Non è bastato il forfait di Sinner per rimettere in discussione la gerarchia. Nemmeno una lunga sospensione del numero uno al mondo è servita ad Alcaraz per accorciare le distanze. Anzi, a conti fatti, sembra averle allungate. A Montecarlo, alla vigilia del suo debutto, lo spagnolo ha ammesso tutto: le occasioni mancate, la pressione ingestibile, l’incapacità di approfittare di un momento che sembrava favorevole. “Tutti si aspettavano che vincessi tutto. La pressione mi ha ucciso. Sono troppo lontano da lui”. La Race dirà altro, certo, perché Jannik ha giocato un solo torneo nel 2025, ma la classifica che conta, quella vera, continua a sorridere all’azzurro. E non per caso. Né Zverev né Alcaraz sono riusciti a imporsi nei tornei che contavano davvero. Indian Wells, Miami: zero titoli. Lo spagnolo si è accontentato di Rotterdam, ma è ben lontano da ciò che ci si aspettava. E lo sa anche lui. “Penso che in questo momento i tabelloni siano aperti a tutto”, ha detto, provando a spiegare un contesto dove non c’è più un solo dominatore. “Ci sono tanti specialisti su tutte le superfici. La stagione sulla terra sarà molto interessante”.

Ma è evidente che quel vuoto lasciato da Sinner non lo ha riempito nessuno. E lui, invece di sfruttarlo, ci è affondato dentro. Intervistato da Ubitennis, ha ammesso che l’assenza del suo rivale più diretto lo ha messo sotto una pressione nuova, più subdola. “Tutti mi chiedevano di approfittarne, di tornare in vetta. E questo mi ha bloccato. Non è stato facile da gestire”. A complicare tutto, anche il confronto con le parole dello stesso Sinner, che nei giorni scorsi aveva raccontato di essersi allenato “in modo diverso” e di essersi goduto lo stop: “Mi piacerebbe tantissimo avere un mese senza fare nulla. Giochiamo undici mesi all’anno, e se va bene ci fermiamo tre giorni. È troppo”. Alcaraz è stanco. Mentalmente prima ancora che fisicamente. Ma nonostante tutto, a Montecarlo ci arriva da testa di serie numero due, e con la voglia dichiarata di reagire. Il problema, però, non è il suo tennis. È tutto il resto. E lo ha spiegato lui stesso nel podcast di Louis Vuitton, dove ha parlato del suo modo di affrontare la pressione e di come, a volte, proprio il suo stile aggressivo diventi il suo punto debole: “Voglio essere sempre aggressivo, voglio arrivare subito a rete, prendere l’iniziativa. Questo è il mio stile. Ma quando sento la pressione, nei momenti difficili, finisco per affidarmi troppo all’istinto. E spesso non funziona”.

Quando il match gira, quando la tensione sale, Alcaraz non segue uno schema: reagisce. “Faccio quello che sento. Se ho voglia di andare a rete, lo faccio. Se mi viene in mente un dropshot, lo provo. A volte funziona, ma molte volte no”. È questo il nodo che ora vuole sciogliere: trovare il punto d’equilibrio tra istinto e strategia. Tra intensità e lucidità. Perché, come ha ammesso, troppe partite gli sono sfuggite per un calo di attenzione, per un rilassamento improvviso. “Ti capita di pensare: ‘Sto vincendo’, e allora ti abbassi. Smolli. Non ti muovi più come prima. Mi è successo un paio di volte, e ho perso partite che dovevo chiudere”. E poi c’è la questione mentale. Quella più scomoda da ammettere. “A volte non mi diverto. La maggior parte delle volte sì, ma ci sono momenti in cui è davvero difficile separare la pressione dal piacere. Quando giochi per qualcosa di grande, quando i nervi ti bloccano, diventa pesante. Ma cerco di ricordarmi che questo è il sogno che avevo da bambino. E provo a godermelo comunque”. Il ragazzo prodigio del tennis mondiale è ancora lì, ma qualcosa si è incrinato. Non nel braccio, quello c’è, eccome, ma nel modo in cui tiene insieme tutto il resto. E non basta vincere Rotterdam per sentirsi all’altezza di chi sta in cima. “Sinner è troppo lontano”, ha detto. Il paradosso è tutto qui: anche quando Jannik non c’è, Carlos lo sente più presente che mai.