Ci parlavi e non capivi mai se fosse dannatamente sarcastico, se facesse sul serio o se, invece, per la sua testa c'era talmente altro da rispondere così con le prime parole che gli venivano su. Lo chiamavano il Mago, a Pesaro e poi in tutto il mondo, perchè le motociclette su cui lui riusciva a mettere le mani andavano di più e meglio e i piloti con cui entrava in contatto, sin da ragazzini, riuscivano a mettersi in mostra. Simpaticissimo ma schivo, lontano dalle luci delle corse in moto anche dopo che i più grandi campioni, tra cui Valentino Rossi, hanno ammesso che senza di lui, probabilmente, non avrebbero avuto la stessa carriera. Ora, però, Guido Mancini è morto e con lui se ne va un altro pezzo, probabilmente il più pregiato insieme a Giancarlo Morbidelli, di quella Pesaro che ha scritto la storia del motorsport.
Aveva 86 anni e da tempo le sue condizioni di salute non erano delle migliori. Però pare non sia passato mezzo giorno in cui non abbia voluto rivedere le sue motociclette, quella piccola officina in cui continuamente metteva le mani su motori per abbassare testate, limare luci di scarico, allargare travasi. Le mani erano la sua bacchetta magica. E la velocità dipensiero nell'intuire che cosa potesse rendere perfetta una moto era velocità che poi andava a finire sui cavalli. Se li aveva gestiti lui sembravano meno docili, più arrabbiati. Più votati, insomma, a vincere. Da ragazzo era stato un pilota anche con risultati più che discreti, ma è da tecnico e da scopritore di talenti che s'è consacrato al mondo delle corse.
La sua pazzesca storia nelle corse è stata già raccontata dal regista e amico Jefrey Zani in un documentario (Prime e Netflix) che descrive l'uomo prima ancora delle imprese che ha firmato. Con quel modo lì che hanno quelli della così detta "terra marchignol", un po' Marche e un po' Romagna, che sanno scherzare pure sulla gloria. Fin quasi a minimizzarla. O, addirittura, a evitarla con la consapevolezza che poi magari non è mai riconosciuta abbastanza da chi dovrebbe.
Pesaro perde un pezzo pregiato,l'Italia dei motori perde l'ultimo testimone di quando erano gli uomini a fare veloci le moto e i piloti e ci sarebbe tanto da dire. Ma a volte anche il tanto non è abbastanza e forse conviene solo prendere in prestito le parole che Valentino Rossi ha dedicato, ormai tempo fa, proprio a Mancini: "l'uomo che mi ha insegnato di più sul due tempi".