Il Quadraro è una zona di Roma molto interessante. Ci vivono circa venticinquemila persone. Il Parco degli Acquedotti che cinge il quartiere e offre uno scenario imponente e anacronistico, le palazzine come alveari che assiepano ogni via, il pedigree storico che vuole il Quadraro come un fortino antifascista negli anni dell’occupazione nazifascista di Roma. Il gruppo ultras dei Fedayn dell’As Roma è nato e continua a respirare in queste strade.
“Qua un posto per parcheggiare sai come lo troviamo?”, faccio a Luca, il fotografo.
“No, come lo troviamo?”
“Sei bello grande, non devo dirtelo io”.
“Col cazzo”.
“Esattissimo”.
Vedo una macchina che si accinge ad uscire da un parcheggio a pettine. Appena metto la freccia per segnalare la mia manovra, mi arriva una videochiamata. “Bella Loré ‘ndostate? N’è che vi siete persi eh?” Occhi scuri e decisi, labbra pronunciate, una mantellina nera a cingergli il collo. A parlare è Armando Casamonica, pugile professionista categoria pesi superleggeri (limite dei 63 chili, più o meno) con un record di 11 vittorie (due per KO) e 0 sconfitte, è una delle promesse più interessanti della scena pugilistica italiana. Combatterà venerdì 13 ottobre al Teatro Italia di Roma per il suo primo titolo: mondiale giovanile della federazione Ibf, contro il pugile di Ladispoli Patrizio Santini. La manifestazione è organizzata dalla Opi Since 82, società di promotion e management che segue diversi grandi fighter professionisti, come Ivan Zucco, Sandor Martin, Matteo Signani, Vincenzo La Femina e tanti altri.
Quando ho detto ad amici e familiari che sarei andato a Roma a intervistare un pugile che risponde al nome di Armando Casamonica, ho subito notato che i loro lineamenti si irrigidivano, diventavano tesi e quasi sdegnati. “Ma è proprio un Casamonica?”, mi chiedevano. La questione è ben più complessa di quello che si possa pensare. Decostruire un pregiudizio è difficile. Lo si può fare solo con i fatti. E talvolta, nemmeno l'evidenza più netta può bastare. Non bastano i cazzotti che Armando prende e restituisce sul ring per dargli una reputazione che si attenga alla sua identità sociale, quella di essere un pugile professionista e basta, dedito solo e soltanto allo sport. Ci incontriamo con Armando dal suo barbiere. Si sta rifinendo una sfumatura di per sé già immacolata. Sta col padre, Luciano, un uomo squadrato e molto presente, protettivo. “A me non me piace che porta la barba così lunga, sembra poco pulito... manco i tatuaggi volevo si facesse. Poi s’è fatto il primo, dedicato alla Madonna, e che je voi dì? Da piccolo era un ragazzetto molto bravo. Vivace eh. Ma bravo. Gli piaceva lo sport. Poi l’ho indirizzato nel pugilato, è una dote che c’abbiamo di famiglia”, ci dice Luciano. Scaldiamo l’ambiente con qualche domanda sul suo percorso da pugile.
Come mai proprio in una palestra popolare come la Quadraro?
Vabbè calcola che la palestra ce l’avevo dietro casa e mi stava comodo. Però niente è per caso e crescere in una palestra popolare mi ha aiutato molto, ho conosciuto persone molto intelligenti e molto aperte di mentalità. La pensiamo allo stesso modo.
Quando hai pensato che potesse diventare un mestiere, il pugilato?
Quando ho visto i risultati che raggiungevo da dilettante. All’inizio mi sembrava solo una cosa che dovevo fare perché mi divertiva ed ero bravo. Ma poi vedevo che vincevo e vincevo e vincevo e allora beh, a ‘sto punto ne faccio un lavoro no?
Perché non sei rimasto dilettante? In un gruppo sportivo avresti avuto uno stipendio fisso.
Ma il pugilato autentico è tra i professionisti. Voglio dì, massimo rispetto per i dilettanti eh, sono bravissimi, ma la storia del pugilato si scrive coi titoli mondiali. E poi la mentalità rigida del gruppo sportivo non faceva per me.
Il barbiere termina la sfumatura e la regolazione della barba di Armando. Ci spostiamo verso un altro quartiere, la Romanina. “Andiamo a casa mia così conoscete la mia famiglia!”, ci fa Armando. In macchina la conversazione prende toni più personali. “La Romanina è periferia pura. Preferivo dove abitavo prima al Quadraro. Qua è ‘na cacata proprio. Là con ‘no sputo c’avevi la Tuscolana che è sempre mezzogiorno, qua alle otto di sera è mezzanotte”.
Ti manca vivere al Quadraro?
Eh, ‘mbotto. Tutti i ricordi. Le prime tresche con le tipe, giocare a pallone co’ gli amici miei... Mi piaceva abitare al Quadraro. Purtroppo, poi ci hanno sfonnato casa.
In che senso?
Eh, sono venuti con le ruspe e ci hanno buttato giù la casa. Così de botto. Calcola che io dovevo partire per fare i nazionali e non volevo più andarci. Era il 2018... (Armando parla di quando il Comune di Roma nel novembre 2018, sotto l’egida della giunta Raggi, smantellò e demolì una serie di abitazioni al Quadraro, dove vivevano lui e altre famiglie appartenenti al nucleo dei Casamonica).
Come ti sei sentito, come avete reagito a quell’avvenimento, che è stato anche molto discusso a livello mediatico?
Eh, brutto. Mi sono sentito una merda. Tutti i ricordi che avevo, buttati via in una notte. Senza preavviso, senza dirci niente. Che ci vuoi fare… Succede anche questo. Noi stavamo là da cinquant’anni forse. Alla fine, manco abbiamo lottato. Tanto alla fine hanno sempre ragione loro. Calcola che dovevo fare i miei ultimi assoluti, i nazionali della boxe. Sono salito sul ring e non so manco con chi ho fatto, come e perché. Portavo i colpi e passavano le riprese ma pensavo solo a casa che non c’era più.
Arriviamo alla Romanina. Un quartiere abbastanza anonimo. La casa di Armando è semplice, con un bel cortile ampio all’esterno. Ci accoglie un Chihuahua che ringhia e abbaia ma si scioglie in coccole appena Armando la prende in braccio. “Si chiama Chanel!” La situazione diventa molto corale. “Siamo una famiglia grande e molto unita!”, fa Luciano, che ormai è co-protagonista della giornata. Tutta la famiglia si presenta in assetto da congrega. Ci mettiamo seduti attorno al tavolo del patio e le donne di casa, la sorella e la mamma di Armando, ci sfoderano in mezzo secondo bibite, caffè, dolci, torte e si piazzano sedute con noi mentre l'intervista continua.
Quali sono i valori che ti ha trasmesso la cultura romanés e la tua famiglia?
Tante cose: le feste, che da noi pure un compleanno è una bomba. I valori che mi hanno trasmesso i miei genitori: Mamma è un dittatore, tipo... Tipo Putin! (ride ndr) Mia madre mi ha dato un po'’di botte ma ho imparato il rispetto per i ruoli e l’educazione. Per dire anche portare rispetto agli anziani, ai più grandi. Non solo ai parenti, ma in generale. Ad ascoltare il parere di chi ha più esperienza di noi, senza essere arroganti.
Non hai paura che il pugilato diventi più una strada senza uscita che una strada per la gloria?
Chiaro che so che il pugilato è un mondo duro. Forse uno dei settori più tosti al mondo. Ma sono sicuro che alla fine il pugilato mi ripagherà dei sacrifici. Poi oh: a me piace fare a pugni sul ring. Meglio quando schivo e rientro eh, però almeno non mi annoio!
(Mi rivolgo poi a Luciano)
Ma da padre, non hai paura che si faccia veramente tanto male? Cioè non pensi sarebbe stato meglio se avesse fatto un lavoro diverso?
Da padre è normale che ho paura per lui. Una volta sono svenuto durante un suo match, era ancora dilettante, i nazionali in Puglia mi pare. Che ti devo dire, lo so che il rischio c’è. Non è come giocare a calcio. Quindi ti preoccupi che ci siano conseguenze brutte. Però che devo fa’? È la sua vita e devo supportarlo.
Parliamo di tutto, principalmente di situazioni pugilistiche e di potenziali avversari, cinture, piatti preferiti in off season. Tutto molto bello, ma la conversazione inizia a scarseggiare di rilevanza. Il fatto è che sto cercando il giusto gancio per sparare “La” domanda. Ci spostiamo dentro casa: foto di Armando, statue di putti, mobili coi fregi dorati, ammennicoli della Roma. Il nonno di Armando esce dalla sua stanza e parte una gag scherzosa dopo l’altra tra nonno e nipote, che condividono lo stesso nome. Sembra una scena di un film. “Ahò che lo sai che nonno era il boss? Mo’ è uscito di galera! S’è fatto trent’anni per duplice omicidio!”, e ride Armando, mentre Armando senior bestemmia in romanés e cerca di agguantare il nipote. Ok, ci siamo.
Il vostro cognome è un peso, un limite nella vita di tutti i giorni? Sentite dei pregiudizi nei vostri confronti?
(Armando scrolla le spalle. Luciano si appoggia al muro e prende la parola) Non posso pensare alla gente che si fa le paranoie che ci chiamiamo Casamonica e ci tratta male... perché dovrei incazzarmi? Non siamo tutti uguali. Io so' io, sono una persona corretta e ho cercato di trasmettere questo modo di essere ai miei figli. Lavoriamo tutti duramente. Non vado in giro a fare prepotenze. Io quello che posso fare è questo, dare l’esempio ai miei figli. In casa mia, qui sotto comando io (mi indica con ampi gesti l'appartamento e chi lo abita). Come prima con me mio padre che mi ha dato l’esempio di essere una persona che si spacca la schiena. Ma non posso comandare su altre persone. Come famiglia siamo grande, siamo una montagna de gente, ma noi siamo noi. Io posso solo dare l’esempio ai miei figli, questo è quanto. Io sono tornato a casa stamattina alle sei, me so’ fatto un bucio de culo pazzesco... lavoro nel service e sicurezza a Cinecittà e ti posso far vedere tutti i turni che faccio, pure di sedici ore filate. Ma mi accontento del mio. A me non frega niente della ricchezza. Sono contento che stiamo bene in famiglia, tutti insieme, con un piatto de pasta. Tutti seduti a tavola, a mangiare, pure che sono due cucchiai per uno di minestra. Capisci che ti voglio dire? Io so’ cresciuto dritto, come mi ha insegnato mio papà. E faccio lo stesso coi miei figli.
Messaggio ricevuto.
(Armando si intromette nel discorso) A me sai che m’è capitato pure di essere rifiutato a un colloquio di lavoro ancor prima di iniziare a parlare? Hanno visto il curriculum e i documenti e m’hanno fatto no, non ci interessa. Che devo fare alla fine? Ci provo a lavorare ma non è che te lo devo prendere con la forza il lavoro. Leggi Casamonica e non mi vuoi prendere a lavorare da te? Amen, chi s'è visto s'è visto!
Ti capita di ricevere insulti sui social per via del tuo cognome?
Ma sai quante persone mi insultano sui social? Ma che ne sanno della vita demmerda che faccio.
Che vorresti dire a quelle persone?
Gli direi di provare a fare il pugile professionista. Che non è fare l'impiegato o altro. Pensa ai sacrifici alimentari e agli allenamenti. Da dilettante poi non ti dico. In nazionale mica avevi il nutrizionista e il preparatore. Era una gara alla sopravvivenza. Ti allenavi due tre volte al giorno e dovevi restare in peso per i match. Da dilettante al primo torneo so stato a digiuno per due giorni. Ci sono stati tornei dove manco dormivi per la fame. Il vuoto nello stomaco. Mangiavo due barrette a cena, quello era. Un bucio di culo pazzesco. Questo vorrei dire a chi mi dice che sono un criminale. Una volta mi ha insultato pure un poliziotto... sul suo profilo aveva le foto in divisa. Io li lascio andare, non gli do proprio spazio. Cancello i commenti o lascio le richieste nel dimenticatoio, non gli do spago. Tanto sono persone che poi te chiedono pure ‘a foto. Alla fine, chittesencula... so io quanto sangue e sudore sto gettando in palestra da quando so’ pischello.
Qual è una cosa che ti fa rabbia nel sistema del pugilato, che resta uno sport di nicchia?
A me una cosa che fa incazzare è chi commenta negativamente i pugili. Nel senso voglio dire ci sta che un pugile non si prende dei rischi nella carriera o non affronta un avversario e allora ti dicono che stai scappando, quello ok. Ma dagli spalti a volte senti critiche vergognose da gente co’ ‘a panza, ‘a bira in mano e ‘a sigaretta 'mbocca. Che si permettono di dire a chi combatte che sono scarsi, che sono dei morti. Ma saliteci voi sul ring, fatele voi le sedute di guanti ogni settimana, fatela voi la dieta.
Hai dei rimpianti?
No zero. Sono felice delle scelte che ho fatto. Anche perché davvero non potevo fare altro. Mi sembra che sono nato per questo. La sola cosa che mi rode è che devo stare a dieta. Soffro brutto quando non posso mangiare come piace a me. Non ci sto più dentro sotto taglio peso. Divento intrattabile. Non esco quasi mai. Mi chiudo dentro casa. Mi schiaffo alla PlayStation e gioco finché non crollo per non pensarci. Una volta dopo un torneo che combattei a 57 chili, rientrai che ne pesavo 67 che appena finito mi sfondai di KFC e McDonald’s per due giorni. Mamma mia che monnezza che facevo!
E non credi che avresti potuto fare altro nella vita?
Parlamose chiaro. Se mi dice male me la prendo in culo. Se voglio trovare un lavoro onesto non lo trovo... Devo dedicare tutto quello che posso fare alla boxe. Altrimenti non so cosa farò. Per questo devo vincere il titolo mondiale contro Santini, venerdì. Si tratta del primo passaggio importante della mia carriera.
(Suona il cellulare di Armando)
“Abbello!” fa Armando, e mette in vivavoce nonostante in casa sua ci sia un bel po’ di casino.
“Ahò Armandì! Finalmente se ribeccamo, come stai? Oh, vediamoci più tardi sulla Tuscolana. Ti devo raccontare un botto de cose… sono uscito mo’ dopo tre anni… m’hanno lasciato solo la smartina. Un po’ di casini ho passato ma al tuo incontro non posso mancare!”
“Eddaje su tra un po’ escono i biglietti! Ti aspetto!”
“Dai, se sentimo fratè!”
Mi sa che questo ragazzo ha avuto un po’ di problemi, eh?
Sai che si dice che se vai con lo zoppo inizi a zoppicà? Non è mica così per me. Ho frequentato persone che hanno avuto guai, ma io non ho mai fatto niente di niente. Ringraziando a Dio. La strada te la scegli. Se volevo, potevo fare tante altre cose e avevo i soldi in saccoccia. A me non piace, però. Preferisco tornare a casa con gli zigomi che mi fanno male e le nocche sbucciate ma dormire tra sette cuscini, tranquillo e soddisfatto di aver fatto il mio lavoro: il pugile.