“Ducunt volentem fata, nolentem trahunt”. E’ a Seneca che viene da pensare guardando e riguardando la videointervista di Andrea Iannone sul canale ufficiale del World SBK. Ok, i paragoni scomodi e improponibili sono un vecchio gioco di MOW, ma quella frase - “Il fato conduce chi lo accetta e trascina chi gli si ribella” – potrebbe essere la sintesi perfetta degli ultimi quattro anni di Andrea Iannone. Non serve conoscere Seneca e le sue Lettere a Lucilio e a Andrea Iannone non è servito nemmeno sapere che quel passaggio fu a sua volta la citazione di un filosofo dello stoicismo, perché a volte ci si incammina in una direzione senza avere necessariamente aderito a un pensiero. Si va avanti semplicemente perché è quello che si sente di fare. E magari spesso senza la piena consapevolezza di dove si vuole arrivare, ma solo con la promessa di fare attenzione a ogni segno che possa in qualche modo diventare punto di riferimento per orientarsi.
Andrea Iannone l’ha sempre detto: “Io sono un pilota”. Quattro parole che hanno rappresentato, nel momento sportivo più tremendo e nel momento umano più inaccettabile, anche l’unica certezza. Il resto, in qualche modo, lo hanno fatto quei segni che nella vita arrivano comunque sempre e che chiedono solo di essere notati e interpretati. Fino a far accettare persino una sentenza pesante e ritenuta ingiusta come qualcosa che doveva succedere per il compimento di qualcosa di più grande. “Il primo anno è stato durissimo – ha raccontato Iannone nella videointervista – mi stavo chiudendo in me stesso. A un certo punto ho smesso anche di seguire la MotoGP”.
Tenere gli occhi su un palcoscenico calcato fino a poco tempo prima faceva troppo male. Così come avranno fatto un gran male anche i commenti al veleno di quelli che godono a vedere gli altri cadere. Soprattutto quando “gli altri” sono talentuosi, ricchi, esposti e condividono pure il letto con partner da lasciarci attaccati gli occhi. Se, poi, “gli altri” hanno un carattere alla Andrea Iannone, allora è come sentirsi autorizzati a affilare ancora di più le lame e affondarle più giù. E’ così che funziona e è, in qualche modo, qualcosa da accettare anche questo. Tanto che Andrea Iannone evita anche di parlarne, preferendo, piuttosto, raccontare cosa è successo dopo quella sentenza che ha rischiato di essere per lui di condanna vera.
Ci sono di mezzo due padri. Uno è il babbo vero che, come ogni padre dovrebbe sempre, non ha mai smesso di stare dalla parte del figlio, di far sentire presenza, di dimostrarsi “primo soldato” pronto a ogni guerra. E poi c’è un altro padre, che è quello sportivo, e che, manco a dirlo, di nome fa Gigi e di cognome fa Dall’Igna. “Avevo di colpo perso tutta la mia vita – ha raccontato ancora Iannone - Quando perdi tutto sei un po' disorientato: è come dopo una grande caduta. Ma quando hai un grosso incidente l’infortunio può fermarti per un anno. Io mi sono fermato per quattro anni. È difficile spiegare questa situazione. Ho sentito molto sostegno dai miei fan, dalla mia famiglia e dai miei amici, ma non è stato facile. Soprattutto il primo anno ero un po' più chiuso in me stesso ma, passo dopo passo, ho iniziato a condurre una vita un po' normale. Ho iniziato a seguire il World SBK. Non so perché, ma è stato così. Quando vedevo le gare, sentivo che volevo essere lì nella battaglia, ed è per questo che di tanto in tanto iniziavo a parlare con Gigi Dall'Igna. Poi un giorno sono andato a Misano con mio padre e ho incontrato personalmente Gigi. Abbiamo parlato un po' e mi ha detto: 'Andrea, lo vuoi? Pensi di essere pronto?'. Ho detto subito sì”.
Segni da cogliere e occasioni che alla fine arrivano. Magari proprio da quei palcoscenici che in passato non erano stati presi in considerazione. Non tanto per snobismo, ma perché non era il momento. Il resto lo fanno i sogni e la determinazione di andarseli a prendere, con Iannone aggiunge: “Ora sono tornato dopo tanto tempo e sono molto emozionato. Sono felice di vivere questo sogno. Non riavrò indietro quello che ho perso, è impossibile, ma voglio riconquistare la mia felicità". E il posto per farlo è, probabilmente, proprio il mondiale Superbike: moto di serie, ambiente meno tirato e più affine a quelli sangue e istinto, senza troppi confini dentro cui stare e stereotipi a cui fare riferimento. Un campionato che Iannone definisce “fantastico”. “Penso – ha concluso il pilota di Vasto - che sia il miglior campionato. Ora sono qui e voglio godermelo. Il livello è molto alto, tutti i piloti sono bravi: i primi 10 o 12 sono davvero veloci. È un ritorno molto speciale per me e non dimenticherò mai quello che ho vissuto nel primo fine settimana di ritorno alle gare. Dopo tanto tempo ho vissuto un momento molto bello ancora una volta. Ho lottato con i migliori piloti del WorldSBK, nel mio primo fine settimana e nella mia prima gara. Sono molto felice, è bellissimo”. Bellissimo e contestualmente anche formativo, perché la storia di Andrea Iannone spiega, ancora una volta, che a volte la vera guerra da fare è contro quell’io guerrafondaio che è dentro ognuno di noi e che fa perdere di vista il presente come unico generatore di futuro mentre si lotta – senza armi, senza strumenti e senza abbastanza forza – per ribellarsi a ciò che invece andrebbe solo accettato, anche se ingiusto o inconcepibile.