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APOCALYPSE NOW: Sinner e Alcaraz, ancora loro in finale. Per Jannik: “Come mi preparo? Non cambia l’approccio, anche se Carlos non è Djokovic”. Mentre lo spagnolo: “Ho un altro passo da compiere. Domenica darò tutto, ho giocato un ottimo tennis a Parigi”

  • di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

  • Foto: Ansa

7 giugno 2025

APOCALYPSE NOW: Sinner e Alcaraz, ancora loro in finale. Per Jannik: “Come mi preparo? Non cambia l’approccio, anche se Carlos non è Djokovic”. Mentre lo spagnolo: “Ho un altro passo da compiere. Domenica darò tutto, ho giocato un ottimo tennis a Parigi”
Daranno tutto quello che hanno: in gioco non c'è solo uno Slam (e già sarebbe tantissimo). C'è il nome, il primato negli occhi di chi guarda e legge il tennis. E questo Carlos Alcaraz e Jannik Sinner lo sanno benissimo. Si evince anche dalle loro parole, piene di consapevolezza ma anche di rispetto per l'avversario. Ecco come si preparano al momento dei momenti: la finale del Roland Garros

Foto: Ansa

di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

Domenica si gioca molto più di una finale Slam. Sinner contro Alcaraz è il presente che plasma il futuro. È la rivalità che scalza quella dei Fab Four. È il Roland Garros che cerca un nuovo padrone, tra i segni lasciati dalla vecchia guardia e l’impronta netta del numero uno del mondo. Perché sì, Jannik Sinner è in finale a Parigi. E ci è arrivato senza perdere nemmeno un set, lasciandosi alle spalle anche Novak Djokovic. Non uno qualunque: il detentore di tutto, l’uomo dei record, l’ossessione vivente del tennis contemporaneo. Ma stavolta il trono ha tremato per davvero. Sinner ha vinto con lucidità, testa fredda e qualche colpo di genio. Ha sofferto nel terzo set, certo. Ma ha tenuto in mano il match dall’inizio alla fine. Senza il supporto della prima di servizio, con percentuali basse nei primi due set, eppure sempre lì, sempre avanti. Game dopo game, ha sfilacciato le resistenze di Djokovic, costretto ad attaccarsi alla smorzata come ultima ancora.

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Il passaggio di consegne, a dire il vero, era già avvenuto all’Australian Open, con quel 6-1 nel quarto set che chiuse la semifinale. Ma questo Roland Garros è diverso. È la terra di Rafa, la superficie in cui Djokovic ha sempre voluto dominare per cancellare i fantasmi altrui. Per lui, il match di ieri non era solo un’altra semifinale: era forse l’ultima chiamata per restare nel club dei migliori. Lo ha detto lui stesso, in una conferenza stampa che somigliava più a un congedo: “Potrebbe essere stata la mia ultima partita qui, non lo so. Se è stata l’ultima, è stata meravigliosa per l’atmosfera. Ma Sinner ha meritato. Mi sono sentito costantemente sotto pressione, e lui non mi ha lasciato alternative”. Djokovic ha 38 anni, e contro Sinner sembrava fronteggiare sé stesso, quello di dieci anni fa. Ma oggi non basta più il talento: serve reggere la velocità. Jannik ha aumentato il ritmo ogni volta che serviva. L’ha fatto con il suo modo quasi zen.

Il saluto commosso di Djokovic
Il saluto commosso di Djokovic Ansa

E chi pensava che Sinner fosse in cerca di vendetta per le parole sibilline pronunciate da Nole aveva durante il periodo più buio, quello della sospensione per doping, beh si è sbagliato. Perché Sinner in conferenza stampa lo ha elogiato: “La cosa più incredibile di Novak? La capacità di cambiare direzione con facilità estrema. Può tirarti lungolinea da qualsiasi posizione. Ha migliorato tutto: lo slice, il gioco a rete, ogni cosa. Forse io servo un po’ più forte, ma lui ha una precisione che impressiona”. Ora, però, si volta pagina. Perché domenica lo aspetta Carlos Alcaraz, che ha battuto Musetti in semifinale approfittando anche del ritiro del toscano per un problema muscolare alla coscia sinistra. E sarà una finale carica di conti in sospeso. Sinner ha un motivo in più: vendicare il ko degli Internazionali d’Italia e chiudere il cerchio. Il rodaggio post sospensione è finito. I set nelle gambe ora sono tanti, il ritmo è alto, la fiducia ancora di più. Alcaraz gioca bene, è in fiducia, ha già vinto qui. Ma stavolta c’è la fame del numero che vuole dimostrare al mondo di essere tornato per davvero.

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