Per chi vogliamo proteggere c'è sempre, e sempre ci sarà, una giustificazione. Un'attenuante da considerare, un cavillo a cui attaccarsi. E' così per i genitori che a scuola difendono a spada tratta figli maleducati e insopportabili davanti a insegnanti esasperati, è così nella politica, nello spettacolo e anche nello sport. Ci sarà sempre qualcuno che proverà a dire "no ma non è così, non hai capito la situazione" o un ben peggiore "vabbè ma dai, non facciamone una tragedia, non è mica così grave". Perché il "non facciamone una tragedia" porta a zero ogni possibilità di confronto, appiattisce ogni discussione.
Quando è scoppiato il caso di Nelson Piquet, accusato di aver prima usato epiteti razzisti per descrivere Lewis Hamilton e poi (nelle ultime ore) di averlo anche denigrato con affermazioni omofobe, il "non facciamone una tragedia" è stato immediato. Mentre FIA, Formula 1, piloti, team e star internazionali prendevano posizioni contro il razzismo, condannando le parole del tre volte campione del mondo, Pinuccio da Caserta e Mario da Monza già si fomentavano sotto un post Facebook.
Le giustificazioni a favore di Nelson Piquet nell'ordine sono state: un'incomprensione linguistica (scusa poi usata dallo stesso brasiliano) per cui la parola utilizzata dal pilota non avrebbe connotazione razzista ma amichevole, il gap generazionale tra la percezione di alcuni termini che abbiamo oggi e quella di un uomo di 70 anni, il contesto sociale di un paese come il Brasile che non ragione come facciamo qui e infine, la più bella di tutte, il carattere pazzerello di un pilota "che è sempre stato così".
E così si ribalta la situazione. Da accusato Piquet è diventato il personaggio da proteggere e chi lo attacca, o semplicemente prende le distanze dalle sue parole, si deve a sua volta giustificare: l'epiteto usato da Piquet è una parola che non ha connotazione offensiva solo se usata in un contesto strettamente confidenziale, cosa che ovviamente non è successa nel caso di Hamilton. Inoltre ha accezione positiva se utilizzata quando la discussione è di carattere positivo e, nel discorso di Piquet, il britannico veniva descritto come un pilota sporco che aveva volontariamente causato l'incidente a Silverstone con Max Verstappen. I dubbi che in questo contesto Piquet non volesse usare un termine "amichevole e confidenziale" sono parecchi, soprattutto considerando il fatto che tutti gli altri piloti sono stati chiamati per nome e neg**tto sia stato usato solo per riferirsi a Hamilton.
Ci sono quindi le spiegazioni sufficienti per condannare Piquet, per rispondere agli sproloqui di chi - leggendo un tweet - ha deciso che quello di Piquet è "l'ennesimo caso di politicamente corretto" che se ne va a braccetto con il "non si può dire più niente". Ci sono, le spiegazioni, ma questa semplicemente non dovrebbe essere la battaglia tra due schieramenti.
Le parole di Piquet andrebbero condannate, senza cadere nella violenza e nell'esagerazione anche da questo lato, e basta. Perché il campione brasiliano è sempre stato un violento, uno che per emergere ha cercato di sparare sentenze e cattiverie contro chiunque. Che ha dato del vecchio rincitrullito a Enzo Ferrari, chiamato racchia la moglie di Nigel Mansell, insultato, schernito, diffamato Ayrton Senna da vivo e da morto. Lui che non riusciva a sopportare l'amore che i brasiliani provavano per Ayrton, così diverso dentro e fuori dalla pista.
E perché poi le cose, tutte le cose, vengono a galla: proprio sul più bello del "ma è solo un problema di traduzione" caricato dal "che palle questo politicamente corretto" è emerso un altro video, tratto dalla stessa intervista, in cui il brasiliano affermava che la sconfitta di Hamilton nel 2016 fosse dovuta al fatto che quell'anno il britanno lo avesse "preso nel c**o più del solito". Ed eccoci qua, proviamo a giustificare questo adesso.
Perché poi, alla fine, è lo stesso Piquet che neanche prova a restare sui propri passi. A dire "sono così, non rompete". Getta il sasso e nasconde la mano come tutti quelli che parlano perché ottengono la visibilità e l'approvazione degli altri solo sparando sempre più in alto. Lo ha fatto nella celebre intervista rilasciata a Playboy nel 1988, quando dopo aver insultati ogni collega ritrattò, una alla volta, ogni dichiarazione. E lo ha fatto anche con Lewis, parlando di un errore di traduzione ma subito scusandosi, dicendo che non ha nulla contro questo grande campione e che condanna ogni forma di razzismo. Poi però, dopo essersi giustificato per l'accusa razzista, emergono nuovi insulti, questa volta omofomi.
Perché allora provare a stare dalla parte di uno che, quando le cose si mettono male, non sa stare neanche dalla parte di sé stesso? Uno che non combatte, che attacca e scappa, da sempre. Si dice "scegliete le vostre battaglie" e volate alti su tutto il resto. Scegliete le vostre battaglie quindi e chiedetevi: difendere a tutti i costi chi è così ingiustificabile da lanciare il sasso e nascondere la mano, fa parte di queste battaglie?