazzo che non c’è più da quattordici anni, ma è ancora nel cuore di tutti, piuttosto che la fine tremendo che gli è toccata e che ha segnato chiunque gli volesse bene.
“Era impossibile non andare d’accordo con Marco – racconta ancora Pernat – Oggi la Fondazione che porta il suo nome raccoglie quasi due milioni di Euro l’anno, credo che questo renda la misura di quanto quel ragazzo fosse arrivato nel cuore delle persone. L’amicizia con Vale è stata speciale e è cambiata un po’ “quando Marco se lo metteva dietro in qualche gara”. Le storie dei due, invece, sono state diversissime, con Pernat che racconta ancora. “Vale era raccomandatissimo, insomma, era il figlio di Graziano e quindi mi chiamavano in continuazione perché andassi a vederlo. Ci andai per una gara dell’Europeo e rimasi impressionato dalle traiettorie che faceva, era fortissimo, solo che cadeva molto e aveva una paura terribile sull’acqua. Quando pioveva non voleva correre, ha dovuto imparare dopo a prendere confidenza con le piste bagnate. Insomma dai, mi innamorai di lui e lì è iniziato tutto, ma se all’epoca mi avessero detto che avrebbe vinto nove mondiali e che sarebbe diventato la leggenda che è non ci avrei creduto”.