Mancano tre GP a fine stagione. Per quanto resti da assegnare il titolo, il motomondiale ha già raccontato molto del suo 2024: il confronto tra Bagnaia e Martín, il ritorno di Marc Marquez, l’arrivo di Pedro Acosta, la Ducati, il mercato dei tecnici, gli altri che inseguono. Prendiamo il telefono per cercare risposte da un oracolo di questa MotoGP, uno a cui i giapponesi dovrebbero stendere il tappeto e da cui noi, ogni volta, impariamo sempre molto. Livio Suppo chiaramente non si smentisce: “Ma di GP ne mancano quattro, Cosimo”. Ovviamente ha ragione: ora si corre in Australia, poi Tailandia, Malesia e Valencia. Ci facciamo una risata, ripartiamo.
Allora Livio, con quattro GP alla fine i punti sono ancora tanti, eppure tra Jorge Martín e Pecco Bagnaia ce ne sono appena 10 di differenza. Che mondiale hai visto?
“Da un certo punto di vista molto simile allo scorso anno, bene o male i piloti che si giocano il titolo sono gli stessi. C’è stata questa novità di un Marc Marquez di nuovo competitivo, però il vero campionato se lo sono giocati loro che dall’anno scorso sono i più forti in assoluto ma sbagliano molto: quando si avvantaggia uno cade la gara dopo… in un certo senso meglio così, è comunque un bel campionato”.
Pensi che entrambi stiano facendo il possibile per non vincerlo o che, invece, è anche la tecnica delle moto a costringere i piloti ad avvicinarsi di più al limite?
“Io non ho mai guidato una MotoGP, né di queste né di quelle prima! (ride, ndr.) Non lo so, sicuramente nella MotoGP di adesso ci sono tante moto competitive, specialmente le satellite hanno fatto un passo in avanti. Questo fa sì che debbano sempre essere tutti sul filo del rasoio e quando è così diventa più facile fare degli errori, oltre al fatto che sia le Sprint che le gare le fanno col coltello fra i denti. Penso ai tempi d’oro di Valentino Rossi: lui a un certo punto dava un tirone e da lì finiva per tutti, ma fino a quel punto non aveva preso dei rischi”.
Qualche giorno fa abbiamo parlato con Giacomo Agostini, che ci ha detto che Ducati non penserà nemmeno per sbaglio all’idea di penalizzare la Pramac nella lotta al mondiale. Marco Melandri, sempre su MOW, ha quasi detto il contrario, spiegando che secondo lui è quasi impossibile che un team satellite vinca il titolo. Tu da che parte ti orienti?
“Sono convinto che Ducati non farà nulla per ostacolare Jorge Martín, perché qualora saltasse fuori la figuraccia sarebbe peggio di aver perso un mondiale. Sono sicuro che non faranno nulla per diminuire le possibilità di Jorge. Anche perché gli sponsor del team ufficiale, che potrebbero risentirsi nel caso in cui il mondiale lo vincesse Pramac, sono solo una parte dell’investimento fatto da Ducati. Se sai che in pista ci sono quattro moto ufficiali, con piloti forti sopra, devi mettere in conto il fatto che il mondiale possano vincerlo loro. Aggiungo che lo scorso anno Jorge lo ha perso perché ha fatto degli errori, non per scelte della Ducati”.
Sicuramente nel finale di stagione sbagliò sia in Indonesia che in Australia.
“Sì, detto questo io credo anche che ci sia qualcosa di sbagliato nell’assegnazione dei punti in questa MotoGP, perché Pecco ha vinto molto più di Jorge ed è comunque dietro. Vuol dire, secondo me, che l’assegnazione attuale non premia abbastanza la vittoria rispetto al secondo posto. Il punteggio della Formula 1 è diverso e premia di più chi vince, per altro dando punti solo ai primi dieci che secondo me potrebbe essere una buona idea. Ora a prendere punti sono i primi 15 e questo deriva dal fatto che tanti anni fa c’erano griglie di partenza molto più ampie: se partivano in più di trenta era giusto dare punti a meno della metà e adesso che partono in 22 sarebbe da adeguare la cosa”.
Livio Suppo ha ragione: Pecco Bagnaia ha vinto 8 GP e 6 Sprint, mentre Jorge Martín ha appena 3 vittorie in GP e 5 Sprint. Con la classifica della Formula 1 (Dal 2010 i primi dieci classificati guadagnano rispettivamente i seguenti punti: 25, 18, 15, 12, 10, 8, 6, 4, 2, 1), Pecco Bagnaia sarebbe in ben altra situazione.
Con l’introduzione della Sprint il sabato, giorno di qualifica, anche il format del weekend scricchiola. Come faresti?
“Così non ha tanto senso, perché la qualifica mediaticamente vale molto poco. Finita quella c’è subito la Sprint ed è sbagliato secondo me che ad avere meno risalto sia la cosa che poi influenza due gare: ora se sbagli la qualifica butti via due gare e io non lo trovo giusto. Per cambiare un po’ le cose basterebbe che i piloti partissero per la gara seguendo l’ordine d’arrivo nella Sprint. Sono tutte cose che andrebbero un po’ riviste, perché in questo periodo si sono fatti tantissimi cambiamenti ma alcune regole resistono così da trent’anni”.
Questo è stato, in parte, anche l’anno di Marc Marquez: è quasi sempre il pilota più veloce con una GP23, a volte riesce a battere anche chi ha una moto ufficiale e sembra che abbia smesso con l’apprendistato e l’idea di accontentarsi di un piazzamento. Lo vedi come uno dei piloti pronti a giocarsi il podio tutte le domeniche o pensi che sia ancora un passo indietro?
“Sicuramente ha impiegato un po’ di tempo ad adattarsi a una moto che ha caratteristiche diametralmente opposte a quella che guidava lui, però comunque è andato forte da subito, dal test di Valencia. Andò forte a Portimão e ad Austin se non avesse avuto un problema ai freni forse avrebbe vinto… secondo me è ancora Marc e quest’anno ha dimostrato che nonostante gli ultimi quattro anni di sofferenze il talento c’è ancora. Non sarà completamente su di un altro livello come tempo fa ma è ancora uno dei più forti, la scommessa di lasciare la Honda per correre in un team privato è stata vinta alla grande”.
Pensi che l’abbia vinta anche Gigi Dall’Igna prendendolo?
“Lo vedremo il prossimo anno. Un otto volte campione del mondo, lo ho già detto da qualche parte, è come una bella ragazza in discoteca, è impossibile non subirne il fascino (ride, ndr). Per come guida e per quello che rappresenta immagino che per Gigi l’idea di averle sulla sua moto sia comunque un orgoglio, oltre al fatto che se la sta veramente meritando. Poi è chiaro, se ti metti nei panni di Martín capisci come mai sia rimasto così deluso, ma era una scelta veramente molto difficile. L’alternativa sarebbe stata quella di lasciare Marc in Gresini con una moto ufficiale, cosa che per qualche motivo non è stata fatta”.
Probabilmente perché Marc ha capito di poter tenere il coltello dalla parte del manico. Va detto anche che Dall’Igna ha fatto la cosa più logica: hai la moto migliore e ci metti sopra i due piloti migliori, quelli che hanno vinto di più. C’è una logica, no?
“Ma certo. Se sei nella situazione di Ducati, in cui hai la moto migliore e praticamente tutti i piloti più forti a guidarla, diventa difficilissimo perché questa macchina è praticamente impossibile da mantenere, ance soltanto a livello economico: considera che sono arrivati a questa situazione partendo con dei ragazzi giovani che costavano poco, ma più vincono e più costano cari, tu non puoi dare milioni di euro a quattro piloti. Così hanno dovuto fare delle scelte, era normale che non sarebbero andati avanti all’infinito così. Evidentemente Gigi ha preferito che alla concorrenza ci andasse Martín, non Marquez”.
Parliamo di Pedro Acosta: grande pilota ma soprattutto grande politico, non perde occasione per regalarci qualche titolo. Sei d’accordo quando dice che Bagnaia e Martín sono un po’ mogi, spenti nel punzecchiarsi? Tu hai vissuto su entrambe le strade, da Casey a Marc…
“Guarda, penso a Dani (Pedrosa, ndr) che era uno molto poco mediatico, molta gente gli voleva bene perché faceva quasi tenerezza così piccolino, sulle moto grosse e sempre infortunato. A Pecco e Martín manca sicuramente quella capacità di comunicazione e di empatia che hanno avuto altri campioni, ma va detto che anche tanti altri non ce l’hanno avuta. Doohan, per esempio, è diventato Doohan perché ha vinto un casino, non perché fosse particolarmente mediatico. Schwantz era un’altra cosa: tra stile di guida, carattere e altro era sicuramente più portato a farsi amare dalla gente, ma non è quella la cosa più importante in un pilota. Poi è chiaro che se riesci ad avere un serial winner che è pure istrionico com’era Valentino hai fatto bingo, ma l’importante è avere uno che va forte”.
E da Pedro cosa ti aspetti? Con questa KTM così in difficoltà lui sta facendo una scommessa grossa, enorme: a vent’anni deve mettersi sulle spalle un marchio in un momento difficile per battere una Ducati che sembra lontanissima in termini tecnici. È troppo?
“Se lo metti a confronto con le altre KTM in termini di prestazione pura - perché a punti con Binder siamo lì - ne ha molto di più ed è un rookie. Pedro è uno che sarebbe stato bello da vedere su di una Ducati, avrebbe dato del filo da torcere a tutti al primo anno”.
Era da tempo che non succedeva qualcosa del genere: Rossi andò subito sulla Honda, Marquez pure, Lorenzo cominciò in Yamaha…
“Successe a Casey! Lui esordì su di una Honda satellite, anche se effettivamente quella moto lì come prestazioni era sicuramente meglio della KTM di adesso. Bisognerà capire se la crisi finanziaria in cui è KTM avrà un’influenza negativa sulla loro competitività, oltre al cambio radicale che stanno facendo tra Sterlacchini e Guidotti. Poi io credo che il nuovo team manager influenzerà meno le cose: sicuramente Aki Ajo che conosce benissimo i piloti ed ha un modo di fare che io stimo molto sarà capacissimo di gestire la squadra, ma se alla moto manca un pezzo… puoi avere un pilota fortissimo e un team manager bravissimo, ma di questi tempi se non hai la moto fai poca roba”.
Oltre che su di una Ducati, Pedro Acosta sarebbe molto bello da vedere anche su di un’Aprilia, che quest’anno è veramente difficile da giudicare considerando che un pilota viaggia verso il ritiro e l’altro, Maverick, è preciso come l’oroscopo. Come valuti l'Aprilia e la RS-GP?
“In realtà quest’anno i piloti Aprilia sono quattro e stanno faticando tutti, anche se tre se ne andranno quasi ci si scorda di loro. In certe piste vanno fortissimo, ma hanno sofferto forse troppo di piccoli inconvenienti tecnici - che innervosiscono i piloti e fanno calare un po’ la fiducia - cosa che probabilmente ha avuto un peso importante nell’alternarsi di risultati”.
Il mercato dei tecnici: sembra incredibile che non ti sia ancora arrivata quella telefonata lì, dal Giappone…
Livio ride a lungo, cinque secondi. Poi risponde.
“Ma per me dici? Io non sono un tecnico, non rientro in quella categoria (ride ancora, ndr). Abbiamo visto cambiamenti interessanti, soprattutto quello della Honda: sono felicissimo che Fabiano Sterlacchini si unisca all’Aprilia e sono veramente curioso di vedere il lavoro di Romano Albesiano in Honda, sono due persone che stimo moltissimo. Probabilmente il lavoro più difficile sarà quello di Albesiano, si trova a lavorare con una cultura del tutto diversa ed è la prima volta che HRC si affida a qualcuno di europeo per quella posizione. Bisognerà vedere quanto lo lasceranno libero di prendere altre persone e quanto lo sviluppo della moto verrà affidato a lui o se dovrà inserirsi in un sistema giapponese, diverso da quello a cui era abituato. Di fatto lui ha preso in mano l’Aprilia che era peggio di com’era la Ducati quando arrivò Dall’Igna e in pochi anni col suo gruppo è riuscito a vincere. Dovesse farcela anche con la Honda… però i punti di domanda sono ancora molti. Fabiano invece entra in una casa italiana già competitiva, per lui la vedo più semplice”.
Honda HRC ha deciso di aprire una sede nel milanese per spingere questo progetto guidato da Romano Albesiano. Tu che queste dinamiche le conosci dove vedi le vere difficoltà?
“Se metteranno Albesiano a lavorare lì con dei giapponesi ci sarà anche un problema di visto e, soprattutto, dovranno affidargli un buon numero di persone per portare avanti lo sviluppo. In Suzuki funzionava bene perché c’erano degli ingegneri europei molto bravi in pista e poi c’era Ken Kawauchi a fare da trait d’union tra il circuito e il Giappone, in modo che dalla sede centrale ascoltassero idee e richieste degli europei mentre in Honda non è mai stato così. Bisognerà vedere se sapranno adeguarsi”.
Per chiudere: questa settimana la MotoGP corre a Phillip Island, tu ci sei stato con Casey Stoner sia ai tempi della Ducati che della Honda. Che ricordi hai?
“Casey… Di Casey tutti pensavano che vincesse a Phillip Island perché essendo australiano conosceva la pista, invece lui lì ci corse per la prima volta nel motomondiale o quasi. Niente a che vedere, per esempio, con i ragazzi della VR46 che vanno a Misano. Era proprio la pista a sposarsi benissimo con le sue caratteristiche, poi ci voleva un pelo fuori dal comune - che lui ovviamente aveva - e una sensibilità pazzesca sul gas. La curva che oggi ha preso il suo nome, che faceva tutta di traverso… lui quando aveva la Ducati diceva ‘ho capito che a metà curva devo spalancare il gas, così la mando in sovrasterzo e punto la parte giusta della pista’. Lui, Casey, aveva delle idee folli. Ricordo magari il warm-up, quando la pista era un po’ marcia come diceva Loris (Capirossi, ndr) perché stava tra l’asciutto e il bagnato e lui lì dava dei secondi al secondo. Non so, forse anche il fatto di essere a casa sua aiutava, però sicuramente ce l’aveva nel polso e lì ha scritto pagine della storia del motociclismo”.
Come preparavate quella gara?
“Ah, la prima volta che ci siamo arrivati assieme era il 2007 e lui si era appena laureato campione del mondo. Facemmo tripletta, pensa che vincemmo anche il mondiale costruttori, Loris salì sul podio… quello fu l’anno più incredibile tra tutti quelli che ho passato in MotoGP. Ed è un po’ come se quest’anno avesse vinto Pedro con la KTM. Casey non era un rookie, aveva già un anno di esperienza, ma era giovanissimo in quella MotoGP dove gli altri, a parte Vale, avevano già un'età. Fu davvero un anno indimenticabile”.