A vedere i colori della tuta, del giallo brillante disegnato da Aldo Drudi per il VR46 Racing Team, sembra quasi che fosse destino: Andrea Iannone è a Sepang, in Malesia, dove nel 2019 corse la sua ultima gara da pilota titolare in MotoGP. Torna come un eroe greco a distanza di cinque anni, dopo aver vinto in Superbike con una fenice sul casco, e lo fa sulla moto di Fabio Di Giannantonio, volato in Italia per operarsi alla spalla. Nel paddock si parla della tragedia di Valencia delle inondazioni che hanno messo in ginocchio la Spagna, ma pure del mondiale tra Bagnaia e Martín. A dire la verità però, niente catalizza l’attenzione della gente - meccanici, giornalisti, piloti - come Andrea Iannone da Vasto.
Quello che corre col 29, il bersaglio tatuato sul gomito sinistro, la croce sotto l’occhio acceso, il giallo di una carriera da fenomeno, troppo breve forse ma enorme per significato e impatto. Andrea parla un inglese fatto di formule tutte sue e poi ride, ride di gusto ripetendo in continuazione che vive giorno per giorno. Ci siamo chiusi con lui in un ufficio per raccontare di questo momento enorme per lo sport, ma pure per la storia di un uomo che è riuscito a riprendersi tutto e che ancora, quando può, scommette su sé stesso.
Sei qui da mezz’ora e ti hanno fermato a parlare giornalisti, la TV, chiunque. Ora questa esclusiva. Ti abbiamo già fatto passare la voglia di esserci?
“Ma no, è stato bello. La cosa che più mi interessa da pilota e da appassionato di moto è capire quanto sono cambiate le moto e dove, come, perché. Questo è quello che mi piace capire”.
Sei, comunque, la notizia della settimana mentre due piloti si giocano il mondiale punto su punto.
“Vabbè, ma ti dico… sono cresciuto dentro questo mondo, sono arrivato qui la prima volta che avevo 15 anni e sono stato praticamente 16, 17 anni qui. È come una grandissima famiglia, magari ho continuato a frequentare solo alcune persone perché a volte si vive molto lontani, però l’affetto c’è sempre. È un mondo che ti dà sempre tanto, anche perché è il posto in cui ho vissuto le emozioni più forti della mia vita, ma anche le delusioni”.
Impossibile non partire dalla Malesia, da Sepang, nel 2019. L’ultima volta che hai guidato una MotoGP è stato qui cinque anni fa, con un’Aprilia. Otto anni fa invece l’ultima volta che hai guidato una Ducati. Ora quelle sono le moto più veloci in pista. Che effetto ti fa?
“La tecnologia mi dà molta curiosità. Quando mi è stata proposta questa gara, la cosa che mi ha portato ad accettare subito è stata la voglia di tornare a guidare una MotoGP, a provarla. Per un appassionato è difficile dire di no alla moto più tecnologica e potente del pianeta. Come fa un appassionato a dire di no? Io già a sei, sette anni mi smontavo la mia moto e ho passato tutta la mia infanzia a smontare gli Zip, i Booster, a modificarli con i miei amici… so perfettamente come funziona un motore e come si smonta e rimonta una moto. Lo faccio tanto anche a casa, mi piace proprio. Come fai a dire di no alla MotoGP? Penso che lo avrei fatto comunque, magari non tutto in un anno: il rientro alle gare, il primo podio, la prima vittoria, tornare a guidare una MotoGP. È successo e sono grato a tutti questi eventi positivi”.
Ti fa credere un po’ nel destino questa storia? Sei tornato proprio qui, con una fenice sul casco.
“Penso che sia una casualità essere qui e che sia successo qui, non possiamo pensare che abbia un senso. Siamo qui e ce la godiamo, per me è bello e non ho nessun tipo di pressione, sono qui per divertirmi e godermi appieno queste emozioni”.
La gente è impazzita e fa pronostici: chiude nei cinque, nei dieci… e mia moglie mi ha fatto scommettere, così se vinci mi tocca prenderle un cane.
“È stata molto ottimista, anche se mi fa piacere! (ride, ndr). Io ho letto di tutto e mi sono reso conto di quanto la gente non abbia la percezione reale di quanto sia complesso quello che facciamo. Ho letto dei messaggi che dicevano che avrei fatto come al WDW (pole position e secondo posto, ndr.), ma quella non era proprio una gara e si correva con moto stradali. Però la gente a casa prende tutto così, vale tutto. Per le aspettative della gente, se dovessi finire decimo sarebbe un disastro, direbbero che non sono più buono a guidare. Ma fare oggi decimo in MotoGP è come vincere quattro campionati del mondo per me… ma di fila!”.
Di contro, per chi le gare le segue, è figo vedere come ti sei messo in gioco: altri forse si sarebbero tirati indietro. Bautista…
“Ma secondo me Bautista, se gliel’avessero chiesto lo avrebbe fatto subito. Come tutti gli altri! Adesso dicono no, però secondo me…”.
Quando la volpe non arriva all’uva…
“L’hai detto tu, non io!” (ride, ndr).
Come è stato il rientro in un box della MotoGP?
“Stamattina un po’ mi hanno spiegato com’è la moto: qui si abbassa, questo si alza, schiacci questo… ok, gli ho detto. Ma dove si guida? Chi guida mentre faccio tutto questo? Dai, onestamente sono entusiasta di vedere come me la cavo, se non sono troppo vecchio… vediamo! È bello esserci e avere questa opportunità, voglio anche ringraziare Valentino Rossi e tutta la VR46, senza di loro probabilmente non avrei più guidato una MotoGP”.
Come è andata la chiamata con Valentino?
“Ero in aereo, stavo andando a Jerez per l’ultima gara di Superbike. Scendo e trovo un messaggio di Vale: ‘Andrea, cazzo! Ho provato a chiamarti ma hai il telefono spento, chiamami per favore perché è importante’. Così lo chiamo e lui mi fa: ‘Ma è due ore che ti cerco, dov’eri? Senti, secondo me sarebbe fighissimo se guidassi tu la nostra moto in Malesia, magari poi...’. Gli ho detto sì, perfetto. Non ci ho pensato neanche mezzo secondo”.
Dicono che sia il passato a renderti ciò che sei oggi. Sembra che tu abbia accettato con grande serenità tutto quello che è successo, anche le sfighe e le durezza della tua vita.
“Devi accettarlo. Tu parlavi di destino, ma vedi… io avevo già programmato i miei prossimi cinque anni, magari avrei già finito l’anno scorso e a quest’ora sarei stato su di un’isola dispersa, o magari in Puglia a giocare con le mie moto, in una masseria. Avrei fatto il mio ranch per giocare dalla mattina alla sera con i miei figli e invece è cambiato tutto da un momento all’altro. E va ben così, son contento comunque. Posso essere orgoglioso, sono riuscito a tornare e a dimostrare a me stesso che forse posso fare ancora qualcosa. Poi sai, non pensare… in questi anni avrò girato tre, quattro volte l’anno e per divertirmi. Forse è fortuna, non so che. La verità è che quando sono salito sulla Superbike sono andato subito forte”.
Il talento è quella roba lì, no?
“Mah, sai. A volte il talento non basta. Io sono arrivato ed è stato tutto così (Andrea schiocca le dita, ndr.) poi ci sono stati momenti complessi, il campionato è molto difficile e il livello molto alto, però la verità è che è andata bene così”.
La gente dice che ora tu sia diventato più forte e un po’ meno bastardo. È vero?
“Ah, per me è un complimento! Io non sono uno stronzo, poi magari a volte servirebbe esserlo di più. Sai, a me piace essere in pace. E dopo tanti anni sono tornato e ho ricevuto un affetto, un amore da parte di tutti che è incredibile. Questo significherà qualcosa e questo per me è importante, a prescindere da tutto quello che uno può immaginare di me. Negli anni ne ho sentite di tantissime, poi una persona mi conosce e dice ‘ah, ma come…’. Ognuno inventa un po’ la sua storia, ma è normale. È giusto, succede. Quando sei chiacchierato ognuno può dire la sua, si va incontro a quella cosa là, è un po’ il prezzo da pagare. Però sono contento che poi, quando le persone mi conoscono abbiano un’opinione sana di me”.
Bagnaia - Martin, chi vince?
“Non il più veloce, ma quello che sbaglia meno”.
Al posto di chi vorresti svegliarti domani?
“In questo momento Martín, ha 17 punti di vantaggio. Magari anche Bagnaia vorrebbe essere Martín adesso”.
Come immagini la festa, se fai un bel risultato qui?
“No, macché feste. Non faccio feste. Tutti pensano che io sia uno da feste, non so perché. Sono quello che fa meno feste di tutti, non vado neanche in discoteca”.