Fabio Di Giannantonio, 26 anni, gira per l’Europa con la sua Miss, si è comprato casa senza sapere come l’avrebbe pagata, corre con un 49 che ha disegnato lui, ha visiere iridescenti. Oggi è il terzo pilota dello schieramento MotoGP a guidare una Ducati ufficiale, la stessa che si è mostrata al contempo la compagna perfetta per Marc Marquez e un tremendo oracolo per Francesco Bagnaia. Incontriamo Fabio a Brno, in Repubblica Ceca, dove si è appena conclusa la prima metà della stagione. Di Giannantonio ha iniziato con un infortunio in Malesia e per il momento ha messo assieme tre podi (di cui uno nel sabato della Sprint), punto apicale di una serie di risultati che oggi gli valgono 142 punti in campionato e il quinto posto in classifica nella categoria sovrana del motomondiale.
Entriamo negli uffici della sua squadra, sul camion. Un lungo tavolo, una dozzina di sedie e una TV su cui gira il GP di Brno 1989: le telecamere inquadrano un Kevin Schwantz che spazzola le curve in solitaria, mentre tra i cartelloni sponsor nelle vie di fuga ci sono Il Messaggero e Gruppo Flammini. Altri tempi, altre storie. La gara finirà con podio americano: Schwantz primo, Lawson secondo, Rainey terzo. Il primo degli italiani è un meraviglioso Pierfrancesco Chili, quinto con la strepitosa Honda NSR 500 del Team Gallina. Fabio guarda la gara, poi si gira: “Ci sono”.

Sei stato l’unico ad aver fatto lo stesso passaggio di Marc Marquez, da GP23 a GP25. L’anno scorso però fu molto più dura per te avvicinarti a lui: ora, metà stagione, hai 142 punti, nel 2024 hai chiuso a 165. Dove hai trovato quello che ti mancava per avvicinarti a Marc?
“Quando ho provato la GP23 a Valencia, a fine 2023, siamo tornati a casa convinti che avremmo fatto molto bene in campionato . Poi purtroppo la Michelin ha portato gomme un po’ diverse e tutti i punti di forza che avevo sulla GP23 sono diventati punti deboli. La differenza con la moto di quest’anno è stata enorme. Quest’anno invece non ci ha aiutato l’inverno: non mi sono mai allenato in moto, non ho potuto fare i test perché mi sono infortunato e le prime due gare del le ho fatte con calma perché non eravamo a posto fisicamente. Abbiamo passato le prime tre, quattro gare a cercare di capire la moto, anche sbagliando strada. Oggi ho ritrovato fiducia con l’anteriore, sento il limite, posso spingere. Posso guidare come voglio, con la posizione di guida che mi piace. Questa è stata la chiave, quando inizi a giocare con la moto puoi andare forte”.
Sentendo Pecco Bagnaia e vedendo Alex Marquez hai mai voglia di fare un giro sulla GP24?
“Io sono un pilota ufficiale Ducati e sono convinto che Ducati voglia fare primo, secondo e terzo con i propri piloti ufficiali. È normale che sia così. Poi magari Ducati vorrebbero fare anche quarto, quinto e sesto con i privati. Nel mio caso penso di avere il pacchetto migliore per vincere le gare, quindi è tutto l’anno che ci stiamo concentrando sulla nostra moto, la GP25. Sinceramente non ho mai pensato troppo alla 24, sarebbe stato una perdita di tempo per me”.
Hai già risposto alla domanda che ti avrei fatto: l’obiettivo è il terzo posto nel mondiale?
“L’obiettivo è migliorare. Rispetto all’anno scorso, rispetto alla gara precedente. Mi piacerebbe un sacco finire nei primi tre ma è una logica conseguenza di come fai le gare. E le gare sono una logica conseguenza di come prepari il weekend. A me piace pensare un giorno alla volta e costruire. Non è più come una volta, che ti svegli la mattina e trovi la modifica magica o ti svegli bene e togli un secondo al giro. Questa MotoGP non è così. Bisogna lavorare e costruire, concentrarsi, stare sempre bene e cercare di evitare errori e infortuni che a fine campionato sono le cose che ti limitano di più”.

Dallo scorso anno hai questa fidanzata, Jai, che porti spesso alle gare, al Sachsenring le sei passato davanti twerkando: come se la vive lei?
“È stato figo perché al giorno d’oggi ci si conosce sulle app, noi invece ci siamo incontrati dal fisioterapista. Io non sapevo chi fosse lei e lei non sapeva chi fossi io. Ci siamo piaciuti, siamo usciti qualche volta e all’inizio a lei non gliene fregava proprio niente delle moto, zero. Anzi, quando le chiedevo di venire il più delle volte skippava alla grande. Che lì per lì ci rimanevo male, però poi l’ho apprezzato perché ho capito che non voleva stare con un pilota. Ora si sta appassionando, poi quest’anno fortunatamente abbiamo fatto qualche bella gara e ci siamo anche divertiti. Poi sai, anche a casa mi dà un più, mi fa stare bene. Ed essendo anche lei una tipa fresca - suona, fa la DJ - facciamo un po’ di stupidate tipo questa del Sachsenring. Secondo me siamo una coppia che funziona”.
Confermi quella tua famosa frase al Mugello, quando correvi in Moto3 e ti chiesero a che pensavi per andare più forte.
Quando Fabio Di Giannantonio rispose all’intervistato che pensava: “Alla fi*a, solo alla fi*a”.
“Ah, ci vuole. E io ho preso la più fi*a di tutte”
Il famoso missile!
“Sì, sì! (Ride, ndr). Io all’inizio la chiamavo miss, lei era tutta contenta: ’Che carino a chiamarmi così’, poi le ho spiegato che era il diminutivo di missile.”
Hai mai pensieri intrusivi o distrazioni, mentre corri? Che ne so, se vinco mi compro un orologio. Oppure i fornelli del gas… Roba che poi te ne rendi conto e ti chiedi come hai fatto ad arrivare lì con la testa.
“Ho pensieri superficiali quando sono fermo. Magari penso a un bell’oggetto e me lo metto come premio, però a me succede soprattutto una cosa strana. Quando sono in griglia… sai, a me piace disegnarmi i caschi, le tute… in quei momenti, in griglia insomma, mi vengono le idee più fighe. Una volta non lo dicevo a nessuno, ero convinto che mi avrebbero preso per scemo. Invece adesso ho capito che forse sono talmente concentrato che poi alla fine il pensiero creativo è lì, che l’idea ti esce fuori in quei momenti. E magari lo dico a Fob (Fabio, l’assistente e migliore amico, ndr), glielo dico e gli chiedo di ricordarmelo. Lui mi fa delle facce…‘Ma che stai a dì, ma daje il gas!’. Mi stronca subito! Però sì, questo ogni tanto succede”.

Qualche giorno fa i colleghi di DAZN sono andati da Pedro Acosta a dirgli che a te non sono piaciute le sue battute. Eppure tu hai detto una cosa molto diversa rispetto a quella riportata da DAZN, lo so perché ero lì. In breve, si sono inventati una piccola guerra tra te e Acosta. Quanto ti fa incazzare una cosa del genere? Come si vive una cosa così?
“È un peccato, perché di base siamo tutti bravi ragazzi. Nessuno vuole fare davvero lo stronzo come sembra o come si vorrebbe mostrare. Però capisco che la gente a casa voglia un po’ di show e che il trash talking e roba del genere facciano sempre un po’ di scalpore. Ci vuole il cattivo, il buono… fa sempre più hype. A me appunto è capitato con Acosta e fortunatamente non è una cosa a cui lascio troppa importanza, anche se come hai detto tu il mio discorso era molto diverso: non ho niente contro di lui e so benissimo che era uno scherzo. Eppure se facessi delle battute con davanti il mio addetto stampa o se il mio team vedesse le mie battute in televisione riguardo a un altro team credo che si offenderebbero. Ma anche il mio meccanico per dire, ci rimarrebbe male. Era soltanto quello, un invito a portare rispetto alla gente che lavora per lui. Ma è così, un po’ di cinema”.
Quindi lo accetti?
“No, non lo accetto. Ma so che c’è e che non posso farci niente, punto al buonsenso dei giornalisti. Spero veramente che si cambi”.
Vi capita mai, invece, di sentirvi compresi? Ci sono occasioni in cui pensate che sì, finalmente ‘sti giornalisti ce l’hanno fatta?
“Beh, ci sono dei giornalisti con cui è piacevole parlare. Sono quelli a cui ti viene voglia di rilasciare quell’intervista in più, dire quella cosa in più. Che poi secondo me nel giornalismo di oggi si va a perdere un po’ di qualità per andare contro al pilota. Siamo ragazzi, abbiamo emozioni. Magari siamo anche un po’ più spontanei. E magari ci sono dei giornalisti che questa cosa la capiscono, altri invece… ma non si può dire!”.
Il tuo manager mi ha raccontato di come hai comprato casa: la trovi, ti piace rimani a piedi perché in Gresini arriva Marc Marquez e tu firmi il rogito. Poi in Qatar vinci la gara, continui in MotoGP. Di fatto ti sei comprato una casa correndo in moto. Come hai fatto secondo te a comprarti una casa correndo in moto? E questa storia, come è andata?
“Io mi impunto tanto nelle cose, sono veramente testardo e cerco di portare questa testardaggine nel positivo, nel senso che se mi metto in testa una cosa veramente passo sopra a tutto e tutti per arrivarci. E ho scoperto che è un po’ la mia chiave per arrivare a quello che voglio. La vita ci mette davanti a delle situazioni in cui, beh, non è facile credere in sé stessi. Però nella mia vita, nelle mie esperienze, ho sempre provato a scommettere su di me, a mettermi una sfida in più, trovare un modo in più per riuscirci. Quella volta ero in un limbo, avrei potuto comprare una casa, anzi avrei dovuto comprarla. E anche Diego (Il manager, ndr) mi diceva di stare attento, magari di prenderne una più piccola prima di sapere quale sarebbe stato il mio futuro. Però c’era questa casa che mi piaceva particolarmente, che poi è quella che ho comprato… io sinceramente in quel momento non sapevo come pagarla. Quindi mi sono detto io la compro, poi in qualche modo ci riesco. Non posso dire che sia stato quello ad avermi fatto vincere, magari però ha aiutato”.
Sì o sì, come dicono in Spagna. Senti, parlami un pilota che hai incontrato nella tua carriera che oggi avrebbe dovuto essere qui e che invece non c’è.
“Secondo me c’è un pilota, più grande di me, che quando eravamo piccoli andava veramente forte, poi non so per quale motivo non corre più. Pagliani, Manuel. Pensa, ci conosciamo da una vita. C’ho dei piccoli ricordi con lui e Luca Marini, nei camper dell’uno o dell’altro a giocare a Need for Speed Most Wanted, dove cercavo di comprare quella cavolo di Audi TT rossa. I pomeriggi li passavamo così, a giocare. E Manuel è sempre andato forte: nelle minimoto, nelle MiniGP, in Moto3… poi purtroppo si è un po’ perso, non so come e perché. È un peccato, credo che sarebbe stato un gran bel pilota qui”.
Come vivi i social? Li guardi, li soffri?
“Ovviamente ho i social, cerco di seguire le cose che mi interessano e mi ispirano. Poi penso siano una grande distrazione e ne sto facendo sempre meno uso a livello personale, ovviamente tutti noi in MotoGP abbiamo un account e lo usiamo per comunicare, però cerco sempre di disintossicarmi tanto quando sono a casa. Ci sono cose belle e cose brutte. Mi capita di leggere quelle brutte, ma sai: da un certo punto di vista mi danno una grande carica, faccio dei grandi screenshot e magari un giorno li tirerò fuori tutti. Molti pensano che tu non li possa leggere, invece quando mi capita gli metto pure un mi piace per far capire che l’ho visto. Mi spiace che molta roba sia scritta da profili falsi, a me piacerebbe che la gente ci mettesse un po’ più la faccia: io accetto le critiche, è giusto avere pareri negativi. Magari ti fanno pure crescere. Però mettici la faccia: dal vivo chi lo fa? Nessuno. E questo fa perdere molto valore, molta importanza ai social”.

Credo che tu sia stato nella posizione di Pecco Bagnaia oggi, messo in discussione dal mondo che hai intorno. Come si fa in quei casi lì?
Fabio tira un sospiro.
“Allora, è difficile parlare di altri piloti. Parlo di me: quando tutti dubitavano di me ho cercato di restringere ancora di più il mio cerchio e prendere la forza da ogni punto presente nel mio piccolo cerchio, concentrandomi soltanto su me stesso. Ricordo che nel 2023 avevo smesso di aprire i social. Non perché fossi isolato o depresso ma perché volevo solo cose positive. Volevo solo piccole vittorie. Vai a prendere il pane e ‘Ciao Fabio, come stai, tutto bene?’, quella è una cosa bella. Uscire con gli amici, fare una bella serata in cui non si parla di niente se non di vita normale: è una cosa bella. Un bell’allenamento fatto a casa? È una cosa bella. Ho costruito la mia vittoria grande con tante piccole vittorie. E quello mi ha aiutato, mi ha sempre fatto stare sul pezzo e mi ha fatto vivere ogni momento nel presente. E secondo me è stata la cosa che mi ha fatto performare sempre al massimo delle mie possibilità”.
Qui davanti abbiamo Brno ’89. Correvano Schwantz, Rainey, Chili. Tu che segno vuoi lasciare in questa vita, in queste corse? MotoGP?
“Aspetta, ti voglio dire un’altra cosa rispetto al discorso di prima. Io sono cresciuto con mio papà che mi ha dato la moto e una bellissima famiglia attorno, ma non siamo mai stati ricchi. Mi ha insegnato molto dai sacrifici, anche piccoli. Noi veniamo da una famiglia normale: mio papà vendeva pesce all’ingrosso e non c’è mai mancato niente, ma non siamo mai stati… avevo due scarpe, quella che avevano tutti i miei amici però non potevo averla, avevo un giacchetto, due felpe, davvero, dieci magliette. Però andavo in moto. Quando volevo la giacchetta nuova per essere figo come i miei amici lui mi diceva ‘oh, vuoi andare a girare ‘sto weekend?’, allora il giacchetto non lo prendiamo. Quando ho cominciato a fare il pilota e ad avere i primi soldi, ho comprato tutto quello che volevo. Non tutto tutto, però… ho comprato molte cose, tutto quello che mi passava per la testa. Perché potevo. Perché cercavo la felicità in quelle cose. Invece la felicità è ovunque tranne che in quelle cose. È troppo breve la felicità che ti dà il comprare una cosa anche bella, è troppo breve. Invece adesso… non bado a spese nel cercare momenti. Trovare quell’amico che dici che è una vita che vuoi andarlo a trovare, andare in quel posto che vuoi vedere da una vita… adesso che giriamo tantissimo il mondo mi piace tantissimo stare a casa. Sto a casa con la mia fidanzata, cuciniamo noi, ci guardiamo un film! Una volta avrei detto che palle, usciamo, andiamo al ristorante più figo di Roma. Adesso invece la cosa bella è proprio quella lì. Ecco, questo secondo me sarebbe da dire a tante persone, anche ai più piccoli che magari… adesso sui social c’è tanto lusso, collanoni giganti. Ma la felicità non è lì. Quella era una cosa che volevo dire, però… me so dimenticato la domanda”.
Probabilmente hai già risposto. Comunque: che segno vuoi lasciare?
“Mi piacerebbe soltanto far capire alla gente che bisognerebbe essere sé stessi. Io ho sempre cercato di farlo. Davanti alle telecamere, nel box… questo è stato uno dei litigi più grandi che ho fatto con mio papà. Lui mi ha sempre voluto insegnare il modo per fare le cose, il modo più professionale e più giusto. Però magari io avevo il mio modo. Ovviamente ho cercato di essere sempre professionale e giusto, però sempre col mio modo di essere, il mio modo di fare, la mia educazione, le cose che ho imparato. E quindi voglio vincere a modo mio”.
