“Al Milan oggi non c’è la società. Prima c’erano Maldini e Boban, tutta gente che mastica calcio da una vita. Ora c’è Ibra, grandissimo calciatore che però non capisce un caz… di società”. Teo Teocoli, 80 anni e una lucidità che fa impallidire certi dirigenti di oggi, è stato quel tocco di anti-convenzionalità di cui noi amanti del calcio avevamo bisogno. Ha detto la verità in un'intervista al Corriere della Sera in cui ha ripercorso le tappe centrali di vita e carriera. Quella verità che in tanti pensano ma pochi osano dire. E ancora: “Facessero tornare almeno Galliani, che di calcio mi sembra capisca”. Il problema del Milan? Sta ai vertici. Dove una volta c’erano uomini di calcio, oggi c’è Zlatan Ibrahimovic, un (ex) fuoriclasse in campo, ma un’incognita totale come dirigente.
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Zlatan è tornato a postare sui social, scrivono tutti. Come se fosse una notizia. Il Senior Advisor Redbird (che poi, qualcuno ha capito cosa significhi esattamente? Per chi lavora? Qual è la sua funzione?) ha pubblicato alcuni scatti realizzati per GQ Italia, scrivendo “Chapter Two”. Nel bel mezzo della preparazione per Milan-Bologna, nonché di un momento difficilissimo per il club, il volto del rossoneri lancia messaggi sibillini. E qui sta il problema: che contributo sta dando concretamente al Milan? Quali sono le sue responsabilità? Quali le scelte tecniche o il coinvolgimento nel mercato? Fa da intermediario con la proprietà? Oppure il suo ruolo si esaurisce nell’essere il volto pubblicitario di un Milan che sembra più interessato a vendere un’immagine che a costruire una squadra vincente? Perché Ibra è quella roba lì. L’ego smisurato, la necessità di stare al centro della scena, il culto di sé stesso prima di tutto. È sempre stato così, ma il Milan di oggi forse è stanco di adattarsi alla sua narrazione, e ha capito che è ora di imporgli un ruolo chiaro. Ma sappiamo bene che lui le imposizioni non le tollera. Ed è il banalissimo motivo per cui il Milan dovrebbe scegliere tra sé stesso e l’ex goleador.
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Non si può preferire il marchio alla sostanza. Maldini è stato accompagnato alla porta come un fastidio, anziché riconosciuto per quello che era: un dirigente con una visione. Non esente da errori, certo, ma con un’idea chiara di cosa volesse costruire. Oggi invece cosa c’è? Chi prende le decisioni? Qual è la strategia? Perché se il Milan sembra un club senza direzione, quanto pesa il ruolo di Ibrahimovic in tutto questo? La sua presenza non ha portato stabilità né una visione chiara. Se la squadra ha problemi strutturali, se la gestione del mercato ha lasciato voragini, se tutto è incentrato su una nuova comunicazione piuttosto che su un progetto sportivo, una domanda bisogna porsela: è stato davvero un affare sacrificare Maldini?
Perché la realtà è che Maldini era una risorsa, non un ostacolo. La sua cacciata è stata il vero spartiacque tra un Milan che aveva ancora un’identità e uno che si sta smarrendo sotto una patina di storytelling aziendale. E quando Teocoli invoca Galliani, non sta solo facendo una battuta nostalgica. Sta dicendo che una società vincente non si improvvisa. Alla fine, Ibra è quella roba lì. Quello della jacuzzi, a cui mancava solo il sigaro in bocca, che però ora gli ha rubato Conceição. Perché Conceição è un leader. Ibra è un’operazione di marketing. E se il Milan continua su questa strada, rischia di restare solo una copertina perfetta. Sì, di GQ o Vogue, ma con non è certo con i selfie che puoi cantare che "lo scudetto it's coming home".