Carlos Alcaraz vince, alza le braccia, solleva il trofeo e sorride. Ma sotto la superficie lucida del trionfo a Montecarlo, c’è ben altro. C’è la pressione, c’è il confronto, c’è (neanche troppo tra le righe) l’ossessione per Jannik Sinner. Non lo nomina direttamente, almeno non sempre. Ma il fantasma dell’italiano, fermo per la squalifica dopo il caso Clostebol, ha seguito ogni passo di Carlitos nel Principato. E lui lo sa: “Molte persone mi hanno chiesto spiegazioni, mi hanno detto quanto sia importante che io raggiunga di nuovo il numero 1, probabilmente, ci ho pensato troppo”. La finale contro Lorenzo Musetti finisce 3-6, 6-1, 6-0. Un cappotto in piena regola dopo un primo set da incubo, con l’azzurro che si ferma anche per un problema muscolare. Ma il risultato dice poco. Conta di più quello che Alcaraz racconta dopo, a caldo, con un sorriso che stavolta nasconde più che mostrare. "È stato un mese difficile per me. Dentro e fuori dal campo. Non voglio dirlo in pubblico, ma ho fatto fatica a scendere in campo. È stato difficile trovare il modo di non pensare a tutto".

“Chiacchiere assurde”, le definisce, parlando delle voci, delle critiche, delle aspettative. “Quando non vinci tornei o partite, probabilmente parlano molto. Ma io non voglio dimostrare nulla. Non devo pensare a quello che la gente dice, ma solo a me stesso, alla mia squadra, alla mia famiglia. Gioco per me”. Un mantra che ha dovuto ripetersi spesso, soprattutto dopo Miami. Ma che ora, almeno a parole, sembra diventato bussola. Montecarlo è il primo titolo del 2025, il primo trionfo da Wimbledon 2024. Un ritorno importante, che lo proietta nuovamente nella corsa per il numero 1 del mondo, oggi ancora in mano a Sinner. “Una sola vittoria mi separava dal tornare numero 2”, ricorda Alcaraz dopo la semifinale. “Ma non è questo che conta. Devo pensare a migliorare. Non conta dove arrivo, ma se riesco a uscire dal campo felice”. Sinner, intanto, resta l’ossessione silenziosa. Assente, ma più presente che mai. Lo dice Alcaraz: “Jannik non ha potuto partecipare ai tornei, e allora tutti mi hanno messo addosso aspettative esagerate. Volevano che vincessi tutto. Ma io ho capito che non devo pensare ai risultati. Devo solo divertirmi”.

Poi, una piccola stoccata: “Oggi è stata la migliore partita che abbia mai giocato in questo torneo. Non gli ho permesso di entrare in partita, di rimontare. Ho dominato”. È un Carlos diverso, questo. Meno guascone, più riflessivo. Forse anche più fragile. Ma più vero. E quando gli chiedono se questa vittoria sia una risposta a chi lo ha criticato, lui si smarca: “No, non ho dimostrato niente a nessuno. Ho solo ritrovato me stesso. E sono orgoglioso di quello che ho fatto”. A chi gli chiede se pensa di poter fare quanto Nadal, che qui ha vinto undici volte, risponde con un sorriso amaro: “Impossibile. Quello che ha fatto Rafa sulla terra battuta è una delle imprese più complicate di sempre, non solo nel tennis ma nello sport in generale. Se riuscirò a vincere anche solo un altro titolo qui, sarò felice. Ne ho già uno, e me lo voglio godere”. Ma sa benissimo che non basterà. Che da lui si pretende sempre di più. Che ogni passo sarà un confronto. Con Sinner. Con Nadal. Con sé stesso. E intanto, il mese difficile è alle spalle. Ma l’estate rossa d’Europa è appena cominciata. E il nome di Jannik, anche se non lo dice, continuerà a rimbombargli nelle orecchie.