Un annuncio della figlia Beatrice, affidato ai social. Così s’è sparsa la notizia della scomparsa improvvisa di Pier Luigi Nava, Gigi. I più giovani si chiederanno chi era, quelli meno giovani, invece, si saranno certamente trovati immediatamente davanti agli occhi le immagini di quelle quattro lettere, stilizzate ma morbide, che campeggiavano sul casco dei più grandi campioni degli anni ’70 e ’80. Marco Lucchinelli e Graziano Rossi su tutti. Sì, Gigi Nava era proprio lui: “quello dei caschi”.
“Mi dispiace da matti – ha detto questa mattina Aldo Drudi, sentito telefonicamente – Per me è stato l’uomo che mi ha portato in paradiso. Ricordo quando, tantissimi anni fa, Graziano Rossi mi portò in Nava e ho ancora sulla pelle l’emozione incredibile di quel giorno. Era come entrare nel luogo dei sogni perché ai tempi dire Nava significava dire il massimo possibile. Io posso dire solo grazie a quell’uomo, che aveva un carattere molto forte e incuteva pure un po’ di timore, ma che era e aveva saputo essere un visionario. Metteva sicurezza e innovazione davanti a tutto, ma cercava di coniugarli con il gusto. Anche dal punto di vista del design Nava era avanti anni luce e quell’azienda aveva saputo credere e investire nella creatività. Conservo gelosamente molti dei lavori fatti per Nava, in particolare una linea commissionata all’epoca da Bimota e poi, proprio adesso, ho qui davanti a me il famoso casco di Graziano con il castello, quello che poi ha indossato anche Valentino Rossi. Ne esistono due, facemmo anche una versione per i rally a cui Graziano si dedicò dopo le moto, e uno è esattamente qui davanti adesso, mentre ti rispondo al telefono. Un bel segno, no?”
Capacità di guardare oltre, voglia di lasciare quindi un segno anche oltre un marchio che è entrato nella storia delle corse e del motorsport. Pier Luigi Nava era, per chi scrive, pure un legame di penna in tempo di social. Sì, qualche battuta in chat ogni tanto, qualche scambio di opinioni sulle corse e le pieghe che ha preso il mondo oltre il Motomondiale e un’intervista sempre rimandata che adesso non si farà più. Innovatore, Pier Luigi Nava, ma pure schivo al punto di rispondere esattamente così alla domanda su quando avrebbe regalato quell’intervista attesa per anni: “a me piace parlare di futuro, a che serve stare lì a raccontare ancora il passato?”
Eppure di passato ce ne sarebbe stato davvero da raccontare, sin dal giorno in cui Gigi rilevò, appunto, la Nava e si mise in testa di proteggere la testa dei matti delle corse. Con innovazioni che ancora oggi sono adottate e con una creatività che più tardi, e sotto un nome differente dopo che l’avventura “Nava” era finita, lo aveva portato pure a inventare il primo vero casco con la mentoniera mobile. Roba, insomma, che all’epoca non ebbe futuro perché troppo, davvero troppo avanti, rispetto a un mondo, quello dei motociclisti, che solo di recente s’è mostrato più pronto a accogliere le vere novità. La stessa cosa che successe con lo “sci”, quando Nava inventò letteralmente un nuovo tipo di attacco per gli scarponi che mandò su tutte le furie le grandi aziende di quel settore in quegli anni. L’ennesima vicenda di Davide contro Golia. Ma Gigi Nava non s’è voluto mai neanche definire un imprenditore, ma gli piaceva l’idea di poter pensare a se stesso come un inventore. Un inventore che, però, non perdeva l’occasione per ricordare che nessuno arriva da nessuna parte senza l’aiuto di qualcuno e il sostegno di chi riesce a credere in ogni nuovo progetto. L’aveva scritto anche in una delle ultime chat, con quel modo lì che hanno quelle persone che ringraziano anche mentre sei tu a ringraziarle. Garbato, elegante, ma pure fiero.
“Tu prendi il Nava e la voglia di divertirti, al resto pensa nonno tuo” – era la frase che mi sentivo dire da bambino, quando un Nava di giallo assurdo (e per la verità pure un po’ troppo grande per la mia testa) era sempre pronto al lato del letto, in attesa di quei momenti (indimenticabili e potentissimi) in cui mio nonno caricava una motina e poi via in qualche campo o stradina di campagna a dare gas e sentirsi eroi. Ecco, di quel “tu prendi il Nava” e di questa piccola storia personale avevo raccontato a Gigi Nava nel tempo e il commento a quel racconto è, oggi, qualcosa da riproporre come un saluto e un tributo a un uomo a cui forse non è mai stato riconosciuto abbastanza. “Queste storie come quella che mi racconti tu e come tante che mi raccontano ancora ogni giorno – aveva scritto – sono il compenso di tante ore passate a trovare e mettere in pratica le soluzioni migliori per la sicurezza di chi, credendo in un nome, si sono affidati ai prodotti marchiati con quel nome che mio padre aveva usato all’inizio e io continuai a usare. Ogni volta che qualcuno cita Nava penso con orgoglio al lavoro serio e onesto non solo mio, ma di tutti i lavoratori della Nava. Indistintamente”.