Non ha mai guidato una monoposto di Formula 1, eppure nella notte tra venerdì e sabato dello scorso fine settimana è stato lui a perfezionare il set-up della RB21 con cui poi Max Verstappen ha conquistato la pole position e la vittoria a Suzuka. Si chiama Rudy Van Buren, olandese di trentatré anni che da ormai tre stagioni è al lavoro al simulatore Red Bull di Milton Keynes, uno “sconosciuto” che però si è rivelato determinante dietro all’impresa compiuta da Max in Giappone.

È un pilota, ma tolta una breve parentesi in karting nel 2007, il suo nome non è mai circolato nei paddock europei e non: nessuna gara nelle formule propedeutiche, così come nessun impegno nelle ruote coperte tolte alcune apparizioni nella Porsche Carrera Cup tedesca e nella Supercup. Van Buren però è un volto noto, ma non dei paddock “reali” bensì di quelli virtuali, come rivelato da Motorsport.com Italia, diventandone negli anni un vero e proprio riferimento. Vincitore nel 2017 del torneo “World’s Fastest Gamer”, in passato è stato legato anche ad altri nomi blasonati nel motorsport, tra cui McLaren e Mahindra in Formula E. Nel 2022 poi la chiamata in Red Bull, anche grazie al suggerimento, neanche a dirlo, di Max Verstappen, da sempre estimatore delle competizioni virtuali. Ed è proprio online che i due sono entrati in contatto: entrambi sono parte del team Redline, leader tra le squadre e-Sport e spesso condividono l’abitacolo negli eventi Endurance disputati. Lavorano insieme su assetti e strategie, tanto che Van Buren è considerato “il sosia di Verstappen”. A spiegare il perché ai media, ormai tre anni fa, fu proprio Max, commentando l’entrata del collega in Red Bull a Viaplay: “Gli ho spiegato le mie sensazioni su ciò che mi serve dalla macchina. Il bello di Rudy è che sa immedesimarsi nello stile di guida di un altro e sa cosa gli serve in particolare dalla macchina. È questo il motivo per cui ha un grande valore anche sul simulatore”. Ma non solo, perché sempre Max aveva spiegato come “Rudy, così come altri piloti che provengono dal mondo dei simulatori, ha una grande sensibilità, dalla regolazione più piccola alla più folle. Lui prova praticamente tutto. Anche quando vado al simulatore per alcune sessioni, Rudy fa il lavoro di preparazione e devo dire che tutto è già praticamente impostato, posso dedicarmi ai dettagli”.

Un compito difficile, ma giocare fino alle sei del mattino e condividere l’abitacolo, seppur virtuale, con un futuro quattro volte campione del Mondo ha pagato. “Alla fine stiamo comunque guidando su un gioco, senza mancare di rispetto ai grandi simulatori che hanno i team, ma si tratta pur sempre di computer”, dichiarava Van Buren a The Race dopo l’ingaggio da parte di Mahindra. “Da un punto di vista personale, la cosa più importante è lavorare con gli ingegneri, lavorare con i set-up, fare debriefing con varie persone perché si imparano sempre piccole cose”. Una storia che probabilmente ispirerà tanti che come lui ogni giorno si cimentano in questo nuovo ambito delle competizioni, spesso lontano dai riflettori ma altamente competitivo e professionale. Da “sconosciuto” a eroe in meno di 24 ore, dopo che, come raccontato al De Telegraaf, “Tutte le volte che Verstappen fa un giro veloce lo riguardo attentamente e con orgoglio”.
