Estate 2020. Lo sport è appena tornato in televisione per concedere una minima dose di spensieratezza tra mille altri canali inevitabilmente monotematici: pandemia, mascherine, vaccini, autocertificazioni - un loop martellante che preferiamo non ricordare. La MotoGP riparte con due gare in sette giorni. Il Gran Premio di Spagna e il Gran Premio d'Andalusia. Due modi diversi per dire la stessa cosa: si corre nella bolla rovente Jerez de la Frontera. Trentotto gradi nell'aria, più di sessanta su quel nastro d'asfalto nero che si snoda dolcemente tra fili d'erba essiccati.
Valentino Rossi sulla griglia di partenza del secondo weekend di gara, quello andaluso, ferma con un nuovo stratagemma riccioli che altrimenti gli cadrebbero davanti agli occhi. Impiega almeno trenta secondi per fissare una fascetta grigia con la scritta nera "JORDAN" sull'attaccatura dei capelli. Un lasso di tempo in cui serra le palpebre e cerca di trovare nei suoi abissi tutta la motivazione per riscattare ciò che non va. È reduce da un inverno in cui il grande capo della Yamaha - Lin Jarvis - con ampio preavviso lo ha licenziato, per far posto a Fabio Quartararo sulla M1 ufficiale nel 2021. È reduce da partite alla Playstation contro i suoi colleghi che i canali ufficiali della MotoGP hanno trasmesso in streaming nel periodo più infernale della pandemia. I migliori piloti al mondo per un paio di mesi si sono trasformati in nerd da joystick, Vale un po' meno: al videogioco fa traiettorie strane, corre con se stesso ma non sembra se stesso. Ride, si prende in giro, gli utenti commentano dandogli del boomer. Non sorride quando si torna alla realtà, a Jerez, e la sua Yamaha non fa strada in accelerazione, non trasmette fiducia in frenata e si addirittura si ammutolisce a sette giri dalla bandiera a scacchi della gara inaugurale. Il giovedì successivo sbarca nel paddock andaluso con l'ironia di sempre: "Ha rinfrescato dai!". Un modo brillante per nascondere pensieri ben più cupi, del tipo: "Ma cosa ci faccio qui? Se deve andar così è meglio che me stia a casa". Se li tiene per sè, mentre si chiude nel box a lavorare. Serve una magia per capovolgere la situazione. Serve subito, perché tutti fuori parlano di fine annunciata.

Valentino ci prova con due pezzi forti del suo repertorio: scaramanzia e forza di volontà. La fascia fermacapelli potrebbe cambiare le cose, così come è inedito il setting della M1 numero 46 parcheggiata sulla quarta casella. Per ottenere quella moto, rivoluzionata nel bilanciamento dei pesi, ci è voluta una lunga contrattazione politica con i vertici della Yamaha. Un braccio di ferro vinto, che consente a Rossi di tornare a guidare alla Rossi, almeno in staccata. La differenza è evidente sin dalle prime prove del venerdì, anche se restano i problemi di scivolamento del posteriore non appena le gomme accumulano qualche giro consecutivo. Quando Valentino si decide che è il momento schiacciare la sua chioma sotto un casco in carbonio con il sole stilizzato da una parte e la luna dall'altra, guarda la prima curva di Jerez con una convinzione ben diversa da quella di una settimana prima: soffrirà, sì, ma forse potrà anche divertirsi.

La gara è eterna. Il 46 in partenza approfitta di un lungo di Vinales per agganciarsi al posteriore del leader, Quartararo. Riesce a stare col Diablo fin quando le gomme non cominciano a frignare. Gli restano sedici giri da giocare tutti in difesa. Rossi rema, è il più fedele esponente del catenaccio all'italiana. Bagnaia e Morbidelli, gli allievi dell'Academy, lo rimontano. Valentino reagisce, sfrutta la loro freschezza per sentirsi più giovane. A sette giri dal termine, con Franco e Pecco fuori per problemi tecnici e Vinales che sembra appena uscito da un bagno in piscina, resta poco a cui aggrapparsi. La soft posteriore è alle tele, praticamente non esiste più. Maverick a centro curva gli rampa addosso, va al doppio della velocità, ma non riesce a sfondare. Si affianca sul rettilineo posteriore, il sorpasso sembra fatto, scontato, ma quando prende i freni in mano Valentino gli ricompare davanti come se fosse spinto da qualcosa di soprannaturale. Come quando alla play la connessione salta e vedi gli avversari andare a scatti. Eppure qui è tutto il reale: Rossi stacca almeno quindici metri più tardi, butta fuori il gambone, si inchioda con mani e piedi all'asfalto, la Yamaha si scompone, ma lui riesce non si sa come a prendere la corda della curva. Un balletto che si ripete almeno una decina di volte, dopodiché Valentino sbava leggermente la traiettoria della nove e Maverick passa al suo interno.

Sulla bandiera a scacchi, Rossi è terzo. Podio numero centonovantanove in top class. A quarantun anni, a quaranta gradi, dopo essersi spremuto per venticinque giri in sella ad una moto nera, con addosso una tuta nera. Appena tagliato il traguardo, alza la visiera. Ansima, respira aria bollente, il coach Idalio Gavira entra in pista e gli porge una bottiglietta d'acqua ghiacciata, che Valentino si scola in due secondi. I colleghi gli passano affianco per complimentarsi, anche se lui non è pienamente soddisfatto. Si danna per quell'errore al penultimo giro, senza il quale avrebbe tenuto dietro il compagno di squadra. È un pilota che ragiona per vincere il Mondiale, è effettivamente in piena lotta per riuscirci. Un altro mezzo giro d'onore e Vale appoggia la M1 al muretto di curva nove. Lì era abituato ad entrare in un bagno chimico per fingere di fare pipì. Quel bagno chimico non c'è più, la gente accampata sulla collina retrostante nemmeno. Rossi sale lo stesso sulla balaustra, saluta il vuoto, festeggia davanti ad un prato assolato e desolato. Una cosa del genere non l'aveva ancora pensata nessuno. Per qualche minuto, sembra di vivere un'estate come tutte le altre.
