La Signora è nuda. Il fallimento conclamato. La Juve esce dalla coppa Italia, battuta nel suo Stadium dall’Empoli (mica il Real Madrid e nemmeno il PSV Eindhoven), che in campionato è in piena zona retrocessione. Dice addio all’ultimo trofeo della stagione tra i fischi del suo pubblico, più incredulo che furibondo per una prestazione che non è esagerato definire vergognosa. Come ha ammesso lo stesso Thiago Motta (voto 4,5). “Provo vergogna”, le sue parole a fine partita.
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La crisi è ufficialmente aperta. I conti si faranno a fine stagione. Ma il bilancio, a fine febbraio, è già in rosso. Perlomeno quello tecnico, i soldi dipendono dalla qualificazione Champions. Bocciato senza appello il sontuoso mercato estivo allestito da Cristiano Giuntoli. Teun Koopmeiners (4,5) continua a vagare per il campo senza meta. Evanescente Nico Gonzales (4), colpevole di aver fallito un agevole vantaggio e innescato con un errore il gol dei toscani. Francisco Conceição (5,5) solleva polvere. Douglas Luiz ancora fuori dopo l’ennesimo infortunio. Della serie: Chi l’ha visto? Peggio, se possibile, gli acquisti invernali. Randal Kolo Muani (5,5), dopo i primi fuochi d’artificio, si è già spento. Lloyd Kelly (4) mostra tutti i suoi limiti. Renato Veiga si è fermato quasi subito. Un disastro.
Roberto D’Aversa (7) ha schierato a Torino le seconde linee (ripeto, con tutto il rispetto eccetera eccetera, le riserve dell’Empoli), pensando più alle prossime sfide salvezza che alla qualificazione alla semifinale della coppa nazionale. La rete di Youssef Maleh (6,5) e, soprattutto, l’atteggiamento dei bianconeri l’hanno spinto a credere che l’impresa fosse possibile. I toscani sono stati più vicini al raddoppio di quanto i bianconeri lo fossero al pareggio, arrivato grazie ad una magia di Khephren Thuram (6,5). I rigori hanno sancito – come ama ripetere il maestro Arrigo Sacchi – la vittoria di chi aveva più meritato sul campo. E non è un caso che gli errori decisivi siano stati di Dusan Vlahovic (4) e Kenan Yildiz (5), tra i pochi superstiti dell’era allegriana, ancora in cerca d’autore come i sei personaggi.
“Possiamo sbagliare tutto ma non l'atteggiamento. Ho sbagliato io perché non ho fatto capire ai giocatori l'importanza di questa partita e di vestire questa maglia”, l’atto di accusa e l’autocritica di Motta. Ecco il punto. Nel calcio dei braccetti e dei quinti, delle marcature preventive e degli accoppiamenti, dei corazzieri al posto dei giocolieri, non basta la (presunta) superiorità tecnica. Servono la forza delle idee e le motivazioni. Voci da dentro spifferano che, se non la prima, la carica del tecnico italo-brasiliano si sia presto affievolita. E la stagione della Juve non è decollata. Il gioco non ha mai incantato. La pareggite ha solo nascosto la polvere sotto il tappeto. Milan in Supercoppa, PSV in Europa, Empoli in coppa Italia sono il triplete di un fallimento che ha molti colpevoli. Compresa la società, non pervenuta.
Maurizio Sarri (scudetto), Andrea Pirlo e Massimiliano Allegri (per entrambi coppa Italia e qualificazione Champions) sono stati cacciati dopo aver raggiunto traguardi che per Thiago sono ormai impossibili. Resta il campionato, dove la Signora arriva da quattro vittorie consecutive e attende il Verona. Anche i bookmakers non sanno che pesci prendere. Di sicuro, allenare Genoa, Spezia, Bologna e nemmeno la giovanile del Paris Saint-Germain, non è come guidare la Juve. Dove il refrain, che sarà ripetitivo, trito e ritrito, persino stucchevole, nella Torino bianconera è sempre lo stesso: “Vincere non è importante. È l’unica cosa che importa”.
Fino alla fine.
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