Tra pochi giorni avrebbe compiuto 87 anni. Ha raccontato la nazionale e i maggiori aventi sportivi per la Rai, dal 19 al 2002. Dopo tanti anni a Milano era tornato a vivere in Friuli, nella sua Cormons in provincia di Udine. Amava giocare a carte e tocai con gli amici. La peggiore telecronaca? “La finale di Coppa dei Campioni all’Heysel, non era accettabile a livello umano ciò che dovevo spiegare ai telespettatori”. Tutto molto bello, Bruno. C’è da restituire la linea allo studio, c’è da salutare e ringraziare, come alla fine delle trasmissioni. Ma le vite dei giganti i non si concludono con la morte. Non c’è il tasto off. Restano nel cuore, nei racconti e in quei pezzi di storia archiviati nella più alta manifestazione delle emozioni. Bruno Pizzul ci ha lasciati, all’alba del 5 marzo 2025, tre giorni prima del suo 87esimo compleanno. Un addio che chiude la prima generazione di giornalisti italiani che, alla radio e in televisione, ha raccontato pagine di sport e di calcio in particolare. Da Niccolò Carosio a Sandro Ciotti, da Nando Martellini a Enrico Ameri e Alfredo Provenzali. Voci che precise ed educate, con lessico forbito e impeccabile grammatica, che raccontavano gli avvenimenti nel mondo analogico.

Erano gli anni di un’Italia che si sentiva ancora forte, sbarazzina, che faceva la scarpetta nei benefici del boom economico ed esportava l’imbattibile Milan di Berlusconi in tutto il mondo. La Nazionale di calcio i mondiali li giocava e li voleva vincere. Erano le notti magiche di Italia ’90. Ci si riuniva nei garage e nei circolini per il grande sogno. Per Baggio, Vialli, Schillaci. E poi quella voce: “Ha segnato Roberto”. Tutto molto bello, necessario ripeterlo. Bruno Pizzul ha accompagnato le vite e i sogni di molti. In totale ha raccontato gli azzurri cinque volte ai mondiali, quattro volte agli europei, tra il 1986 e il 2002. Sempre presente agli avvenimenti sportivi più importanti trasmessi dalla Rai. Tra questi anche la finale del 29 maggio 1985 all’Heysel, tra Juventus e Liverpool. È stata la telecronaca che non avrei mai voluto fare - aveva dichiarato - non tanto per la difficoltà di comunicazione giornalistica, ma perché ho dovuto raccontare cose che non sono accettabili a livello umano”.

Friulano di Cormos in provincia di Udine (nota per il trattato, firmato il 12 agosto 1866, che stabilì la fine delle ostilità tra il Regno d’Italia e l’Impero austriaco nella terza Guerra di Indipendenza), dove era tornato a vivere con la moglie dopo decenni di lavoro alla Rai di Milano, si era sempre distinto per uno stile misurato e un atteggiamento riservato. Amava stare al riparo dalla frenesia, giocare a carte e tocai con gli amici, e osservare il cambio delle stagioni che “in città viene nascosto dai palazzi alti”. A calcio aveva anche giocato da centromediano metodista e aveva superato il provino per il Catania. Un grave infortunio fermò la sua vita sportiva, ma non la passione per quel pallone che ricordava rotolare nella piazza del suo paese come “simbolo di aggregazione tra bambini della stessa terra che nel 1945 vivevano divisioni e odio nei 40 giorni di terrore sotto la minaccia di Tito”.

Completati gli studi con la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, era stato assunto in Rai attraverso il concorso nazionale per radio-telecronisti nel 1979. Passaggio della sua vita che viene ricordato anche dal giornalista Marino Bartoletti che ha dedicato l’ultimo post di Instagram a Bruno Pizzul: “La sua morte fa male, ma proprio male. Per chi, come me, ha diviso una buona parte della vita con lui, anche per chi, dall’altra parte dello schermo, ha avuto la fortuna di godere il suo essere gentiluomo in ogni cosa che ha fatto. Era stato assunto in Rai per concorso, perché era bravo”. Pierluigi Pardo, nel suo reel, ricorda: “Un uomo tutto d’un pezzo, persona speciale che ho avuto il privilegio di conoscere. Era fantastico parlare con lui. Una voce incredibile, un timbro incredibile, aveva la capacità di raccontare tanto con poco, con tre parole. La telecronaca è anche estetica e la sua voce oggi resta un patrimonio”.
Riccardo Trevisani, voce di Sport Mediaset, si collega a un particolare ricordo: “La prima partita della Nazionale che ho visto è stata Italia - Argentina ai Mondiali dell’86 e la telecronaca era di Bruno Pizzul. È stato il papà di tutti noi che facciamo questo lavoro. In pochi mesi abbiamo perso lui e Rino Tommasi, due giganti. Pizzul è stato un esempio di stile, per la qualità del suo lavoro: voce inconfondibile e lessico ricchissimo. Ci ha ispirato e trasmesso la passione. Prima lui e successivamente Flavio Tranquillo sono le figure che hanno influito maggiormente nel mio percorso professionale. Oggi il calcio è cambiato e sono cambiate anche le telecronache - conclude Trevisani - abbiamo strumenti diversi. Certamente il patrimonio che lascia Pizzul è immenso”. Non solo colleghi, tutto il mondo del calcio oggi ricorda il grande telecronista con affetto e profondo rispetto, ma forse il saluto che avrebbe preferito, sarebbe stato il più semplice: manchi Bruno.