Carlos Alcaraz è sotto attacco. Non da parte di un avversario in campo, ma dell’opinione pubblica, degli addetti ai lavori, del commento sportivo che, da qualche mese, sembra aver cambiato tono nei suoi confronti. E non perché abbia smesso di vincere in modo spettacolare, ma perché da quando Jannik Sinner è assente, ogni sua caduta viene ingigantita, ogni sconfitta elevata a crisi. Per Simon Gilles, ex numero 6 del mondo e voce fuori dal coro del tennis francese, il fenomeno ha una spiegazione chiarissima: “Quando Sinner non c’è, tutto il peso finisce su Alcaraz. E ogni settimana in cui non vince, sembra un disastro. È una cattiva abitudine che ci portiamo dietro dai tempi di Roger, Rafa e Novak”. In altre parole, l’era dei Big Three ha alterato la percezione collettiva di cosa sia la normalità nel tennis. Abituati a vedere Federer, Nadal e Djokovic monopolizzare ogni torneo per anni, oggi ci si scandalizza se Alcaraz (21 anni, 4 Slam) perde un match nei quarti di finale o stecca un torneo. E ancora di più se questo accade quando il suo principale rivale, Sinner, è fuori dai giochi per una sospensione di tre mesi.

Nei primi mesi del 2024, l’assenza di Jannik si è fatta sentire. Soprattutto in classifica. Il numero 1 del mondo, conquistato da Sinner dopo l’Australian Open, sembrava a portata di mano per Alcaraz, che lo ha già occupato per 36 settimane in carriera. E invece no. Da quando l’italiano è sparito dai tabelloni, Carlos non ha vinto più nulla: fuori ai quarti a Doha, semifinali a Indian Wells, eliminato al primo turno a Miami. Troppo poco, secondo alcuni. Troppa pressione, secondo Simon: “Carlos è un giocatore straordinario, ma è un po’ più su e giù rispetto a Jannik, che invece è molto costante. Ed è per questo che oggi è numero 1”, spiega il francese. “Non penso che Sinner sia più forte, solo più continuo. La classifica non mente: Alcaraz ha degli alti e bassi, e senza Sinner a bilanciare tutto, ogni sua sconfitta diventa macroscopica. Sembra che il tour sia allo sbando, quando in realtà è solo più aperto”. La verità è che Sinner e Alcaraz formano un’asse invisibile che tiene in piedi il nuovo tennis maschile. Due facce della stessa medaglia, due modelli quasi opposti: l’italiano preciso, metodico, implacabile; lo spagnolo esplosivo, imprevedibile, geniale ma disordinato.

Simon sostiene che “quando uno dei Big Four stava fuori, c’erano gli altri tre. Oggi non è più così. Alcaraz e Sinner sono gli unici due che catalizzano davvero l’attenzione. Quando Jannik non c’è, Carlos viene osservato con una lente d’ingrandimento che distorce tutto”. E a chi pensa che le critiche siano eccessive, Simon ricorda che lo stesso è accaduto anche a Federer, quando era ancora “l’unico” dominatore: “Nel 2007 Roger ha perso due volte contro Guillermo Canas tra Indian Wells e Miami, e sembrava una crisi. Ma allora Nadal e Djokovic non erano ancora saliti. Se fosse accaduto cinque anni dopo, nessuno avrebbe detto nulla. Perché ci sarebbe stato comunque qualcuno in finale. È questo il punto”. Il punto, appunto. Non è solo Alcaraz a mancare di continuità. È il contesto attorno a lui che pretende troppo, che esige la perfezione settimanale da un ragazzo di 21 anni, come se essere “umano” fosse una colpa. E nel momento in cui Sinner manca all’appello, tutto il carico del tennis post-Federer ricade sulle spalle di Carlos. La stagione sulla terra battuta, iniziata a Montecarlo, sarà il nuovo banco di prova. Sinner tornerà a Roma, Alcaraz ha bisogno di ritrovare ritmo e risultati. Ma forse, prima ancora di cercare risposte in campo, servirebbe riportare alla normalità lo sguardo di chi guarda. Perché l’era dei mostri sacri è finita. E questa nuova generazione merita di essere raccontata per quello che è, non per quello che manca.