“E’ ciò che ho sempre sognato”. Ai Ogura l’ha detto poco dopo il traguardo di Buriram, al termine del GP vinto da Aron Canet che gli ha dato la certezza matematica di essere campione del mondo della Moto2. E’ la categoria che ha sposato, è quella che ha voluto e per cui ha fatto rinunce e, adesso, è anche il primo giapponese dopo quindici anni (dal 2009) a salire sul tetto del mondo con una motocicletta. A vincere c’era andato vicino più e più volte, ma era mancato sempre qualcosa. E per riuscire a vincere c’è stato pure da rinunciare per ben tre anni di fila alla proposta di Honda che gli avrebbe spalancato addirittura le porte della MotoGP. “Sono contento di essere nel giro dei candidati alla MotoGP – aveva detto alla fine della scorsa stagione – ma io voglio vincere il titolo in Moto2”.
Una affermazione, possiamo pure dirlo, che è stata anche di comodo. Perché è vero che il giapponese è cresciuto sotto l’ala di Honda sin da quando era un ragazzino, ma è vero pure che Honda adesso è quello che è e che veleggiare in Moto2 – almeno secondo il tipico pragmatismo giapponese – è meglio di fare brutte figure tra i grandissimi. Ecco perché se “l’arrivederci e grazie” di Marc Marquez ha Honda è stato uno schiaffo fortissimo, ancora di più lo sono stati i continui “no, grazie” di Ai Ogura. Che la prospettiva della MotoGP l’ha poi presa seriamente in considerazione quando la proposta gli è arrivata da Aprilia, ancora prima di avere la certezza di vincere nella classe di mezzo. Gran colpo per Aprilia, non fosse altro che sul piano del marketing in attesa di capire il reale livello sportivo del giapponese, e sonoro ceffone a Honda, che ormai si ritrova la porta chiusa anche da quelli che ha allevato lei stessa.
Sì, l’Ala Dorata aveva accompagnato Ogura per tutta la sua carriera. Fin dall’inizio di una storia che è comunque pazzesca. Perché il piccolo Ai non aveva alcuna voglia di correre in moto, non sognava di diventare un campione e meno che mai progettava di vivere con ginocchia e gomiti a terra, sfrecciando a velocità assurde. Quello, semmai, era il sogno di sua sorella. E, come accade anche in molte famiglie occidentali, Ai Ogura è stato semplicemente il fratello piccolo che s’è ritrovato a fare lo stesso sport della sorella grande. E’ così che ha cominciato, a otto anni e con le pocket bike, che sono un po’ più grandi delle nostre minimoto e hanno una ciclistica differente. Da lì l’Asia Talent Cup, nel 2015 e poi, nel 2017, la Moto3 del CEV, fino alle wildcard nel Motomondiale, sempre in Moto3, del 2018.
E’ lì che il Team Asia, nato proprio per riportare ai livelli di un tempo il motociclismo giapponese, gli spalanca le porte del suo box, con importanti sponsor a sostegno e un progetto tutto targato Honda. E’ Honda che, nonostante le zero vittorie in Moto3, lo vuole comunque in Moto2 dal 2021, con la prospettiva di farsi le ossa e proporlo già dal 2023 nella Classe Regina, nel Team di Lucio Cecchinello e al posto di Takaaki Nakagami. Ma non avevano fatto i conti col fatto che il giapponese si sarebbe innamorato perso della Classe di Mezzo, promettendo a se stesso che sarebbe diventato campione del mondo. C’è andato vicino nel 2022, vincendo tre gare e fallendo con due clamorosi ritiri nel finale di stagione. Poi una stagione difficile nel 2023 e, quest’anno, la nuova esplosione, con altri tre GP vinti e la capacità di capitalizzare al meglio gli errori degli altri. Una caratteristica che probabilmente gli tornerà utilissima nel 2025, tra i grandi della MotoGP.